Un gruppo di donne di una comunità mennonita discutono di un segreto scioccante che riguarda gli uomini della colonia in cui vivono. Quando l’agghiacciante verità viene a galla, dovranno decidere se restare e combattere oppure andare via.

Quarto lungometraggio firmato da Sarah Polley, regista e sceneggiatrice di un film che ha proprio nel notevole copione il suo principale punto di forza. Alla base c’è l’omonimo romanzo di Miriam Toews del 2018, a sua volta ispirato a un agghiacciante fatto di cronaca: in una comunità mennonita in Bolivia, le donne della colonia si svegliavano regolarmente scoprendo di essere state violentate nel sonno. Se inizialmente pensavano fosse a causa di demoni misteriosi, ben presto scoprirono che all’origine c’era un potente anestetico datole loro dagli uomini del gruppo per potersi approfittare dei loro corpi. Da questo tragico episodio, Sarah Polley crea un film incentrato sul diritto della scelta, sull’importanza della parola e delle argomentazioni, in cui il piccolo luogo in cui le donne possono finalmente parlare è a metà tra un palcoscenico e un tribunale in cui si mettono insieme le prove per portare avanti una delle due possibili strade: non difesa e accusa, ma scelta di andarsene o di rimanere. Qualche momento retorico e alcuni inciampi lungo il percorso limitano parte della forza di un’operazione che, a ogni modo, risulta riuscita e intensa al punto giusto. Le potenti parole della sceneggiatura sono ben interpretate da un cast generalmente in ottima forma, ma sono anche adeguatamente accompagnate da una fotografia raffinata e da un’elegante colonna sonora. La confezione funziona eccome e il merito è di una regista che si conferma autrice di buona sensibilità: con questo film non ha toccato le vette del suo esordio Away From Her, ma è riuscita ugualmente a raggiungere corde profonde e importanti spunti di riflessione. Da segnalare la vittoria del Premio Oscar per la miglior sceneggiatura non originale.