Stufo delle continue e inutili guerre condotte dal governo americano, il documentarista Michael Moore si propone come ambasciatore per una spedizione in terra straniera, mirata a raccogliere quanto di buono le altre nazioni hanno da consigliare agli Stati Uniti per migliorare le loro condizioni sociali. Tornato dietro la macchina da presa sei anni dopo il precedente Capitalism: A Love Story (2009), Michael Moore ritrova lo stile dissacrante e politicamente scorretto che ha sempre caratterizzato i suoi lavori. In questo caso, però, il regista decide di concentrare la propria attenzione su un argomento più disimpegnato del solito: Where To Invade Next non ha alcuna intenzione di denunciare l'assurda vendita di armi concessa negli States o la gestione politica del governo attuale, né tanto meno illustrare il mondo del capitalismo o ironizzare sulle falle della sanità americana. Con questo lavoro, Moore si lascia guidare da ideali più elementari e meno appassionati: se le risate e i momenti divertenti non mancano, a conti fatti il film si dimostra uno dei titoli meno riusciti della carriera del regista per via dell'incapacità di condurre lo spettatore all'interno di una problematica scottante e condivisa, e soprattutto per non riuscire a evitare di scadere in facile approssimazioni sociali che potrebbero turbare gli spettatori più sensibili. Per sostenere la sua tesi, Moore viaggia in lungo e in largo alla ricerca di precisi modelli di riferimento che rendono apparentemente perfetta la vita sociale delle nazioni in cui approda, non curandosi però delle problematiche insite in ogni singolo Paese raggiunto. Ben venga dunque l'ironia e la leggerezza di un divertissement meno pedante degli altri, ma a lungo andare (le due ore di durata sono sicuramente eccessive) il gioco si fa ridondante e i passaggi più “seri” (il discorso sul passato e il presente della Germania rispetto a quelli dell’America, in particolare) sono spesso fuori luogo. Presentato fuori concorso al Festival di Berlino.