Tra le icone italiane del thriller e dell'horror a tinte sovrannaturali, Dario Argento è divenuto celebre sin dal suo esordio con L'uccello dalle piume di cristallo (1970), che ha inaugurato la "Trilogia degli animali", oltre che una lunghissima carriera. Ecco i titoli che è possibile recuperare in streaming:
L’uccello dalle piume di cristallo (1970): Rai Play e Amazon Prime Video
Il film gode di una sceneggiatura fluida e trascinante, di una tecnica sorprendente (soprattutto nelle sequenze degli omicidi) e contribuì a lanciare il tormentone tipicamente argentiano del “particolare che sfugge”, espediente narrativo su cui si regge la vicenda. Con l'unico e non del tutto trascurabile limite di ricalcare un po' troppo le soluzioni di Mario Bava. Memorabili le soggettive del serial killer che si avvicina alle prede e gli incalzanti frame dei ricordi di Dalmas.
4 mosche di velluto grigio (1971): a noleggio su AppleTv+
Un asciutto thriller psicologico che indaga la malattia mentale e mantiene costante una sottile tensione, esplosiva nelle scene di violenza e comunque più contenuta rispetto ad altri film di Dario Argento. Il ritmo è sostenuto da sequenze brevi e incalzanti che definiscono tempi, luoghi e situazioni, mentre la soluzione dell'enigma, a cui si riferisce il titolo, seppur macchinosa, funziona e destabilizza. Gli inserti umoristici (di cui sono protagonisti Oreste Lionello, che interpreta il Professore, e Bud Spencer) risultano però superflui e abbastanza fastidiosi.
Il gatto a nove code (1971): Rai Play, Amazon Prime Video
Opera anomala nella filmografia di Dario Argento, Il gatto a nove code evita le derive visive tipiche del regista romano, limitandosi a delineare una struttura di impianto giallistico, compatta e senza fronzoli, calata in sapienti scenografie. Ma la sceneggiatura presenta troppe incoerenze, le psicologie dei personaggi sono appena accennate e la soluzione finale scivola nell'assurdo. Poco sangue ben dosato: le scene degli omicidi lasciano il segno.
Le cinque giornate (1973): Rai Play
La sceneggiatura (firmata dal regista con Nanni Balestrini, su soggetto di Argento, Luigi Cozzi e Vincenzo Ungari) tende a evidenziare la vitalità popolare, contrapposta e fondamentalmente estranea alle ipocrite dinamiche di potere («Ma tu vuoi davvero capire quello che dicono i signori? Se fosse così, non sarebbero più signori: quando loro ti parlano, tu devi dire sempre sì»). Le ambizioni sono giustificabili, il risultato altalenante: troppo stonati gli inserti comici (i demenziali incontri con pittoreschi personaggi, le gag velocizzate, i duetti tra Romolo e Cainazzo), che dovrebbero costituire un contrappunto straniante alla violenza della rivolta.
Profondo Rosso (1975): Infinity
Dario Argento contamina il thriller con l'horror soprannaturale e realizza uno dei suoi film migliori, teso, violento e realmente terrorizzante: la struttura narrativa procede a climax, aumentando di sequenza in sequenza il senso di angoscia e claustrofobia, e l'uso sapiente della macchina da presa (che adotta il punto di vista del protagonista) riesce a creare un'atmosfera straniante e ipnotica che, d'improvviso, precipita nell'incubo delirante di una mente malata. Tecnica da manuale (anche se un po' troppo ostentata) e numerose sequenze da antologia.
Suspiria (1977): Netflix, Amazon Prime Video, Rai Play
La struttura favolistica (una ragazza compie un processo di formazione e crescita affrontando il Male) è un pretesto per mettere in scena uno spiazzante e maestoso delirio visivo in cui l'immagine è inondata di colori saturi e dominata dal rosa degli ambienti e dal rosso del sangue. La protagonista si muove come in un sogno tra ambienti claustrofobici e irreali (le stanze, i corridoi, i passaggi segreti della scuola) che amplificano la dimensione allucinatoria della vicenda, diventando il simbolo di paure infantili e ancestrali. Alcuni passaggi narrativi sono un po’ frettolosi, ma è complessivamente un cult degno della sua fama, con diverse sequenze magistrali.
Phenomena (1985): Rai Play, Amazon Prime Video
Fiabesco e orrorifico iter di formazione con più di un rimando a Suspiria (1977), Phenomena conferma la tendenza di Dario Argento a indagare sugli orrori della vecchia Europa. Il tema è affascinante, alcuni momenti sono di grande impatto visivo (la strepitosa sequenza di apertura con l'omicidio di una studentessa interpretata da Fiore Argento, figlia del regista), la riflessione su diversità e solitudine riesce a evitare stereotipi e banalizzazioni, ma l'insieme appare leggermente datato e la conclusione è appesantita da troppi finali.
Trauma (1993): Infinity
Prima collaborazione di Asia Argento con il padre Dario, che firma un thriller dalle derive psicologiche ed edipiche. L'espediente narrativo potrebbe anche essere interessante, ma la realizzazione non corrisponde alle aspettative: voragini nella sceneggiatura si accompagnano a una superficiale e fastidiosa denuncia sociale sull'anoressia.
La sindrome di Stendhal (1996): Infinity
Gli effetti digitali non bastano a dare nuova linfa al cinema di Dario Argento, ormai condannato alla maniera di se stesso. Tecnica usurata (i soliti inutili virtuosismi stilistici), psicologie d'accatto (lo sdoppiamento di personalità veicolato da occhi sbarrati, gemiti e insensate esplosioni di violenza), recitazione abominevole (Asia Argento ci prova e si impegna, affondando nel ridicolo involontario).
Il fantasma dell’opera (1998): Infinity
Improponibile adattamento del romanzo di Gaston Leroux (1911) in cui Dario Argento stravolge la materia di base: presuppone che il protagonista non sia sfigurato, bensì sia stato allevato dai topi nelle fogne, e potenzia la componente sessuale. Il risultato è patetico e svilente, costellato da momenti scult (la macchina ammazzaratti, il Fantasma che amoreggia con i simpatici roditori) e dialoghi demenziali. A impreziosire ulteriormente il tutto, attori che sembrano perennemente in stato catatonico.
Nonhosonno (2001): Netflix, Infinity
Dario Argento torna alla purezza del genere thriller che l'ha reso celebre, ma i tempi sono cambiati: pur riconoscendo ancora qualche debole scintilla sotto la cenere (notevole la sequenza di apertura sul treno), il risultato è fiacco, la tecnica è stanca e svogliata, le idee di base ripetitive. E gli attori, come al solito, regalano momenti da dimenticare, da un Max von Sydow fuori parte a una spaesata Chiara Caselli.
Il cartaio (2004): Infinity
Titolo demenziale per un pietoso tentativo, da parte di Dario Argento, di ritornare ai fasti degli anni passati: il pretesto giallistico è assurdo, la sceneggiatura insensata. A completare il quadro, osceni effetti speciali di Sergio Stivaletti (chapeau all'aspetto gommoso dei cadaveri) e una recitazione (di quasi tutto il cast) che definire amatoriale è generoso.
La terza madre (2007): Infinity
La sequenza iniziale dell'omicidio è abbastanza sadica da stuzzicare la curiosità dei fan più accaniti ma, con il proseguire della trama, la coerenza si perde completamente (i legami con i film precedenti sono forzati e pretestuosi) e il tutto affonda nella demenzialità più pura. Dialoghi beceri e pessime interpretazioni fanno il resto.
Giallo (2009): Amazon Prime Video
Guardando Giallo viene spontaneo chiedersi se Dario Argento stia volutamente sbeffeggiando lo spettatore oppure no: nulla funziona in questo catalogo di assurdità, dall'uso polisemantico del titolo (“giallo” starebbe a indicare il genere, il colore del taxi e il problema fisico di cui soffre l'assassino... e già sarebbe sufficiente) alla decisione di far interpretare all'attore protagonista il duplice ruolo di detective e criminale (Byron Deidra è l'anagramma di Adrien Brody: gran colpo di genio).
L’uccello dalle piume di cristallo (1970): Rai Play e Amazon Prime Video
Il film gode di una sceneggiatura fluida e trascinante, di una tecnica sorprendente (soprattutto nelle sequenze degli omicidi) e contribuì a lanciare il tormentone tipicamente argentiano del “particolare che sfugge”, espediente narrativo su cui si regge la vicenda. Con l'unico e non del tutto trascurabile limite di ricalcare un po' troppo le soluzioni di Mario Bava. Memorabili le soggettive del serial killer che si avvicina alle prede e gli incalzanti frame dei ricordi di Dalmas.
4 mosche di velluto grigio (1971): a noleggio su AppleTv+
Un asciutto thriller psicologico che indaga la malattia mentale e mantiene costante una sottile tensione, esplosiva nelle scene di violenza e comunque più contenuta rispetto ad altri film di Dario Argento. Il ritmo è sostenuto da sequenze brevi e incalzanti che definiscono tempi, luoghi e situazioni, mentre la soluzione dell'enigma, a cui si riferisce il titolo, seppur macchinosa, funziona e destabilizza. Gli inserti umoristici (di cui sono protagonisti Oreste Lionello, che interpreta il Professore, e Bud Spencer) risultano però superflui e abbastanza fastidiosi.
Il gatto a nove code (1971): Rai Play, Amazon Prime Video
Opera anomala nella filmografia di Dario Argento, Il gatto a nove code evita le derive visive tipiche del regista romano, limitandosi a delineare una struttura di impianto giallistico, compatta e senza fronzoli, calata in sapienti scenografie. Ma la sceneggiatura presenta troppe incoerenze, le psicologie dei personaggi sono appena accennate e la soluzione finale scivola nell'assurdo. Poco sangue ben dosato: le scene degli omicidi lasciano il segno.
Le cinque giornate (1973): Rai Play
La sceneggiatura (firmata dal regista con Nanni Balestrini, su soggetto di Argento, Luigi Cozzi e Vincenzo Ungari) tende a evidenziare la vitalità popolare, contrapposta e fondamentalmente estranea alle ipocrite dinamiche di potere («Ma tu vuoi davvero capire quello che dicono i signori? Se fosse così, non sarebbero più signori: quando loro ti parlano, tu devi dire sempre sì»). Le ambizioni sono giustificabili, il risultato altalenante: troppo stonati gli inserti comici (i demenziali incontri con pittoreschi personaggi, le gag velocizzate, i duetti tra Romolo e Cainazzo), che dovrebbero costituire un contrappunto straniante alla violenza della rivolta.
Profondo Rosso (1975): Infinity
Dario Argento contamina il thriller con l'horror soprannaturale e realizza uno dei suoi film migliori, teso, violento e realmente terrorizzante: la struttura narrativa procede a climax, aumentando di sequenza in sequenza il senso di angoscia e claustrofobia, e l'uso sapiente della macchina da presa (che adotta il punto di vista del protagonista) riesce a creare un'atmosfera straniante e ipnotica che, d'improvviso, precipita nell'incubo delirante di una mente malata. Tecnica da manuale (anche se un po' troppo ostentata) e numerose sequenze da antologia.
Suspiria (1977): Netflix, Amazon Prime Video, Rai Play
La struttura favolistica (una ragazza compie un processo di formazione e crescita affrontando il Male) è un pretesto per mettere in scena uno spiazzante e maestoso delirio visivo in cui l'immagine è inondata di colori saturi e dominata dal rosa degli ambienti e dal rosso del sangue. La protagonista si muove come in un sogno tra ambienti claustrofobici e irreali (le stanze, i corridoi, i passaggi segreti della scuola) che amplificano la dimensione allucinatoria della vicenda, diventando il simbolo di paure infantili e ancestrali. Alcuni passaggi narrativi sono un po’ frettolosi, ma è complessivamente un cult degno della sua fama, con diverse sequenze magistrali.
Phenomena (1985): Rai Play, Amazon Prime Video
Fiabesco e orrorifico iter di formazione con più di un rimando a Suspiria (1977), Phenomena conferma la tendenza di Dario Argento a indagare sugli orrori della vecchia Europa. Il tema è affascinante, alcuni momenti sono di grande impatto visivo (la strepitosa sequenza di apertura con l'omicidio di una studentessa interpretata da Fiore Argento, figlia del regista), la riflessione su diversità e solitudine riesce a evitare stereotipi e banalizzazioni, ma l'insieme appare leggermente datato e la conclusione è appesantita da troppi finali.
Trauma (1993): Infinity
Prima collaborazione di Asia Argento con il padre Dario, che firma un thriller dalle derive psicologiche ed edipiche. L'espediente narrativo potrebbe anche essere interessante, ma la realizzazione non corrisponde alle aspettative: voragini nella sceneggiatura si accompagnano a una superficiale e fastidiosa denuncia sociale sull'anoressia.
La sindrome di Stendhal (1996): Infinity
Gli effetti digitali non bastano a dare nuova linfa al cinema di Dario Argento, ormai condannato alla maniera di se stesso. Tecnica usurata (i soliti inutili virtuosismi stilistici), psicologie d'accatto (lo sdoppiamento di personalità veicolato da occhi sbarrati, gemiti e insensate esplosioni di violenza), recitazione abominevole (Asia Argento ci prova e si impegna, affondando nel ridicolo involontario).
Il fantasma dell’opera (1998): Infinity
Improponibile adattamento del romanzo di Gaston Leroux (1911) in cui Dario Argento stravolge la materia di base: presuppone che il protagonista non sia sfigurato, bensì sia stato allevato dai topi nelle fogne, e potenzia la componente sessuale. Il risultato è patetico e svilente, costellato da momenti scult (la macchina ammazzaratti, il Fantasma che amoreggia con i simpatici roditori) e dialoghi demenziali. A impreziosire ulteriormente il tutto, attori che sembrano perennemente in stato catatonico.
Nonhosonno (2001): Netflix, Infinity
Dario Argento torna alla purezza del genere thriller che l'ha reso celebre, ma i tempi sono cambiati: pur riconoscendo ancora qualche debole scintilla sotto la cenere (notevole la sequenza di apertura sul treno), il risultato è fiacco, la tecnica è stanca e svogliata, le idee di base ripetitive. E gli attori, come al solito, regalano momenti da dimenticare, da un Max von Sydow fuori parte a una spaesata Chiara Caselli.
Il cartaio (2004): Infinity
Titolo demenziale per un pietoso tentativo, da parte di Dario Argento, di ritornare ai fasti degli anni passati: il pretesto giallistico è assurdo, la sceneggiatura insensata. A completare il quadro, osceni effetti speciali di Sergio Stivaletti (chapeau all'aspetto gommoso dei cadaveri) e una recitazione (di quasi tutto il cast) che definire amatoriale è generoso.
La terza madre (2007): Infinity
La sequenza iniziale dell'omicidio è abbastanza sadica da stuzzicare la curiosità dei fan più accaniti ma, con il proseguire della trama, la coerenza si perde completamente (i legami con i film precedenti sono forzati e pretestuosi) e il tutto affonda nella demenzialità più pura. Dialoghi beceri e pessime interpretazioni fanno il resto.
Giallo (2009): Amazon Prime Video
Guardando Giallo viene spontaneo chiedersi se Dario Argento stia volutamente sbeffeggiando lo spettatore oppure no: nulla funziona in questo catalogo di assurdità, dall'uso polisemantico del titolo (“giallo” starebbe a indicare il genere, il colore del taxi e il problema fisico di cui soffre l'assassino... e già sarebbe sufficiente) alla decisione di far interpretare all'attore protagonista il duplice ruolo di detective e criminale (Byron Deidra è l'anagramma di Adrien Brody: gran colpo di genio).