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"Perché nevica nonna?": 30 anni dall'uscita di Edward mani di forbice, favola visionaria di Tim Burton

«Perché nevica nonna? Da dove viene la neve?»



È una bambina a domandarlo, minuscola nel suo lettone gigantesco, mentre il crepitio del fuoco dona calore in una gelida notte d’inverno. La sua nonna le risponde con dolcezza che per poterlo spiegare è necessario partire dalle forbici, e da un ragazzo che le aveva al posto delle mani, un ragazzo che aveva un nome: Edward. La favola della nonna diventa improvvisamente la favola che Tim Burton ha deciso di regalare al mondo, con tutta la sua arte visionaria, la sua sensibilità e gran parte del suo cuore. Se non tutto.



L’origine di Edward, infatti, è da ricercarsi nelle pagine strappate di fogli sparsi tra i banchi di una scuola di Burbank, dove un giovanissimo ragazzo che amava disegnare creò un personaggio con i capelli arruffati e le lame al posto delle mani, per raccontare la sua difficoltà a comunicare con il mondo. L’emarginazione elevata a poesia: basterebbe guardare gli occhi persi tra meraviglia e paura con cui Edward (Johnny Depp) guarda il mondo, gli stessi con cui lo osservava il ragazzo, uno sguardo intriso di disagio e incomprensione, tanto sua, quanto di chi lo circonda.


«Lui... non mi ha finito»



Una creatura incompiuta, cui mancano dei pezzi. E non delle parti qualunque, bensì le mani, ovvero il primo strumento di contatto che l’uomo ha con il mondo che lo circonda. Un uomo senza tatto, o peggio, che addirittura rischia di fare del male anche solo mentre prova a dare una carezza, un abbraccio, sfiorando chi lo circonda con delle lame affilate. Concepito come un robot dal suo inventore (Vincent Price, vera e propria leggenda per Tim Burton), che metaforicamente gli dona un cuore di biscotto: la dolcezza che si contrappone al gelo dell’acciaio, l’automa cui viene donata un’anima, che prima di tutto passa dalle emozioni e dal cuore. Quello che non hanno i cittadini. O almeno, quasi tutti.


 


«Noi non siamo pecore»


 
La risposta genuina di Edward alla fanatica religiosa della cittadina è tanto decisa quanto veritiera solo in parte: lui non è una pecora, ma lo stesso non si può dire di chi lo circonda. E se Peggy (Dianne Wiest) è sicuramente un’eccezione, con tutto l’amore e l’affetto incondizionato nutrito per lui sin dal primo incontro, il resto dei cittadini dimostra di essere una massa omologata di un paese annoiato, dove i mariti escono e rientrano tutti alla stessa ora dalle abitazioni color pastello di una città che tanto ricorda Burbank, dove le mogli sono a tutti gli effetti delle casalinghe annoiate e sempre alla ricerca di un nuovo pettegolezzo. Edward, invece, è una creatura incompleta, eppure creativa, che ha fatto della sua debolezza e del suo sguardo malinconico la via privilegiata per comprendere e guardare il mondo con occhi incantati e incantevoli, elevandosi ad artista e arrivando a spaventare chi poco prima era rimasto affascinato dalla sua diversità: eccessiva per chi è abituato alla routine. Dal taglio delle piante al taglio dei capelli, fino alla splendida e indimenticabile scultura nel ghiaccio. Un angelo, come Kim.




«Stringimi»
«Non posso»



Edward e Kim (Winona Ryder), la storia d’amore struggente e toccante, che è stata definita diverse volte come la versione gotica e dark de La bella e la bestia, anche se è una semplificazione che appare riduttiva. Soprattutto perché in questo caso è lei a cambiare, a trasformarsi, passando da cheerleader ad angelo salvifico, per lui e per sé. Impaurita all’inizio (ed è una delle poche ad esserlo, a differenza dei curiosi pettegoli della città), Kim riscopre negli occhi di Edward una dolcezza e una delicatezza con cui non è abituata a confrontarsi, agli antipodi rispetto alle sue abituali frequentazioni. Qualcosa in lei cambia, i suoi occhi cambiano, guidando una crescita emozionante che arriva al culmine in una delle sequenze più toccanti di tutta l’opera, tanto intensa nel suo essere estremamente metaforica: una danza sotto la neve dove alle spalle di Kim vengono mostrate dapprima la casa, poi la siepe e la scultura creata da Edward e infine di nuovo l’angelo di ghiaccio, alle sue spalle, con cui lei ora è totalmente identificata. Le note di Ice Dance di Danny Elfman in sottofondo non possono che accompagnare lo spettatore in uno dei momenti più alti dell’intero cinema di Burton. Edward, l’outsider che ha portato la neve vera in un mondo dove anche quella era finta, attaccata sui tetti con delle pinze, la creatura capace di elevare la diversità all’essere straordinario e, con quei fiocchi, regalando la magia che solo una nevicata può portare.




«Vedi, prima che lui venisse in questa città la neve non era mai caduta, ma dopo il suo arrivo è caduta. Se ora lui non fosse lassù, non credo che nevicherebbe così. A volte può vedermi ancora ballare tra quei fiocchi».


Lorenzo Bianchi


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