Sono ormai passati dieci anni da quando Inception (2010) venne proiettato per la prima volta durante la premiere londinese. A distanza di così tanto tempo ci sembra ormai evidente lo strano gioco metacinematografico che vide chiamare in causa gli spettatori, cavie inconsapevoli di star recitando un ruolo attivo all’interno del grande e intricato disegno del regista. In tutti questi anni si sono susseguite teorie su teorie nel disperato tentativo di dare una risposta chiara e univoca al grande interrogativo scaturito dal sagace e incerto finale voluto da Christopher Nolan: Cobb è tornato nella realtà oppure sta sempre sognando?
In molti si sono scatenati sul web snocciolando le più astruse teorie, nel vano tentativo di fornire una risposta razionale a ciò che forse non può essere spiegato con la ragione. Da una parte troviamo i sostenitori della tesi del sogno, trincerati dietro la teoria del totem compromesso (la trottola originariamente apparteneva a Mal; aggiungiamo anche che, nella scena degli scantinati, Cobb viene interrotto prima di potersi accertare di essere sveglio); dall’altra abbiamo chi sostiene che il nostro protagonista sia infine riuscito a tornare alla realtà: in questo caso troviamo varie motivazioni come il fatto che si veda per la prima volta il volto dei bambini (prestate attenzione anche a come cambiano i loro vestiti), oppure che sia presente anche Michael Caine nell’ultima scena (l’attore avevo rilasciato un’intervista in cui faceva notare di non comparire mai all’interno del piano onirico).
La vera intuizione di Nolan sta però nell’aver colto l'incredibile somiglianza tra le meccaniche del sogno e quelle cinematografiche: in entrambi i casi veniamo infatti catapultati in una situazione in media res (come afferma Cobb: quando stiamo sognando non ci ricordiamo mai come siamo giunti a quel preciso punto). Nolan sembra suggerirci il grande impatto che il cinema ha sul nostro subconscio (nel film sono vari gli elementi carichi di simbolismo: l’acqua del mare; l’ascensore; il treno; la canzone Non, je ne regrette rien di Édith Piaf). Non è quindi un caso l’aria trasognata che potrete scorgere sui volti degli spettatori in una sala cinematografica, sorpresi a sognare a occhi aperti.
Simone Manciulli
In molti si sono scatenati sul web snocciolando le più astruse teorie, nel vano tentativo di fornire una risposta razionale a ciò che forse non può essere spiegato con la ragione. Da una parte troviamo i sostenitori della tesi del sogno, trincerati dietro la teoria del totem compromesso (la trottola originariamente apparteneva a Mal; aggiungiamo anche che, nella scena degli scantinati, Cobb viene interrotto prima di potersi accertare di essere sveglio); dall’altra abbiamo chi sostiene che il nostro protagonista sia infine riuscito a tornare alla realtà: in questo caso troviamo varie motivazioni come il fatto che si veda per la prima volta il volto dei bambini (prestate attenzione anche a come cambiano i loro vestiti), oppure che sia presente anche Michael Caine nell’ultima scena (l’attore avevo rilasciato un’intervista in cui faceva notare di non comparire mai all’interno del piano onirico).
La vera intuizione di Nolan sta però nell’aver colto l'incredibile somiglianza tra le meccaniche del sogno e quelle cinematografiche: in entrambi i casi veniamo infatti catapultati in una situazione in media res (come afferma Cobb: quando stiamo sognando non ci ricordiamo mai come siamo giunti a quel preciso punto). Nolan sembra suggerirci il grande impatto che il cinema ha sul nostro subconscio (nel film sono vari gli elementi carichi di simbolismo: l’acqua del mare; l’ascensore; il treno; la canzone Non, je ne regrette rien di Édith Piaf). Non è quindi un caso l’aria trasognata che potrete scorgere sui volti degli spettatori in una sala cinematografica, sorpresi a sognare a occhi aperti.
«I sogni sembrano reali finché ci siamo dentro, non ti pare? Solo quando ci svegliamo ci rendiamo conto che c'era qualcosa di strano»Il film di Nolan può essere letto come un grande trattato sul legame tra cinema e il piano onirico, un’opera in cui a ogni personaggio corrisponde un preciso ruolo all’interno del mondo cinematografico: Cobb è l’artista (la somiglianza fisica fra Di Caprio e Nolan suggerisce l’intento del regista di raffigurare un proprio alter ego); Ariadne è la scenografa, l’architetto del sogno; Arthur è lo sceneggiatore, si occupa di incanalare l’estro artistico del nostro protagonista; Eames è l’attore (proprio a lui spetterà il compito recitativo più impegnativo: interpretare il padrino di Ficher); Mr. Saito è il produttore esecutivo; Ficher rappresenta noi: il pubblico, una cavia inconsapevole di essere sottoposta a un innesto.
Simone Manciulli