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Collateral: il cortocircuito di due identità nel capolavoro di Michael Mann
Collateral (2004), diretto da Michael Mann, è un’epopea notturna livida e appassionante, un neo-noir in cui, grazie anche a una fotografia che gioca con le potenzialità offerte dal digitale, emerge una metropoli alienante, allucinata e dispersiva, i cui gli abitanti sono individui solitari, apatici e freddi, come le luci che illuminano le strade di Los Angeles.

Ciò che rende interessante il racconto, drammaturgicamente parlando, ormai è arcinoto: il conflitto. In Collateral, grazie anche alla brillante sceneggiatura di Stuart Beattie, è proprio il conflitto interiore di Max e Vincent il fulcro centrale dell’intera narrazione. I due uomini rispecchiano apparentemente due personalità agli antipodi: Max, il tassista che sogna di aprire una compagnia di limousine, e Vincent, il killer spietato. Il conflitto interiore fra i due Io di Max è evidente: il personaggio interpretato da Jamie Foxx è in perenne bilico tra ciò che vorrebbe essere (una persona di successo, un autista di lusso) e ciò che in realtà è (un modesto tassista, bloccato per 12 anni in quello che per lui è soltanto un lavoro provvisorio).



Il contrasto tra Max e i suoi colleghi è fin da subito evidente: Max cura il proprio taxi in maniera certosina, tutto deve essere perfetto in quella che sembra proprio una proiezione fragile e naive dei suoi sogni. Al contempo il nostro tassista non ha però il coraggio di prendere una decisione: rischiare un posto sicuro per diventare l’uomo che mira a essere. Per spingerlo a muoversi da questa situazione di paralisi c’è bisogno di una scintilla, un evento traumatico in grado di scombussolare quelle sovrastrutture che bloccano il vero Io di Max. È grazie al conflitto con l’antagonista che l’eroe riesce a crescere, e Vincent, proprio in quest’ottica, rappresenta paradossalmente il più grande alleato per l’Io di Max. È così che il nemico diventa mentore, costringendo il nostro protagonista a tirare fuori il suo vero carattere; un processo di crescita che avviene in una sola notte, un cambiamento sviluppatosi con ritmi quasi ipercinetici (ma anche con grande attenzione alla gradualità del mutamento) proprio grazie alla situazione traumatica in cui si trovano i nostri personaggi. Vincent sprona Max a reagire al suo capo, spingendolo a dirgli di “infilarsi su per il culo quel fottuto taxi giallo”. Una liberazione per il nostro protagonista, e un primo passo verso quell’Io che tiene sommerso. Da questo momento in poi la crescita di Max è costante: il nostro protagonista inizia a tenere testa al killer (cosa impensabile all’inizio della pellicola), ruba la sua valigetta e la getta giù da un ponte, atto sconsiderato e ardito da parte dell’autista che sfida a viso aperto il personaggio interpretato da Tom Cruise.



Vincent rappresenta tutto ciò che Max a inizio film non era: un uomo sicuro, deciso, in grado di prendersi ciò che vuole. Durante questo viaggio Max si avvicina sempre più alla personalità dell’assassino, tanto da prenderne in prestito l’identità: l’autista si spaccia per Vincent, unico modo per entrare in un club. Le due personalità, che a inizio film erano a tutti gli effetti due poli opposti, entrano in collisione e in questo cortocircuito di identità Max riesce a tirare fuori la sicurezza e il coraggio di cui era carente. Vincent, oltre che l’antagonista, rappresenta anche la guida per Max ed è interessante notare come questi ruoli possano essere ribaltati: anche il nostro tassista ha qualcosa da insegnare allo spietato killer. Durante questa notte passata insieme, il freddo e spietato Vincent, dimostra a più riprese tratti di sincera empatia, quasi affetto, verso il nostro protagonista. A differenza però di Max, Vincent respinge il cambiamento e, a questo punto, i due mentori tornano a essere antagonisti: uno dei due dovrà infatti morire. Sarà Vincent ad avere la peggio, anche se un lampo di luce nel suo sguardo ci fa però capire che quella notte, passata con il più improbabile dei compagni di viaggio, un tassista che sogna di diventare un autista di lusso, ha lasciato un segno nell’Io di Vincent: la consapevolezza del suo vuoto vagare, proprio come quello di un coyote per le strade di una Los Angeles sempre più sprofondata in una notte alienante.



Simone Manciulli
Maximal Interjector
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