Il tuttofare
2018
Paese
Italia
Genere
Commedia
Durata
96 min.
Formato
Colore
Regista
Valerio Attanasio
Attori
Sergio Castellitto
Guglielmo Poggi
Elena Sofia Ricci
Clara Alonso
Salvatore “Toti” Bellastella (Sergio Castellitto), principe del foro dall’eloquio forbito e dalla forza retorica di grande impatto scenico, dietro l’apparenza rispettabile altro non è che un cialtrone meschino e approfittatore, che si serve di tutti coloro che lo circondano e in particolare di Antonio Bonocore (Guglielmo Poggi), un bravo praticante che Bellastella utilizza come tuttofare: Antonio infatti per lui fa tutto, dal portaborse fino al cuoco. Per premiarlo della sua dedizione, quando il giovane praticante supera l’esame da avvocato con risultati eccellenti, Salvatore gli propone un contratto da 10.000 euro al mese presso il suo studio. In cambio, però, Antonio dovrà sposare l’amante argentina del professore, Isabel (Clara Alonso), per farle ottenere la cittadinanza...
Lo sceneggiatore del primo Smetto quando voglio (2014), Valerio Attanasio, passa dietro la macchina da presa con un esordio che riprende lo stesso tema della fortunata trilogia di Sidney Sibilia e che più che in parte ne ricalca il passo e lo stile, anche se attraverso una storia più caricaturale che corale: il precariato e le sue conseguenze sociali e antropologiche nell’Italia di oggi sono viste attraverso il filtro di una commedia pirotecnica, che spinge sul pedale del ritmo e del divertimento con scioltezza, tempi comici brillanti, soluzioni ammiccanti ed esplosive. Il film, dietro la vena scanzonata, sottintende un’autentica disperazione travestita da farsa che gioca d’accumulo, ma alcune soluzioni sono purtroppo risapute e tutt’altro che inventive (la vocina fuori campo del protagonista, le blande strizzate d’occhio allo spettatore), tolgono originalità e rendono un po' meccanico il tutto, soprattutto a ridosso del finale, quando entra in scena il consueto ricorso fumettistico alla mafia. Funzionale il protagonista interpretato dal giovane Guglielmo Poggi, molto azzeccato per il ruolo, ma il film si regge tutto sulle spalle di Sergio Castellitto: grottesco e macchiettistico ogni oltre misura, il suo Bellastella è uno dei cialtroni più viscidi, estremi e spassosi visti nella commedia italiana degli anni duemila, la sua opportunistica e immemore ferocia sembra davvero uscita da un episodio de I mostri (1963) ed è palpabile il divertimento sornione dell’attore nel caratterizzarlo, dal vago ciuffo untuoso alla retorica declamatoria. Passando per la sua idolatria, a tutte le latitudini, per le messe in scene, croce e delizia di questo personaggio e di un paese come l’Italia, fatalmente e parimenti innamorati delle proprie bugie.
Lo sceneggiatore del primo Smetto quando voglio (2014), Valerio Attanasio, passa dietro la macchina da presa con un esordio che riprende lo stesso tema della fortunata trilogia di Sidney Sibilia e che più che in parte ne ricalca il passo e lo stile, anche se attraverso una storia più caricaturale che corale: il precariato e le sue conseguenze sociali e antropologiche nell’Italia di oggi sono viste attraverso il filtro di una commedia pirotecnica, che spinge sul pedale del ritmo e del divertimento con scioltezza, tempi comici brillanti, soluzioni ammiccanti ed esplosive. Il film, dietro la vena scanzonata, sottintende un’autentica disperazione travestita da farsa che gioca d’accumulo, ma alcune soluzioni sono purtroppo risapute e tutt’altro che inventive (la vocina fuori campo del protagonista, le blande strizzate d’occhio allo spettatore), tolgono originalità e rendono un po' meccanico il tutto, soprattutto a ridosso del finale, quando entra in scena il consueto ricorso fumettistico alla mafia. Funzionale il protagonista interpretato dal giovane Guglielmo Poggi, molto azzeccato per il ruolo, ma il film si regge tutto sulle spalle di Sergio Castellitto: grottesco e macchiettistico ogni oltre misura, il suo Bellastella è uno dei cialtroni più viscidi, estremi e spassosi visti nella commedia italiana degli anni duemila, la sua opportunistica e immemore ferocia sembra davvero uscita da un episodio de I mostri (1963) ed è palpabile il divertimento sornione dell’attore nel caratterizzarlo, dal vago ciuffo untuoso alla retorica declamatoria. Passando per la sua idolatria, a tutte le latitudini, per le messe in scene, croce e delizia di questo personaggio e di un paese come l’Italia, fatalmente e parimenti innamorati delle proprie bugie.
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