Totò (Totò) e il figlio Ninetto (Ninetto Davoli) passeggiano per le periferie romane e le campagne circostanti, sfrattando i fittavoli che vi abitano: incontrano un corvo parlante che, da buon intellettuale emiliano marxista, fa loro la morale, raccontando la storia di due fraticelli francescani che, nel XIII secolo, tentarono di convertire falchi e passerotti.
Celebre “poesia cinematografica” dedicata alla crisi culturale della sinistra comunista negli anni '60, girata da Pier Paolo Pasolini all'apice della sua libertà creativa, prima delle controverse opere dell'ultimo periodo. Attraverso un uso smodato, benché a tratti di complessa decifrazione, della metafora e del simbolismo, Pasolini dà vita a una non-commedia con un piede nell'avanguardia (le accelerazioni delle immagini usate non in chiave slapstick), dove viene passata in rassegna l'incapacità della sinistra post-togliattiana di leggere la realtà e cogliere le contraddizioni della società “moderna” (per Pasolini, non necessariamente migliore, anzi) che si stava affermando in Italia. Non solo i marxisti, tuttavia, vengono sparigliati, bensì anche la stessa Chiesa cattolica, che, pur nella sua incarnazione storicamente più nobile (il francescanesimo), si dimostra ingenua e lontana dalla reale violenza della società (i falchi continuano a mangiarsi i passeri, anche se entrambi si dicono persuasi dal messaggio d'amore francescano). Seppur possa risultare troppo “teorico”, Uccellacci e uccellini rimane una ulteriore, grande testimonianza dell'aliena esuberanza intellettuale di Pasolini negli anni '60. Memorabili Ninetto Davoli e Totò, quest'ultimo in uno dei rari ruoli davvero impegnati della sua carriera, paragonati efficacemente dal regista a uno zuffoletto e uno stradivario che danno vita a un bel concertino. Musiche di Ennio Morricone, titoli di testa e di coda interpretati da Domenico Modugno. Presentato in concorso al Festival di Cannes, dove Totò ricevette una menzione speciale per l'interpretazione. Clamoroso insuccesso commerciale.