XVII secolo. O-Haru (Kinuyo Tanaka), prostituta non più nel fiore degli anni, ricorda il suo passato, fatto più di tormenti che di gioie. Di origini nobili, O-Haru venne allontanata dalla sua famiglia a causa del suo amore per un servo. Diventerà la concubina di un feudatario, ma verrà nuovamente cacciata per la gelosia della moglie di quest'ultimo. Finirà a mendicare per strada, prima di avviarsi al triste e umiliante mestiere. Dal romanzo Vita di una donna innamorata di Ihara Saikaku, il film che fece conoscere Mizoguchi in Occidente grazie alla presentazione (con premio) alla Mostra di Venezia. Pellicola che inaugura l'ultima fase della carriera del regista – la migliore, costellata di capolavori come I racconti della luna pallida d'agosto dell'anno successivo – Vita di O-Haru, donna galante è la più grande riflessione su una figura femminile fatta da Mizoguchi in carriera. La protagonista è una donna i cui sentimenti vengono bloccati sul nascere, vittima di una società patriarcale in cui la femminilità è pura merce di scambio, corpo da vendere o fin da umiliare, come si nota nella drammatica sequenza in cui viene pagata da un pellegrino. Grazie anche alla consueta maestria tecnica, in cui i virtuosi movimenti di macchina servono a rappresentare visivamente la psicologia del personaggio e le varie fasi della sua esistenza, l'autore costruisce un dramma spietato, in cui il malinconico finale (O-Haru costretta a chiedere l'elemosina) è soltanto l'apice di una pellicola dal climax narrativo crescente. Perfetta, per coinvolgimento emotivo e strutturazione drammaturgica, la scelta d'iniziare con la fine (o quasi) prima di dare vita a un lungo flashback. Strepitoso, anche grazie alla memorabile prova di Kinuyo Tanaka nella parte più impegnativa della sua intera carriera.