Si è svolta Mercoledi sera la proiezione del Critofilm Cinexperiment 9: Stephen Dwoskin di Frédérique Devaux e Michel Amarger presso il Teatro Sperimentale. Adriano Aprà, ideatore e curatore della sezione del festival sul cinema che pensa il cinema, ha introdotto il lavoro dei due registi francesi presenti in sala. Questo è il nono episodio di una serie dedicata a “ritratti di registi di opere sperimentali”, così la definiscono gli stessi autori, che scelgono come soggetto di questo episodio Dwoskin, già omaggiato a Pesaro nel 1962 – “Ci interessa il suo lavoro, la sua presenza e la sua implicazione nel lavoro. Abbiamo incontrato l’uomo e l’opera. Il film proiettato stasera è l’incontro di questi”, spiegano i registi. Un documentario girato in un ambiente di amicizia, che vuole evidenziare i temi ricorrenti nella filmografia di una delle figure di spicco del cinema sperimentale inglese degli anni ’60 – la rappresentazione, il desiderio e la solitudine sentimentale e sessuale. Il loro intento è quello di “incitare gli spettatori a scoprire le opere del regista”, che è stato oggetto di confronto nella Tavola rotonda: Critofilm. Cinema che pensa il cinema che si è tenuta questa mattina presso il Centro Arti Visive –Pescheria di Pesaro.
Ieri pomeriggio, invece, è stato proiettato nella Sala Pasolini Marco Ferreri. Il regista che venne dal futuro di Mario Canale. Adriano Aprà, lo ha presentato così: “E’ uno specialista di documentari sul cinema, tutti i suoi lavori hanno una caratteristica particolare. Questo è una sintesi di molti set di Ferreri, ma non è materiale di repertorio”. Mario Canale, poi, ha spiegato: “Il rapporto di amicizia e lavoro con Ferreri è nato negli anni ’80. Ci incontrammo in occasione di Amore tossico di Claudio Caligari prodotto da Ferreri. Il documentario che presento a Pesaro è un atto d’amore”.
A concludere le proiezioni nella Sala Pasolini, poi, il terzo ed ultimo appuntamento della sezione Lezioni di storia – Videoteppismi: storie e forme del video di lotta tenuta da Federico Rossin, curatore della sezione, con la proiezione di Zurigo brucia di Videoladen Zurich. “Questo ciclo è nato come sfida– spiega Rossin – abbiamo voluto raccontare la forma tecnica e ideologica del video di lotta. Il cinema militante è diverso dal video, che è invece più malleabile, c’è la possibilità del flusso e di mostrare in diretta le immagini”. Zuri Brannt è una specie di Babilonia, una prigione europea, si racconta un evento sociale e politico avvenuto a Zurigo a fine anni ’70 e inizi anni ’80: “In quel periodo c’era una radicalizzazione fascista – continua Rossin – i fondi pubblici venivano utilizzati per il mondo spettacolare. E’ quindi la storia di una città che insorge contro il potere che distrugge gli spazi di autonomia”. Quello che conta non è tanto come si gira, ma come lo si mostra: “Nasce un pensiero politico, a Zurigo ci sono un anno di scontri, di violenza urbana. Chi ha agito vuole essere storico di se stesso per creare una memoria, vuole essere soggetto della storia e della forma. Per la prima volta il video affronta il saggio”.