Questo 2020 ci ha lasciati orfani di innumerevoli pellicole che avremmo voluto gustarci davanti a quel grande schermo che tanto amiamo. Rinvio dopo rinvio il palinsesto cinematografico si è improvvisamente ritrovato scevro di proposte.
Chi ha potuto fare affidamento sulla propria piattaforma in streaming ha lanciato i propri film tramite quest’altro tipo di medium (la Disney in questo senso ha fatto scuola), altre attesissime pellicole invece hanno visto cancellata la propria uscita prevista per quest’anno nefasto. Il rinvio di 007 – No Time to Die è stato, per tutti i fan dell’agente segreto più famoso del grande schermo, un vero e proprio colpo al cuore. C’era tantissima curiosità e voglia di vedere Daniel Craig vestire per l’ultima volta l’elegante abito di James Bond, ma per questo, purtroppo, dovremo aspettare ancora un anno. Nell’attesa di scoprire come si concluderà la storia di questa particolare versione della celebre spia inglese, vogliamo fare un tuffo nel passato di 14 anni: correva infatti l’anno 2006 e un nuovo 007 si preannunciava come una ventata d’aria fresca, un personaggio in grado di distaccarsi da stilemi che necessitavano da tempo di un ringiovanimento.
L’agente interpretato da Daniel Craig è grezzo, arrogante, impulsivo, egocentrico, tutti difetti che gli vengono gli ripetuti (da Vesper e M per la maggior parte) nell’arco del film Casino Royale, diretto da Martin Campbell. È interessante concentrarci però su come la regia utilizzi l’azione, ancor prima delle parole, per presentarci questa nuova versione della spia dell’MI6.
L’inseguimento iniziale, in particolar modo, riesce a fornirci un perfetto quadro descrittivo del protagonista. Troviamo Bond in Madagascar: la missione consiste nel recuperare vivo il mercenario Malaka. La scena d’inseguimento pone davanti agli occhi dello spettatore un confronto impietoso fra il rapido e agile Malaka e l’agente britannico, non proprio a suo agio nell’affrontare quella che sembra una sfida di parkour. Il modo in cui James reagisce a questa situazione di svantaggio ci dice però molto su chi abbiamo di fronte. Bond, impossibilitato dall’affrontare Malaka sul suo stesso campo, improvvisa, dimostrando in questo modo di essere pieno di risorse, impavido ma, al contempo, incosciente: la scena in cui 007 irrompe nel cantiere con la spalatrice esemplifica queste caratteristiche della sua personalità.
L’inseguimento prosegue sulle travi che costituiscono lo scheletro di un edificio in costruzione; Malaka raggiunge la cima della struttura grazie alle sue capacità mentre Bond utilizza l’ingegno, inventandosi così un metodo alternativo per stare dietro al mercenario: ancora una volta si dimostra ingegnoso, ma incurante delle possibili conseguenze delle sue azioni. L’arroganza, altro difetto di cui la spia sarà accusata nell’arco del film, viene alla luce quando Bond salta da una trave all’altra, mettendosi in questo modo in diretta competizione con Malaka. Ovviamente non può uscire che sconfitto da questo confronto e, mentre il mercenario dimostra tutta la sua abilità, l’agente segreto ci viene sempre più presentato come personaggio fallibile. L’impietoso confronto fra i due raggiunge il suo apice nel momento in cui Malaka riesce agilmente a passare da una fessura, Bond, invece, opta per sfondare la parete. Nella parte finale dell’inseguimento (quello dentro l’ambasciata) i ruoli si invertono: adesso è 007 a dover fuggire. Trovatosi con le spalle al muro il personaggio di Daniel Craig dimostra forse quello che è il suo più grande difetto: il suo ego. Bond, uccidendo Malaka, decide di sacrificare la riuscita della missione piuttosto che accettare la sconfitta personale.
Interessante notare come, tramite una scena d’azione a inizio film, ci venga presentato l’eroe di cui andremo a seguire le gesta. Bond, una spia ancora grezza e inaffidabile, affronterà il proprio cammino dell’eroe, riuscendo in parte a limare i suoi difetti, avvicinandosi a quell’eroe che è destinato a diventare.
Simone Manciulli