Il tenente Hermes Papauran, uno dei migliori investigatori delle Filippine, si trova davanti ad un profondo bivio morale. È diretto responsabile della micidiale campagna antidroga condotta con forza, ansia e senso di colpa dal suo distretto ma che ha anche scatenato una grave malattia della sua pelle. Mentre cerca di guarire, un passato oscuro lo perseguita e lo costringe a rientrare in contatto con la sorella e vecchie conoscenze che credeva di aver sepolto nel passato. 

Con When the Waves Are Gone, Lav Diaz torna ad affrontare il dilagare della violenza e della corruzione nel suo Paese. Attraverso la controversa parabola di due investigatori, il regista filippino costruisce un noir atipico girato nuovamente in pellicola che fa della cura estetica il vettore fondamentale per la comprensione di un'operazione fortemente citazionista. Il film si apre infatti con una passo dalle opere di Agatha Christie su Hercule Poirot: l'indizio si rivela essere ben presto un MacGuffin che promette un'investigazione destinata tuttavia a non incominciare. La trama si sposta infatti ben presto su altri binari, mostrandoci una malattia cutanea che metaforizza in maniera molto potente l'inquietudine dell'anima del protagonista (John Lloyd Cruz). Dio è centrale nella riflessione ora esibita ora nascosta di personaggi in crisi, esterni alla vita ed incapaci di relazionarsi al mondo circostante. In questo cupo orizzonte, le immagini sembrano quasi fermarsi restituendo un presagio di morte in cui solo la natura con i suoi suoni (le onde che si infrangono ma non solo) sembra poter rimettere in moto la vita. Le scene di ballo prive di un accompagnamento diegetico costituiscono segmenti impossibili da cancellare dalla mente di uno spettatore che resta ad osservare incredulo e contribuiscono a segnare l'immaginario di un cult istantaneo nel panorama del cinema asiatico contemporaneo. Presentato fuori concorso alla Mostra del Cinema di Venezia 2022.