Thelma
Thelma
2017
Paesi
Norvegia, Francia, Danimarca, Svezia
Generi
Drammatico, Thriller
Durata
116 min.
Formato
Colore
Regista
Joachim Trier
Attori
Eili Harboe
Kaya Wilkins
Henrik Rafaelsen
Ellen Dorrit Petersen
Anders Mossling
Thelma (Eili Harboe), timida ragazza di provincia cresciuta in una famiglia molto religiosa, si trasferisce a Oslo per intraprendere l’università. Qui conosce Anja (Kaya Wilkins) e presto l’amicizia tra le due si trasforma in una reciproca attrazione. Nel frattempo, Thelma, vittima di inspiegabili quanto inquietanti crisi epilettiche, si rende conto di avere poteri soprannaturali, legati a un oscuro mistero che ha radici nel suo passato...
Al suo quarto lungometraggio, Joachim Trier, regista norvegese nato a Copenaghen, approdato al concorso di Cannes con Segreti di famiglia (2015), ha realizzato un thriller soprannaturale che affonda le proprie radici nel rigore della cultura nordica (cinematografica e letteraria) per reinterpretare, in chiave contemporanea, le rodate dinamiche di una protagonista vittima della propria straordinaria "diversità". Innumerevoli i debiti con i grandi autori del passato, da Hitchcock a De Palma, per una versione austera ma ben più appannata di Carrie – Lo sguardo di Satana (1976) («Immaginate Carrie girata da Bergman», ha scritto il New York Magazine), leggibile come un grande monito a liberarsi di ogni pregiudizio ma, soprattutto, dei vincoli ottusi che impediscono una piena realizzazione di se stessi (evidente la presenza castrante della figura paterna e, segnatamente, di una oltremodo rigida dottrina cattolica). Il discorso sull’accettazione del rapporto omosessuale non è però mai inserito in un contesto organico e le frizioni tra atmosfera metafisica e ammiccamenti posticci che strizzano l’occhio a desideri repressi appaiono evidenti e oltremodo meccanici. Trier, che si è dichiarato ispirato da alcuni gialli all’italiana e che è molto abile nel restituire l’emotività della protagonista attraverso campi lunghi e un buono studio del paesaggio scandinavo, conferma una buona mano dal punto di vista della regia, ma la macchinosità della scrittura smorza continuamente la possibilità di essere avvolti dalle suggestioni del racconto, che procede pretestuosamente a strappi e a brandelli e perde molto per strada, anche se con una visceralità astratta e raggelata, irrimediabilmente fascinosa (nonostante l’apparente e irreprensibile fissità, abbondano le scene improvvisate in maniera jazzistica, a detta dell'autore). Un apologo ambizioso ma privo di baricentro, che in sede di sceneggiatura non riesce a integrare a dovere il rapporto tra presente e passato, accumula intuizioni spesso in maniera superficiale (la stregoneria, ad esempio) e finisce per ripetersi sotto l’aspetto strettamente soprannaturale (le visioni di Thelma, pleonastiche se non addirittura pacchiane quando si confrontano in maniera esplicita con la sessualità). Innegabile, però, l’impatto di un’angoscia di taglio marcatamente scandinavo che pare uscita da un dipinto di di Edvard Munch, celeberrimo pittore norvegese sul quale Trier intende non a caso sviluppare un documentario. Kaya Wilkins, che interpreta Anja, è una modella e musicista che ha fatto da supporter ad artisti come P.J. Harvey e Massive Attack, per metà norvegese e per metà americana: un impasto seduttivo molto rigoglioso, che amplifica il richiamo sessuale del suo personaggio in una simbiosi lesbo che cita apertamente, per umori e atmosfere castranti, Il cigno nero (2010) di Darren Aronofsky. Presentato al Toronto International Film Festival e al BFI London Film Festival.
Al suo quarto lungometraggio, Joachim Trier, regista norvegese nato a Copenaghen, approdato al concorso di Cannes con Segreti di famiglia (2015), ha realizzato un thriller soprannaturale che affonda le proprie radici nel rigore della cultura nordica (cinematografica e letteraria) per reinterpretare, in chiave contemporanea, le rodate dinamiche di una protagonista vittima della propria straordinaria "diversità". Innumerevoli i debiti con i grandi autori del passato, da Hitchcock a De Palma, per una versione austera ma ben più appannata di Carrie – Lo sguardo di Satana (1976) («Immaginate Carrie girata da Bergman», ha scritto il New York Magazine), leggibile come un grande monito a liberarsi di ogni pregiudizio ma, soprattutto, dei vincoli ottusi che impediscono una piena realizzazione di se stessi (evidente la presenza castrante della figura paterna e, segnatamente, di una oltremodo rigida dottrina cattolica). Il discorso sull’accettazione del rapporto omosessuale non è però mai inserito in un contesto organico e le frizioni tra atmosfera metafisica e ammiccamenti posticci che strizzano l’occhio a desideri repressi appaiono evidenti e oltremodo meccanici. Trier, che si è dichiarato ispirato da alcuni gialli all’italiana e che è molto abile nel restituire l’emotività della protagonista attraverso campi lunghi e un buono studio del paesaggio scandinavo, conferma una buona mano dal punto di vista della regia, ma la macchinosità della scrittura smorza continuamente la possibilità di essere avvolti dalle suggestioni del racconto, che procede pretestuosamente a strappi e a brandelli e perde molto per strada, anche se con una visceralità astratta e raggelata, irrimediabilmente fascinosa (nonostante l’apparente e irreprensibile fissità, abbondano le scene improvvisate in maniera jazzistica, a detta dell'autore). Un apologo ambizioso ma privo di baricentro, che in sede di sceneggiatura non riesce a integrare a dovere il rapporto tra presente e passato, accumula intuizioni spesso in maniera superficiale (la stregoneria, ad esempio) e finisce per ripetersi sotto l’aspetto strettamente soprannaturale (le visioni di Thelma, pleonastiche se non addirittura pacchiane quando si confrontano in maniera esplicita con la sessualità). Innegabile, però, l’impatto di un’angoscia di taglio marcatamente scandinavo che pare uscita da un dipinto di di Edvard Munch, celeberrimo pittore norvegese sul quale Trier intende non a caso sviluppare un documentario. Kaya Wilkins, che interpreta Anja, è una modella e musicista che ha fatto da supporter ad artisti come P.J. Harvey e Massive Attack, per metà norvegese e per metà americana: un impasto seduttivo molto rigoglioso, che amplifica il richiamo sessuale del suo personaggio in una simbiosi lesbo che cita apertamente, per umori e atmosfere castranti, Il cigno nero (2010) di Darren Aronofsky. Presentato al Toronto International Film Festival e al BFI London Film Festival.
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