News
Bimbi Belli 2013-2018: i cinque migliori esordi italiani degli ultimi cinque anni

Prendiamo in prestito il titolo alla rassegna romana di Nanni Moretti dedicata agli esordi del nostro cinema per proporvi quelli che, a nostro avviso e stando anche ai voti del nostro dizionario, sono i cinque migliori esordi italiani arrivati nelle sale dal 2013 al 2018.

Un classifica che non a caso arriva in prossimità dell’uscita in sala, il prossimo 7 giugno, del potente e sorprendente La terra dell’abbastanza dei fratelli Damiano e Fabio D’Innocenzo, già passato con successo nella sezione Panorama della Berlinale 2018.

Ecco le nostre magnifiche cinque prime volte dell’ultimo lustro!

5) I racconti dell’orso

I racconti dell'orso

Una bambina sogna: un monaco meccanico insegue uno strano omino rosso attraverso diversi paesaggi naturali, tra città in disarmo e terre deserte. Quando i due trovano un orsacchiotto rotto, si alleano nel tentativo di ripararlo. Esordio alla regia dei due giovani registi romani Samuele Sestieri e Olmo Amato, I racconti dell’orso è un curioso, piccolo film dalle tonalità naif che, a partire da un viaggio realizzato in terra scandinava dai due autori, dà vita a una sorta di favola sospesa tra sogno ed evocazione, tra toni misterici e riferimenti religiosi. Sestieri e Amato, che hanno girato nelle location reali via via incontrate nel corso del loro itinerario, all’interno di una natura spesso inospitale ma anche incantata e stupefacente, hanno rielaborato la notevole quantità di bellissime immagini catturate in quegli angoli di mondo dando loro una coesione e una quadratura narrativa a posteriori, in un work in progress che si è evoluto passo dopo passo nel corso della lunga lavorazione, supportata anche dal crowfunding nelle fasi finali. Un film fiabesco e giocoso, al contempo infantile e profondo, un vero prodotto alieno per il cinema italiano contemporaneo.

Leggi qui la nostra recensione completa.

4) La mafia uccide solo d’estate

La mafia uccide solo d'estate

Arturo (Pierfrancesco Diliberto) è un giovane palermitano che racconta la sua vita in prima persona, dall’infanzia all’età adulta. La narrazione si concentra su due fronti: il rapporto con Floria (Cristiana Capotondi), di cui è innamorato sin dalle scuole elementari, e i fatti di mafia che hanno segnato la sua intera esistenza. L’esordio di Pierfrancesco Diliberto (in arte Pif) è un lungometraggio sorprendente, sui cui in pochi avrebbero scommesso. Il noto conduttore televisivo, figlio del regista Maurizio Diliberto, riesce a mantenere, ne La mafia uccide solo d’estate, un invidiabile equilibrio tra grottesco e cronaca nera, ironia e tragedia. Diviso nettamente in due parti (l’infanzia e l’età adulta del personaggio), il film è un intenso racconto di formazione, ambientato in un mondo e in un periodo storico nel quale i fatti di sangue legati a Cosa nostra erano all’ordine del giorno. Scandito da tempi perfetti nelle prime battute, La mafia uccide solo d’estate ha un piccolo calo verso la conclusione, che non inficia però il buon risultato complessivo.

Leggi qui la nostra recensione completa.

3) Miele

Miele

Irene (Jasmine Trinca), trent’anni, assiste malati terminali che hanno deciso di abbreviare la loro agonia; va all’estero per comprare i medicinali adeguati e torna in Italia per somministrarli a chi ha scelto di farla finita. La sua routine viene però spezzata dalla richiesta di un anziano ingegnere (Carlo Cecchi), depresso ma in buona salute, che metterà in crisi tutte le sue convinzioni. Intensa e toccante opera prima da regista per l’attrice Valeria Golino, liberamente ispirata al romanzo Vi perdono di Angela Del Fabbro. Nonostante il tema delicato, e ad alto rischio di facili strumentalizzazioni, l’autrice affronta il tutto nel modo giusto, puntando su una confezione rigorosa e formalmente suggestiva, oltre che su una serie di dialoghi credibili e capaci di toccare corde profondissime.

Leggi qui la nostra recensione completa.

2) Cuori puri

Cuori puri

Agnese (Selene Caramazza) e Stefano (Simone Liberati) sono due opposti: lei ha da poco compiuto diciott’anni, vive con una madre amorevole che tuttavia le impartisce una rigida educazione religiosa (Barboura Bobulova) ed è in procinto di fare voto di castità fino al matrimonio; lui, venticinque anni, deve convivere con una famiglia prossima allo sfratto e col lavoro durissimo e pericoloso di custode di un parcheggio confinante con un campo rom. Sorprendente esordio del fotografo e video-artist Roberto De Paolis, forte di una formazione eclettica nel mondo del cinema, del giornalismo, delle gallerie d’arte. In una Roma periferica e marginale (il quartiere prescelto è quello di Tor Sapienza), il regista incastona la love story impossibile di due solitudini che si sfiorano e s’innamorano contro tutto e tutti: Agnese e Stefano sono vettori di una purezza costretti a fare i conti con le scorie della realtà prosaica che li circonda, cuori puri che si scoprono per forza di cose impuri, umanissimi e difettosi nel momento in cui si toccano l’uno con l’altro e decidono di credere, nonostante tutto, in un amore più che mai incerto. Le creature caduche e vitali di De Paolis, che beneficiano delle speculari interpretazioni dei rispettivi interpreti, fanno dialogare il mondo dell’oltranzismo religioso e della tolleranza verso il prossimo a ogni costo ma solo sulla carta, incarnata da Agnese, con l’intolleranza razziale irruente e scomposta di Stefano, che si specchia in un campo rom posto accanto al parcheggio dove lavora a mo’ di riserva indiana.

Leggi qui la nostra recensione completa.

1) La terra dell’abbastanza

La terra dell'abbastanza

Mirko (Matteo Olivetti) e Manolo (Andrea Carpenzano) sono amici fin dalla scuola elementare, vivono a Tor Bella Monaca e sperano di lasciare al più presto gli studi per dedicarsi ad altro. Una sera, mentre sono insieme e il primo dei due è alla guida, investono un uomo e si dileguano senza soccorrerlo. Un evento tragico, perché con ogni probabilità l’uomo è morto. Ma forse non del tutto, perché si spalancheranno per entrambi le porte della malavita…Sorprendente e potente esordio dei fratelli Damiano e Fabio d’Innocenzo, La terra dell’abbastanza fin dal titolo prende una presa di posizione netta rispetto alla realtà incandescente che affronta: il quartiere romano di Tor Bella Monaca, del quale sono originari gli stessi registi, vera e propria zona rossa della Capitale, che la cronaca è abituata a considerare terra di nessuno e avamposto criminale. L’urgenza dei due autori, per la prima volta dietro la macchina da presa, è palpabile fin dalle prime inquadrature e denota una notevole sensibilità estetica ed ambientale, tanto per la fisicità degli spazi e dei propri interpreti quanto per la messa a fuoco, puntualmente viscerale, di una realtà alle corde. Il film racconta, con una semplicità a tratti eccessiva ma anche con naturalezza stordente, il passaggio alla criminalità organizzata come casualità che si trasforma in contingenza e risuona, dunque, ancora più drammatica (ottimo anche l’uso, qua e là distorto e onirico, del sonoro). Lo spaccato antropologico regge sempre l’urto, mentre la seconda parte, sebbene altrettanto ben girata, è più debole e meno centrata sul piano narrativo rispetto alla prima. Tirando le somme, però, risaltano ben nitide le coordinate e i confini di un mondo suburbano condannato, più che alla tragedia, a un fatalismo stordito, quasi privo di bussola, come testimoniano per esempio la scena dell’iniziazione all’uso della pistola, quella del pianto disperato di Mirko (forse la migliore in assoluto) e soprattutto la presenza di un dolente padre ferito interpretato da un intenso e impeccabile Max Tortora, a cui i registi hanno saputo ritagliare un inedito e sorprendente ruolo drammatico.

Leggi qui la nostra recensione completa.

Maximal Interjector
Browser non supportato.