L'albero dei frutti selvatici
Ahlat Agaci
2018
Paesi
Turchia, Macedonia, Francia, Germania, Bosnia ed Erzegovina, Bulgaria, Svezia
Genere
Drammatico
Durata
188 min.
Formato
Colore
Regista
Nuri Bilge Ceylan
Attori
Aydın Doğu Demirkol
Murat Cemcir
Bennu Yildirimlar
Serkan Keskin
Ahmet Rifat Sungar
Hazar Ergüçlü
Sinan (Aydın Doğu Demirkol), giovane appassionato di letteratura, ha sempre coltivato il sogno di diventare scrittore. Una volta ritornato al villaggio nativo, torna in contatto con i propri cari e cerca in tutti i modi che il suo ultimo scritto, The Wild Pear Tree, venga pubblicato. Ma il complicato rapporto con il padre rende le cose più difficili del previsto.
Da sempre autore di opere dense e stratificate, in cui il potere della parola e il valore simbolico dei luoghi assumono un ruolo centrale all'interno della narrazione, Nuri Bilge Ceylan, con L'albero dei frutti selvatici, mette in scena una storia di "ritorno a casa" dove riflessione sulla condizione di un intero paese, la Turchia, e dimensione privata costituiscono le direttrici fondamentali attorno a cui è costruito il film. Un viaggio interiore dalla verbosità estenuante, i cui macro blocchi narrativi seguono i vari incontri del protagonista con una resa cinematografica davvero ai minimi termini, all'insegna di un intellettualismo quasi mai stimolante. Statico all'inverosimile, l'ottavo lungometraggio di Ceylan si presenta come una riflessione oversize sulla figura dell'artista, condotta con disarmante prolissità, che trova momenti di notevole intensità sono nell'ultima mezz'ora, quando il paesaggio si carica di suggestioni metaforiche e diventa autentico co-protagonista. Il grande autore turco, che ha segnato il cinema contemporaneo con un stile notevole e riconoscibilissimo con opere splendide come Uzak (2002), Le tre scimmie (2008) e C'era una volta in Anatolia (2011), sicuramente qui non è al massimo dell'ispirazione. Presentato in concorso al Festival di Cannes.
Da sempre autore di opere dense e stratificate, in cui il potere della parola e il valore simbolico dei luoghi assumono un ruolo centrale all'interno della narrazione, Nuri Bilge Ceylan, con L'albero dei frutti selvatici, mette in scena una storia di "ritorno a casa" dove riflessione sulla condizione di un intero paese, la Turchia, e dimensione privata costituiscono le direttrici fondamentali attorno a cui è costruito il film. Un viaggio interiore dalla verbosità estenuante, i cui macro blocchi narrativi seguono i vari incontri del protagonista con una resa cinematografica davvero ai minimi termini, all'insegna di un intellettualismo quasi mai stimolante. Statico all'inverosimile, l'ottavo lungometraggio di Ceylan si presenta come una riflessione oversize sulla figura dell'artista, condotta con disarmante prolissità, che trova momenti di notevole intensità sono nell'ultima mezz'ora, quando il paesaggio si carica di suggestioni metaforiche e diventa autentico co-protagonista. Il grande autore turco, che ha segnato il cinema contemporaneo con un stile notevole e riconoscibilissimo con opere splendide come Uzak (2002), Le tre scimmie (2008) e C'era una volta in Anatolia (2011), sicuramente qui non è al massimo dell'ispirazione. Presentato in concorso al Festival di Cannes.
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