I tre giorni del Condor
Three Days of the Condor
1975
Paese
Usa
Generi
Spionaggio, Drammatico, Thriller
Durata
117 min.
Formato
Colore
Regista
Sydney Pollack
Attori
Robert Redford
Max von Sydow
Faye Dunaway
Cliff Robertson
Addison Powell
Michael Kane
Tina Chen
Walter McGinn
Joseph Turner, nome in codice Condor (Robert Redford), è un agente della CIA: la sua sezione analizza romanzi stranieri di spionaggio per ricavare informazioni utili. Quando tutti i suoi colleghi vengono uccisi l'uomo, scampato per caso, sarà costretto a districarsi in un gioco forse troppo pericoloso.
Nel livido inverno di New York, Condor si aggira per le strade stretto nel suo cappotto, bersaglio e simbolo di una sconfitta che va ben oltre i confini dello spy movie. È la solida cornice che regge un quadro i cui piccoli difetti (come l'intreccio un po' macchinoso e un liberale poco credibile che lavora per la CIA) svaniscono nella visione d'insieme, bilanciata tra gioco edonistico e racconto pessimista, dove la lezione di Hitchcock, trasferita in un contesto paranoico, proietta le ombre dei temi d'autore sulle maglie del genere. Condor è un common man incappato in una tela mortale e circondato da un nugolo di solitudine – stemma della mutata stagione sociale dell'America che in quegli anni usciva dal Watergate e dal Vietnam – sintetizzato dall'ultimo fermo immagine, un volto tra la folla alla ricerca di anonimato e pubblica denuncia, ultima contraddizione di uno scacco esistenziale, sociale, storico. Nella più pura tradizione della New Hollywood, i protagonisti sono spigolosi, gli antagonisti emblematici, espressione di un cinismo naturale prima che politico, interpretati da un terzetto d'attori in stato di grazia: Redford, Cliff Robertson e il killer filosofico di Max von Sydow. È il suo monologo finale a consegnare la macchina del thriller a una più inquietante e riuscita riflessione sull'uomo contemporaneo e sul suo negativo destino: condannato a non fidarsi di nessuno, ad essere un paria solo perché incapace di sottomettersi alla spietata logica capitalista che ha piegato il mondo intero.
Nel livido inverno di New York, Condor si aggira per le strade stretto nel suo cappotto, bersaglio e simbolo di una sconfitta che va ben oltre i confini dello spy movie. È la solida cornice che regge un quadro i cui piccoli difetti (come l'intreccio un po' macchinoso e un liberale poco credibile che lavora per la CIA) svaniscono nella visione d'insieme, bilanciata tra gioco edonistico e racconto pessimista, dove la lezione di Hitchcock, trasferita in un contesto paranoico, proietta le ombre dei temi d'autore sulle maglie del genere. Condor è un common man incappato in una tela mortale e circondato da un nugolo di solitudine – stemma della mutata stagione sociale dell'America che in quegli anni usciva dal Watergate e dal Vietnam – sintetizzato dall'ultimo fermo immagine, un volto tra la folla alla ricerca di anonimato e pubblica denuncia, ultima contraddizione di uno scacco esistenziale, sociale, storico. Nella più pura tradizione della New Hollywood, i protagonisti sono spigolosi, gli antagonisti emblematici, espressione di un cinismo naturale prima che politico, interpretati da un terzetto d'attori in stato di grazia: Redford, Cliff Robertson e il killer filosofico di Max von Sydow. È il suo monologo finale a consegnare la macchina del thriller a una più inquietante e riuscita riflessione sull'uomo contemporaneo e sul suo negativo destino: condannato a non fidarsi di nessuno, ad essere un paria solo perché incapace di sottomettersi alla spietata logica capitalista che ha piegato il mondo intero.
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