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Analizzando "Another End"
Riceviamo e volentieri pubblichiamo questa analisi di Another End firmata da Claudia Ronchi.


Celebrale. Filosofico. Inquisitore. Per Another End, Piero Messina, il regista, sceglie un cast ancora più internazionale del suo precedente lungometraggio (L’attesa) e porta sullo schermo l’attrice francese Bérénice Bejo nel ruolo di Ebe, affettuosa sorella di Sal, interpretato dal messicano Gael Garcìa Bernal, inconsolabile vedovo di Zoe (anche se in realtà non era sposato con la compagna), la norvegese Renate Reinsve, deceduta in un incidente automobilistico con Sal al volante. Un lutto e una disperazione che stanno per inghiottire Sal che decide, dopo svariati tentennamenti e un tentativo di suicidio, di accettare la proposta di Ebe e di provare la tecnologia della società per cui Ebe lavora (Another End, da cui il titolo) che permette di trapiantare momentaneamente i ricordi della persona deceduta in una persona viva. Sal si trova in casa, quindi, con una donna che fisicamente non è Zoe ma ha i ricordi e il vissuto di Zoe e così Sal ha qualche giorno per prepararsi all’addio definitivo. L’innovazione tecnologica è l’escamotage che permette al regista di sollevare una serie di temi molto profondi, filosofici, etici e di porre domande altrettanto profonde e intime agli spettatori. Cosa ci manca di una persona che non c’è più? Tutto, certo. Ma ci basterebbe poterla riavere solo con i ricordi, e solo per qualche giorno, per avere il tempo di abituarci alla sua definitiva scomparsa? Bastano i ricordi o serve anche il corpo della persona persa? Molti hanno visto in Another End tratti di Se mi lasci ti cancello ma, a mio avviso, nel film di Messina ci sono spunti ancora più stimolanti e un coinvolgimento emotivo più straziante. Il volto di Sal è una maschera di dolore di un uomo che non trova pace e sul quale il regista indugia a lungo contribuendo ad estendere fino a 130 minuti la durata del film che forse avrebbe meritato uno sfoltimento di mezz’ora (senza perdere la sua incisività). Così come sono commoventi tutti i personaggi che girano intorno a Sal (inclusi i vicini). Pregevoli alcune scelte visive del regista: appagante per gli occhi l’ampia inquadratura dall’alto delle “custodie” in cui giacciono i corpi dei volontari che si offrono come “sostituti”; disorientante la città cupa e non definita in cui si muovono i personaggi; astuta la decisione di non mostrare il “caricamento” dei ricordi nella testa dei corpi dei volontari. A proposito di richiami, impossibile non pensare un po’ anche a Xavier Dolan, in particolare nella scena in cui Ava (il nome della volontaria che si presta a ricevere i ricordi di Zoe) emerge dallo sfondo nero del locale in cui lavora, come se arrivasse da un buco nero, da un altro mondo. Il finale sorprende anche se qualche “semina” si può cogliere soprattutto in Sal e soprattutto nei primi minuti. Merita un cenno anche la colonna sonora che vede fortemente impegnato per le musiche il compositore, arrangiatore e cantautore Bruno Falanga con cui Messina ha fatto coppia già in passato per la serie tv “L’ora – Inchiostro contro piombo” e a cui si affiancano altri brani di Vic Mensa, Zonderling, Low Roar e due pezzi dello stesso Messina di cui uno in featuring con Emika. Non un capolavoro, ma senz’altro un film molto godibile.

Claudia Ronchi 
Maximal Interjector
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