Frederikke Aspöck (Danimarca), Lukas Moodysson (Svezia) e Metod Pevec (Slovenia) sono i protagonisti di Europe, Now!, la sezione di Bergamo Film Meeting dedicata al cinema europeo contemporaneo
La consolidata sezione Europe, Now! di Bergamo Film Meeting, che da anni rivolge l'attenzione al cinema d’autore europeo contemporaneo, nel corso della sua 42a edizione presenterà le personali di Frederikke Aspöck, regista emergente del cinema danese già riconosciuta a livello internazionale (Labrador, 2011, Out of Tune, 2019, e il più recente Empire, 2023), dello svedese Lukas Moodysson, autore noto anche in Italia soprattutto per i suoi film a cavallo tra gli anni ’90 e i primi 2000 (Fucking Amal, 1998, Together, 2000, Lilja 4-ever, 2002 e We Are the Best!, 2013), e di Metod Pevec, regista di fiction e documentarista, tra i protagonisti della rinascita del cinema sloveno dopo la fine dell’ex Jugoslavia (Beneath Her Window, 2003, Estrellita, 2006, I Am Frank, 2019).
I tre autori saranno presenti a Bergamo durante i giorni del Festival.
La sezione sarà arricchita da una selezione dei film di diploma delle scuole di cinema europee che aderiscono al CILECT - realizzata in collaborazione con la Civica Scuola di Cinema Luchino Visconti di Milano -, e da Europe, Now! Film Industry Meetings (12 – 13 marzo) le due giornate rivolte ai professionisti di settore che intendono essere un’occasione di networking e una piattaforma di aggiornamento.
Frederikke Aspöck (Copenaghen, Danimarca - 1974)
Frederikke Aspöck è regista e sceneggiatrice e i suoi film hanno fatto il giro del mondo nei festival cinematografici vincendo numerosi premi.
Dopo essersi laureata in Scenografia per il Teatro alla Wimbledon School of Art di Londra, si trasferisce a New York dove, nel 2004, consegue un Master in Filmmaking alla Tisch School of the Arts della New York University. Durante questo periodo, scrive e dirige quattro cortometraggi che già dimostrano la sua particolare attenzione per le immagini: Footsteps (1999), The Browns (2000) e Lion-Tamer (2001). Nell’anno del diploma realizza Happy Now (2004), storia di una particolare giornata in spiaggia di una tipica famiglia americana, che dopo pochi mesi le fa vincere, tra gli altri, il Primo Premio Cinéfondation al Festival di Cannes.
Regista di attori con un amore spiccato per l'essere umano imperfetto, Aspöck usa un mix di dramma, commedia fisica e narrazione visiva per ritrarre le persone nel modo in cui lei le preferisce: mentre cercano ardentemente di fare del loro meglio nella vita, pur sbagliando inavvertitamente lungo il percorso.
Tornata in Danimarca, nel 2009 dirige il cortometraggio Får (Sheep) che racconta di infedeltà, abbandono e rivelazioni dettate dall'alcol durante un’imprevedibile festa di mezza estate.
Nel 2011 porta a termine il suo primo lungometraggio Labrador (Out of Bounds), una storia che parla di famiglia e d’amore; il lungometraggio, girato su un’isola deserta e ventosa, viene presentato fuori concorso alla 64° edizione del Festival di Cannes e vince il Gran Premio al Festival Internazionale del Cinema di Marrakech. Successivamente, nello stesso anno, viene chiamata a realizzare un cortometraggio in occasione dell’Aarhus Festuge, un festival di arte e cultura che si svolge nell'omonima città danese: con un solo giorno di riprese a disposizione e sulle note della canzone Buttons dei Lambchop, assegnatale dal Festival, la Aspöck crea Moving On, una piccola storia di sguardi e separazioni.
Il suo film successivo è Rosita (2015): qui un vedovo di mezza età fa venire in Danimarca la giovane filippina Rosita e la sposa, coinvolgendo suo malgrado il giovane figlio come interprete. La pellicola vince il Premio per la Miglior Regia al Festival Internazionale del Cinema di Mosca.
De frivillige (Out of Tune, 2019), una combinazione perfetta di dramma e commedia, diviene un successo al botteghino danese: la storia si svolge tutta all’interno di una prigione e racconta di uno sgangherato coro di detenuti e del suo direttore. Basato su un'opera teatrale acclamata dalla critica e diretta dalla stessa Aspöck, il film è stato presentato in anteprima mondiale al Festival di Rotterdam e proiettato al Festival di Göteborg.
Il suo ultimo film Viften (Empire, 2023) ha vinto il prestigioso Nordic Council Film Prize. In questo dramma ambientato nella colonia danese di St. Croix nel XIX secolo, la regista ritrae l'oscura eredità del suo Paese raccontando la storia di due donne di colore: una libera e amante del governatore della colonia, l'altra schiava della loro famiglia.
Tutti i film di Frederikke Aspöck sono accomunati da una grande fiducia negli esseri umani imperfetti e dalla convinzione che commedia e tragedia vadano sempre di pari passo.
Lukas Moodysson (Lund, Svezia - 1969)
Lukas Moodysson è regista, sceneggiatore, romanziere e poeta. Cresciuto a Åkarp, nella contea di Skåne, trascorre a detta sua un’adolescenza da emarginato, comunicando soprattutto attraverso la poesia. All'età di 23 anni aveva già scritto cinque raccolte di poesie e pubblicato un romanzo. Per uscire dal proprio isolamento e ottenere un pubblico più ampio, decide di passare alla regia e si iscrive all'unica scuola di cinema svedese dei tempi. Dopo tre corti, nel 1998 gira il suo primo lungometraggio, Fucking Åmål (Fucking Åmål - Il coraggio di amare), commedia romantica che narra con autentica freschezza la storia d’amore tra due ragazzine in una piccola città di provincia. Il film, accompagnato da una colonna sonora accattivante, ha un successo enorme in Svezia e viene distribuito in tutto il mondo, dopo aver raccolto premi un po’ ovunque, da Karlovy Vary alla Berlinale, dal Cinema Jove di Valencia al festival di Rotterdam. Il successivo Tillsammans (Together, 2000) è ancora una commedia, questa volta ambientata in una comune svedese degli anni ’70. Con un tocco di umorismo benevolo, Moodysson osserva le relazioni all’interno della famiglia allargata e l’interagire dei suoi componenti con il mondo esterno, restituendo lo spaccato di un’epoca, senz’altro enfatizzata dalle musiche del tempo e dai successi degli ABBA.
Dopo la solarità e l’ottimismo dei primi due film, il regista sorprende con un dramma crudo e brutale, Lilya 4-ever (2002), storia di una giovane di un paese imprecisato dell'ex Unione Sovietica, abbandonata, rapita, costretta a prostituirsi. Presentato in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia, il film ottiene numerosi premi e candidature ai festival internazionali e rafforza il riconoscimento del regista agli occhi della critica.
Ancora più spiazzanti sono i suoi successivi lavori, Ett hål i mitt hjärta (A Hole in My Heart, 2004) e Container (2006), dove si cimenta col cinema sperimentale. Il primo dei due, ha una trama appena accennata (una coppia di pornografi gira un video in un appartamento claustrofobico), con immagini esplicite e inquietanti. Il secondo è un flusso di coscienza affidato alla voce dell’attrice Jena Malone che accompagna immagini in bianco e nero apparentemente non correlate al monologo.
Dopo questa parentesi, torna a un cinema più tradizionale, prima con Mammoth (2009), che debutta in concorso alla Berlinale e racconta di una coppia newyorkese di successo, della loro figlia e della sua tata filippina alle prese con la globalizzazione, poi con We Are the Best! (2013), adattato da un graphic novel della moglie Coco e incentrato su una band di ragazzine tredicenni che fanno musica punk agli albori degli anni ’80. Un film che riporta il regista a esplorare le sfide dell’adolescenza e del coming-of-age. Proposto anche questo al festival di Venezia, è un nuovo successo di critica e di pubblico.
Nel 2019, scrive e dirige per HBO Nordic una serie televisiva in dodici episodi, Gösta (2019), sulle avventure di un giovane psicologo infantile neo-laureato, con l’ambizione di fare del suo meglio per essere il più gentile possibile e aiutare tutti i suoi pazienti. Infine, nel 2023, approda al festival di Toronto con Tillsammans 99 (Together 99), che riunisce gli amici della comune conosciuta nell’originario Together, ventiquattro anni dopo: una festa di compleanno alla fine degli anni ’90 è l’occasione per vedere come le vicissitudini politiche e personali hanno condizionato e trasformato la vita dei protagonisti.
La filmografia di Moodysson riflette un interesse per le storie umane autentiche, insieme a una spiccata sensibilità per le tematiche sociali. La sua inconfutabile capacità di tratteggiare i personaggi con uno sguardo indulgente e ironico, esplorando temi complessi e impegnativi con leggerezza, ma anche senza paura di spingersi nei meandri della sperimentazione e, a volte, della provocazione, fa di Lukas Moodysson una delle figure più significative del cinema svedese contemporaneo.
Metod Pevec (Lubiana, Slovenia - 1958)
Metod Pevec ha intrapreso più di una carriera, prima come attore, poi come scrittore e sceneggiatore e infine come regista. Durante la sua vita da studente di Filosofia e Letteratura comparata all’università, alla fine degli anni ’70, inizia a recitare per il piccolo e il grande schermo, assumendo il ruolo principale in diverse serie televisive, in film sloveni e jugoslavi, e diventando un volto piuttosto riconosciuto in patria. Come scrittore, comincia a pubblicare negli anni ’80, firmando radiodrammi, sceneggiature, racconti e romanzi. Il decennio successivo, passa dietro la macchina da presa, prima con il cortometraggio Vse je pod kontrolo (Everything Is Under Control, 1992), poi con il lungo Carmen (1995), incentrato sulla figura di una giovane prostituta, dal cui soggetto, scritto già nel 1990, è nato anche l’omonimo romanzo pubblicato nel ’91. Pevec è tra i primi registi sloveni a girare un lungometraggio dopo la dissoluzione della Jugoslavia e si può a buon ragione considerare come uno degli autori che hanno aperto la strada alla rinascita del cinema del proprio Paese. Senza mai smettere di scrivere romanzi e radiodrammi, nei primi anni ’90 inizia anche a collaborare con la televisione slovena, per la quale dirige alcuni film, soprattutto documentari. Dopo la pubblicazione di un romanzo poliziesco, nel 2003 realizza una nuova pellicola , una commedia romantica, Pod njenim oknom (Beneath Her Window) – protagonista un’istruttrice di ballo in piena crisi esistenziale – con la quale debutta al festival di Karlovy Vary, vince numerosi premi al FSF - Festival del Cinema Sloveno e si candida agli Oscar per il miglior film straniero. È però Estrellita – pesem za domov (Estrellita, 2006) a confermare il nome di Metod Pevec fuori dai confini natii: un dramma corale dove i personaggi, diversi per età, estrazione sociale e ambizioni, si contendono l’eredità di un prezioso violino. Seguono Lahko noč, gospodična (Good Night, Missy, 2011) e Vaje v objemu (Tango Abrazos, 2012), due film girati uno dopo l’altro, che in modo diverso affrontano le dinamiche delle relazioni di coppia.
Ci sono elementi e punti fermi che si rincorrono nei film di Pevec, come la musica e la danza («difficilmente riesco a fare un film senza una scena di ballo»), o le protagoniste dal carattere forte («confrontando i miei personaggi femminili e maschili in generale, mi sembra che quelli femminili rappresentino la metà migliore e più sana dell'umanità»), ma su tutto prevale un’attenzione specifica alle relazioni personali e al modo come queste sono influenzate dalle dinamiche e dai cambiamenti sociali. In particolare, con il suo ultimo documentario Dom (Home, 2015), che testimonia del processo di privatizzazione di un alloggio per operai edili, e il lungometraggio Jaz sem Frenk (I Am Frank, 2019), dove il conflitto tra due fratelli si manifesta anche a livello ideologico e morale, traspare una predilezione per le storie di marginalità (come già in Carmen e, parzialmente, in Estrellita), ma soprattutto la voglia di analizzare gli effetti sulle persone della transizione politica, economica e culturale del Paese dal sistema socialista al neo-capitalismo. Non per tracciare una linea tra buoni e cattivi (anche i villain, nei film di Pevec, hanno un fondo di umanità), tra un passato idealizzato e un presente corrotto, ma quanto per farsi narratore consapevole, critico e disincantato di un processo di cambiamento che ha provocato una iniqua stratificazione sociale e ha minato l’armonia dei rapporti interpersonali.