Sogno di una notte di inizio estate.
Si potrebbe definire così Anima, il nuovo corto musicale diretto da Paul Thomas Anderson che ha per protagonista assoluto Thom Yorke e la musica del suo album omonimo uscito oggi.
Per quindici minuti seguiamo Yorke in un viaggio, pieno di ostacoli e peripezie che lo tengono lontano dalla sua innamorata, degno di un eroe shakespeariano come di uno dei protagonisti delle commedie mute degli anni ’20.
L’ispirazione al cinema muto è chiara già dal nome usato in inglese per definire il corto: one-reeler, “un film, solitamente un cartone animato o una commedia, della durata di 10-12 minuti, girato su un’unica bobina; popolare soprattutto nell’epoca dei film muti”.
L’unico rotolo di pellicola è decisamente lontano da questo esperimento, ma è lo spirito dell’epoca a pervadere il corto: il personaggio di Yorke è un perfetto “eroe senza nome”, capace di muovere il proprio volto e il proprio corpo come un novello Buster Keaton (è lo stesso Paul Thomas Anderson a notare questa somiglianza in un’intervista).
Il film si apre con Yorke sulla metropolitana, circondato da una massa di lavoratori vestiti di colori scuri e mezzi addormentati. Anche lui sta per cedere al sonno, quando sente su di sé lo sguardo di una passeggera (Dajana Roncione, la compagna del cantante): i due si guardano e scatta qualcosa di imperscrutabile; non è abbastanza, però, per scuoterli dal torpore della loro danza assonnata sulle note di “Not the News”, prima delle tre canzoni che compongono la colonna sonora.
Da questo momento le coreografie di Damien Jalet diventano il linguaggio principale del corto, sostituendosi ai dialoghi in maniera eccellente. Jalet e Yorke si sono incontrati durante la lavorazione di Suspiria e hanno sentito la necessità di continuare la collaborazione. Paul Thomas Anderson si è aggiunto intorno a dicembre e i lavori per il corto sono andati avanti con velocità, concludendosi con pochi giorni di riprese (tra l’11 e il 19 maggio) e l’arrivo su Netflix poco più di un mese dopo.
La danza continua fino a quando la metropolitana non arriva a destinazione e Yorke nota che la bella passeggera ha dimenticato una valigetta: con un veloce movimento, la recupera, pronto a tutto per restituirla alla proprietaria.
Ovviamente, però, gli ostacoli sono dietro l’angolo: dal tornello della metropolitana che gli impedisce di uscire al piano inclinato su cui continua a trovarsi e da cui continua a cadere nonostante gli sforzi, tutti gli elementi e le persone presenti in questo non-luogo, lo tengono lontano dalla donna, distraendolo e coinvolgendolo in complicate coreografie, accompagnate da “Traffic”.
Rimasto infine solo, al centro di una tempesta di rifiuti, il nostro eroe cade per un’ultima volta e si ritrova all’aperto, con la sua bella ad attenderlo. Dimenticata la valigetta i due si cimentano in una danza sulle note di “Dawn Chorus”: finalmente unite, le loro anime non si divideranno più, piroettando per le strade di Praga all’alba, libere dagli obblighi e dalle costrizioni.
Il sole, però, sta per sorgere e c’è un tram ad aspettarli, insieme alle altre anime dei lavoratori che si sono perse a danzare nella notte. Così, mentre la voce di Yorke in sottofondo canta “If you could do it all again, it’s time, it’s time” (Se potessi fare tutto da capo, è ora, è ora), gli innamorati si toccano un’ultima volta e tornano a dormire.
Un sogno estivo, quindi, o un momento di evasione dalla realtà ripetitiva e monotona? O entrambe le cose? Il corto ci lascia con la sensazione di aver appena passato un quarto d’ora in una bolla sospesa fuori dal tempo e dallo spazio, dove i film muti degli anni ’20 si sposano con le sonorità elettroniche contemporanee, e con una sola certezza: Paul Thomas Anderson e Thom Yorke, quando lavorano insieme, sono capaci di esaltare le loro già straordinarie qualità, arrivando a creare una perfetta sinergia fra il cinema e la musica.
Era il 1992 quando Thom Yorke cantava “I want a perfect soul”, desiderando di più, disperato nel suo bisogno di sentirsi parte di qualcosa. Ora, con Anima, il cantante fa eco alle sue stesse parole, dimostrando di avere infine trovato ciò che voleva.
Francesca Sala