La notizia che il nostro Alessandro Borghi avrebbe recitato da protagonista a fianco della superstar Patrick Dempsey ha acceso gli entusiasmi di molti. L’attuale volto del cinema italiano desiderava fare un salto di qualità e di notorietà forse mai visto prima per un attore nostrano: recitare in inglese in un show televisivo dal respiro completamente internazionale, girato a Londra e rivolto a un pubblico mondiale.
Tutto questo ha preso il nome di Diavoli, una serie tv in 10 episodi sul mondo della finanza, prodotta da Sky e tratta dal romanzo I diavoli di Guido Maria Brera.
Peccato che il progetto non abbia funzionato del tutto.
La storia si svolge nel 2011 presso la sede londinese di una grossa banca, la NYL, gestita dal CEO Dominic Morgan. Massimo Ruggero, un giovane e geniale broker italiano, è la punta di diamante della banca e aspira al ruolo di Vice CEO, ma un misterioso suicidio rimescola le sorti dei protagonisti. Massimo dovrà fronteggiare le conseguenze di un passato misterioso, di un presente minacciato da Subterranea - un’organizzazione clandestina di hacker e whistleblower nemica delle banche - e di un futuro di intrighi economici internazionali molto incerto.
Borghi il salto di qualità l’ha fatto. Recita in un perfetto inglese british, con un magnetismo e un’intensità ancora non raggiunti nella sua carriera, e soprattutto non sfigura al fianco del divo Dempsey, suo mentore e avversario nella storia. Si tratta di un reale passaggio di testimone?
Gli avvenimenti fittizi della storia spesso vengono ricollegati o diventano, addirittura, le cause di eventi realmente accaduti nell’economia mondiale degli ultimi vent’anni. Dal crollo dei mutui subprime agli interventi della Banca Europea di Mario Draghi, tornando indietro fino alla crisi argentina del 2001: tutti questi fatti vengono legati alle azioni della NYL e dello stesso protagonista di Borghi, spesso con collegamenti congeniali, altre volte in modo un po’ forzato.
I pregi, comunque, si fermano qui. Una retorica fastidiosa e ovvia sui cosiddetti “diavoli” della finanza introduce e conclude ogni episodio attraverso i monologhi di Borghi. L’ambiente e le atmosfere ricreate non aggiungono nulla al genere dei prodotti cinematografici e televisivi dedicati alla moderna finanza, anzi, spesso ne perdono il fascino. I personaggi non risultano mai veramente pregnanti o carismatici e regia e montaggio sono da mal di testa e non riescono a soffermarsi su una stessa inquadratura nemmeno per un secondo.
La narrazione poi crea una difficoltà di fondo a seguire certi sviluppi di matrice tecnica per chi non è addetto ai lavori. Non si è fatta un’operazione accattivante, come in La grande scommessa, film in cui argomenti di economia molto complicati vengono semplificati in modi ingegnosi e inaspettati, e resi così accessibili a chiunque abbia un occhio attento. Questo è uno degli spunti che Diavoli non è stato in grado di trarre dai suoi predecessori.
La stagione, per tutta la sua durata, non riesce a trovare una dimensione personale. Vuole essere un thriller nell’ambiente dei broker, dove tutti sono squali e dove nessuno è veramente illibato dai peccati.
L’economia mondiale è gestita da diavoli, d’accordo, ma questa non ci sembra la conclusione del percorso della serie, anzi, è piuttosto il suo incipit, che però non trova una sua evoluzione compiuta.
Il progetto, in definitiva, riesce a salvarsi perché, a episodi poco interessanti e freddi, ne alterna alcuni più avvincenti, come, in particolare, il quinto e il sesto. A conti fatti, l’unico vero motivo per cui vale la pena addentrarsi in questa serie rimane la grande interpretazione di Borghi, che regge sulle spalle l’intera stagione.
Resta però anche l’orgoglio italiano di potersi ancora una volta, dopo prodotti come ZeroZeroZero e The New Pope, muovere verso una quasi totale internazionalità. Diavoli è uno dei progetti televisivi di Sky che vuole sfidare e cavalcare il mercato mondiale: non sarà completamento riuscito ma aggiunge un fondamentale tassello in questa ascesa continua e, forse, regalerà al suo interprete una carriera da vera star.
Cesare Bisantis