13 assassini
Jūsan-nin no shikaku
2010
Paese
Giappone
Genere
Storico
Durata
126 min.
Formato
Colore
Regista
Takashi Miike
Attori
Kōji Yakusho
Takayuki Yamada
Yūsuke Iseya
Ikki Sawamura
Arata Furuta
Gorō Inagaki
Ricevuto l'ordine di uccidere il crudele e perverso Naritsugu (Gorō Inagaki), signore feudale e fratello dello Shogun, il samurai Shinzaemon Shimada (Kōji Yakusho) raggruppa attorno a sé undici guerrieri – a cui poi se ne aggiungerà un dodicesimo (Yūsuke Iseya) – per eseguire l'incarico. La sproporzione numerica fra i tredici assassini e l'esercito a guardia di Naritsugu rende l'impresa un'autentica missione suicida in cui dar prova estrema di valore e coraggio.
Remake dell'omonimo lungometraggio del 1963 di Eiichi Kudo, è il felice approdo di Takashi Miike al jidai-geki (l'anno successivo sarà la volta di Hara-Kiri: Death of a Samurai, remake del classico di Masaki Kobayashi), genere con cui si dimostra perfettamente a proprio agio. Nella struttura narrativa si contrappongono due blocchi, il primo di carattere introduttivo e dominato da un rigido controllo formale, dove vengono presentati i personaggi e create le premesse per l'azione, il secondo furente e vorticoso, dove esplode lo scontro e insieme l'estro creativo del regista. In entrambi i casi, senza mai venir meno il rigore della messa in scena. L'impronta è tradizionale ma il taglio moderno, e nonostante il rispetto per i maestri del passato, Miike non si riserva di fare alcune concessioni allo spettacolo più divertito e intemperante (la carica dei bufali infuocati in CGI o l'esplosione con pioggia di sangue), aggiungendo così un contrappunto ironico a una materia tragica e solenne. Qualche lungaggine di troppo intacca solo minimamente la visione. Presentata in concorso a Venezia 67, la versione internazionale è più breve di quindici minuti rispetto a quella giapponese.
Remake dell'omonimo lungometraggio del 1963 di Eiichi Kudo, è il felice approdo di Takashi Miike al jidai-geki (l'anno successivo sarà la volta di Hara-Kiri: Death of a Samurai, remake del classico di Masaki Kobayashi), genere con cui si dimostra perfettamente a proprio agio. Nella struttura narrativa si contrappongono due blocchi, il primo di carattere introduttivo e dominato da un rigido controllo formale, dove vengono presentati i personaggi e create le premesse per l'azione, il secondo furente e vorticoso, dove esplode lo scontro e insieme l'estro creativo del regista. In entrambi i casi, senza mai venir meno il rigore della messa in scena. L'impronta è tradizionale ma il taglio moderno, e nonostante il rispetto per i maestri del passato, Miike non si riserva di fare alcune concessioni allo spettacolo più divertito e intemperante (la carica dei bufali infuocati in CGI o l'esplosione con pioggia di sangue), aggiungendo così un contrappunto ironico a una materia tragica e solenne. Qualche lungaggine di troppo intacca solo minimamente la visione. Presentata in concorso a Venezia 67, la versione internazionale è più breve di quindici minuti rispetto a quella giapponese.
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