Inizia oggi il ventitreesimo FAR EAST FILM FESTIVAL e longtake lo racconterà giorno per giorno: 63 titoli da 11 paesi e regioni, la testimonianza di un cinema che si è rialzato e ha guardato avanti. Il FEFF 23 si terrà a Udine (tra Visionario e Cinema Centrale) e online da giovedì 24 giugno a venerdì 2 luglio.
UDINE – Subire un throwdown significa “essere buttati giù”. Un'azione, ma più ancora uno stato d'animo, che ha nutrito uno dei capolavori di Johnnie To e che riassume perfettamente le dinamiche (sociali, politiche, sanitarie, emotive) dell'ultimo anno e mezzo. Non serve ricordare perché. Quello che serve è ricordare con forza il “dopo”. L'azione, ma più ancora lo stato d'animo, di cui ogni throwdown è il detonatore: l'istinto di rialzarsi, di non restare, appunto, giù, dove gli urti della storia ci hanno fatto cadere. Ecco la visione, possiamo dire la filosofia operativa, che ha innescato il Far East Film Festival 23: documentare il “dopo”. Testimoniare un mondo, quello del cinema orientale, che ha rifiutato l'idea di rassegnarsi all’immobilità e ha cercato di rialzarsi.
Avanti. Moving forward, in italiano, significa “andando avanti”. Due parole molto semplici che contengono una grande complessità: l’intera line-up del FEFF 23, sotto i riflettori internazionali dal 24 giugno al 2 luglio, cioè 63 titoli nati durante un periodo di buio e ora pronti ad affrontare le luci dell’alba. Una potente ondata artistica (6 anteprime mondiali, 11 internazionali, 22 europee, 21 italiane) e geografica (Giappone, Hong Kong, Cina, Corea del Sud, Filippine, Malaysia, Taiwan, Thailandia, Indonesia e, new entry, Macao e Myanmar) che trova specchio non solo nel moving forward del claim ufficiale, ma proprio nella struttura del Festival. Una struttura necessariamente nuova, perché gli agi delle routine festivaliere vanno sempre scardinati, dove l'esperienza digitale del 2020 si unisce all’attesissimo ritorno degli appuntamenti in presenza: sia quelli strettamente cinematografici, sia quelli che (secondo tradizione) animeranno il cuore della città.
5 schermi e l’Arena all'aperto per 400 spettatori. Un FEFF che moltiplica invece di sottrarre, quindi, a cominciare dalle location: si saluta il teatro Giovanni Nuovo, sede storica di tante edizioni, e ci si ritrova a un cinema Visionario nuovo di zecca. In totale saranno 5 le sale pronte ad accogliere, in tutta sicurezza, i fareasters: 3 al Visionario e 2 al Cinema Centrale, alle quali si aggiunge l’Arena all'aperto allestita sul prato del Visionario e capace di accogliere 400 spettatori.
Provare a vincere. Parlavamo di throwdown e il throwdown sembra essere il filo rosso che connette larghissima parte dei film in programma (46 titoli in concorso, ricordiamo, 6 documentari, 2 classici restaurati, 2 focus). Non tanto l'idea di vincere, che appartiene all'epica e alla retorica, quanto l'idea di provare a vincere, che appartiene invece alla cronaca (individuale e collettiva) di ogni giorno. Provare a vincere nello sport, come vedremo nei quattro titoli dedicati alla boxe (Blue, One Second Champion, Underdog: Part One e Part Two). Provare a vincere sulla disabilità, come vedremo in Zero to Hero (World Premiere): un biopic incentrato sulla figura di un atleta, So Wa Wai, che ha conquistato la prima medaglia d'oro paralimpica (e poi altre cinque, sempre d'oro) per Hong Kong. Provare a vincere sul terreno dei sentimenti, come vedremo in Madalena (World Premiere e primo film macanese della storia del FEFF): due anime solitarie, due immigrati, che s’incontrano a Macao sperando di sopravvivere a un passato vendicativo e torbido. Provare a vincere contro i pregiudizi, come vedremo nell’acclamato melò giapponese Midnight Swan, storia di una ragazza transgender che posticipa la data del suo intervento per occuparsi della cugina autolesionista, dando vita a un delicato legame umano. Provare a vincere sul fronte di guerra, come vedremo nello spettacolare blockbuster cinese The Eight Hundred/800 Eroi (la Notorious Pictures lo distribuirà nei cinema italiani contemporaneamente all'anteprima europea del FEFF).
Infine, uno sguardo al film che darà il via alle danze all'Opening 2021 di questa sera:
CLIFF WALKERS: LO SPY-THRILLER SECONDO ZHANG YIMOU. Il maestro Zhang Yimou è uno degli autori asiatici più amati in Occidente e in Italia in particolare. Il suo cinema, da Sorgo Rosso (esordio del 1987) e soprattutto da Lanterne rosse (1991), è stato per lungo tempo sinonimo di Cina, di Asia, di Oriente in generale. Il fascino di quelle immagini, quei simboli, quelle mille sfumature di rosso così inedite e sorprendenti incontrarono uno spettatore Occidentale, esattamente trent'anni fa, quasi a digiuno di film asiatici, uno spettatore che ritrovava lì, in quel capolavoro, la propria idea d’Oriente. Quel film conquistò il premio Oscar e il Leone d'argento al Festival di Venezia e permise al cinema cinese di affacciarsi alla ribalta internazionale. Da allora Zhang Yimou ha continuato a dirigere, scrivere, produrre e a raccontare altre storie, ma sempre tenendo fede a quel monito originario che lo accompagnava quando era un giovane autore della Quinta generazione uscito dalla Rivoluzione Culturale. Un monito che si riassume ancora oggi in un verbo: sperimentare. Basterebbe citare La storia di Qui Ju (1992) un film quasi neorealista con attori presi dalla strada all'opposto di quell’elegia raffinatissima delle lanterne, o il grande affresco storico, Vivere! E ancora il wuxia epico Hero (2002) con il quale conquista l'adorazione di Quentin Tarantino e subito dopo il wuxia action La foresta dei pugnali volanti (2004) con il quale conquista il grande successo commerciale anche in Italia. E non è finita, perché il 2016 vede arrivare sugli schermi di tutto il mondo il suo primo film in lingua inglese: The Great Wall con Matt Damon, dove mescola epopea, fantasy e azione.
Cliff Walkers è l'ennesimo grande capitolo della sua eclettica carriera: un film di spionaggio che mancava nella sua filmografia, e che il regista ha sempre sognato di realizzare. Un film epico in costume girato come un thriller che riesce ad evitare le trappole della propaganda politica e a conquistare, grazie ad un ritmo serratissimo e alla incalzante tensione.
Con una carriera all'insegna dell'eclettismo, Zhang Yimou è diventato il regista cinese più famoso al mondo senza mai lasciare il suo paese senza perdere la sua dimensione autoriale e la sua indipendenza. In un mercato costantemente in crescita e trasformazione, come quello cinese, Zhang Yimou non ha mai temuto il confronto diretto con il grande pubblico né le esigenze del botteghino e, continuando a sperimentare, ha riflettuto sui generi cinematografici attraverso i quali ha raccontato la Storia del suo paese come fosse ancora quel giovane di talento uscito dalla Rivoluzione Culturale in cerca di libertà.
Marco Lovisato e Andrea Valmori
UDINE – Subire un throwdown significa “essere buttati giù”. Un'azione, ma più ancora uno stato d'animo, che ha nutrito uno dei capolavori di Johnnie To e che riassume perfettamente le dinamiche (sociali, politiche, sanitarie, emotive) dell'ultimo anno e mezzo. Non serve ricordare perché. Quello che serve è ricordare con forza il “dopo”. L'azione, ma più ancora lo stato d'animo, di cui ogni throwdown è il detonatore: l'istinto di rialzarsi, di non restare, appunto, giù, dove gli urti della storia ci hanno fatto cadere. Ecco la visione, possiamo dire la filosofia operativa, che ha innescato il Far East Film Festival 23: documentare il “dopo”. Testimoniare un mondo, quello del cinema orientale, che ha rifiutato l'idea di rassegnarsi all’immobilità e ha cercato di rialzarsi.
Avanti. Moving forward, in italiano, significa “andando avanti”. Due parole molto semplici che contengono una grande complessità: l’intera line-up del FEFF 23, sotto i riflettori internazionali dal 24 giugno al 2 luglio, cioè 63 titoli nati durante un periodo di buio e ora pronti ad affrontare le luci dell’alba. Una potente ondata artistica (6 anteprime mondiali, 11 internazionali, 22 europee, 21 italiane) e geografica (Giappone, Hong Kong, Cina, Corea del Sud, Filippine, Malaysia, Taiwan, Thailandia, Indonesia e, new entry, Macao e Myanmar) che trova specchio non solo nel moving forward del claim ufficiale, ma proprio nella struttura del Festival. Una struttura necessariamente nuova, perché gli agi delle routine festivaliere vanno sempre scardinati, dove l'esperienza digitale del 2020 si unisce all’attesissimo ritorno degli appuntamenti in presenza: sia quelli strettamente cinematografici, sia quelli che (secondo tradizione) animeranno il cuore della città.
5 schermi e l’Arena all'aperto per 400 spettatori. Un FEFF che moltiplica invece di sottrarre, quindi, a cominciare dalle location: si saluta il teatro Giovanni Nuovo, sede storica di tante edizioni, e ci si ritrova a un cinema Visionario nuovo di zecca. In totale saranno 5 le sale pronte ad accogliere, in tutta sicurezza, i fareasters: 3 al Visionario e 2 al Cinema Centrale, alle quali si aggiunge l’Arena all'aperto allestita sul prato del Visionario e capace di accogliere 400 spettatori.
Provare a vincere. Parlavamo di throwdown e il throwdown sembra essere il filo rosso che connette larghissima parte dei film in programma (46 titoli in concorso, ricordiamo, 6 documentari, 2 classici restaurati, 2 focus). Non tanto l'idea di vincere, che appartiene all'epica e alla retorica, quanto l'idea di provare a vincere, che appartiene invece alla cronaca (individuale e collettiva) di ogni giorno. Provare a vincere nello sport, come vedremo nei quattro titoli dedicati alla boxe (Blue, One Second Champion, Underdog: Part One e Part Two). Provare a vincere sulla disabilità, come vedremo in Zero to Hero (World Premiere): un biopic incentrato sulla figura di un atleta, So Wa Wai, che ha conquistato la prima medaglia d'oro paralimpica (e poi altre cinque, sempre d'oro) per Hong Kong. Provare a vincere sul terreno dei sentimenti, come vedremo in Madalena (World Premiere e primo film macanese della storia del FEFF): due anime solitarie, due immigrati, che s’incontrano a Macao sperando di sopravvivere a un passato vendicativo e torbido. Provare a vincere contro i pregiudizi, come vedremo nell’acclamato melò giapponese Midnight Swan, storia di una ragazza transgender che posticipa la data del suo intervento per occuparsi della cugina autolesionista, dando vita a un delicato legame umano. Provare a vincere sul fronte di guerra, come vedremo nello spettacolare blockbuster cinese The Eight Hundred/800 Eroi (la Notorious Pictures lo distribuirà nei cinema italiani contemporaneamente all'anteprima europea del FEFF).
Infine, uno sguardo al film che darà il via alle danze all'Opening 2021 di questa sera:
CLIFF WALKERS: LO SPY-THRILLER SECONDO ZHANG YIMOU. Il maestro Zhang Yimou è uno degli autori asiatici più amati in Occidente e in Italia in particolare. Il suo cinema, da Sorgo Rosso (esordio del 1987) e soprattutto da Lanterne rosse (1991), è stato per lungo tempo sinonimo di Cina, di Asia, di Oriente in generale. Il fascino di quelle immagini, quei simboli, quelle mille sfumature di rosso così inedite e sorprendenti incontrarono uno spettatore Occidentale, esattamente trent'anni fa, quasi a digiuno di film asiatici, uno spettatore che ritrovava lì, in quel capolavoro, la propria idea d’Oriente. Quel film conquistò il premio Oscar e il Leone d'argento al Festival di Venezia e permise al cinema cinese di affacciarsi alla ribalta internazionale. Da allora Zhang Yimou ha continuato a dirigere, scrivere, produrre e a raccontare altre storie, ma sempre tenendo fede a quel monito originario che lo accompagnava quando era un giovane autore della Quinta generazione uscito dalla Rivoluzione Culturale. Un monito che si riassume ancora oggi in un verbo: sperimentare. Basterebbe citare La storia di Qui Ju (1992) un film quasi neorealista con attori presi dalla strada all'opposto di quell’elegia raffinatissima delle lanterne, o il grande affresco storico, Vivere! E ancora il wuxia epico Hero (2002) con il quale conquista l'adorazione di Quentin Tarantino e subito dopo il wuxia action La foresta dei pugnali volanti (2004) con il quale conquista il grande successo commerciale anche in Italia. E non è finita, perché il 2016 vede arrivare sugli schermi di tutto il mondo il suo primo film in lingua inglese: The Great Wall con Matt Damon, dove mescola epopea, fantasy e azione.
Cliff Walkers è l'ennesimo grande capitolo della sua eclettica carriera: un film di spionaggio che mancava nella sua filmografia, e che il regista ha sempre sognato di realizzare. Un film epico in costume girato come un thriller che riesce ad evitare le trappole della propaganda politica e a conquistare, grazie ad un ritmo serratissimo e alla incalzante tensione.
Con una carriera all'insegna dell'eclettismo, Zhang Yimou è diventato il regista cinese più famoso al mondo senza mai lasciare il suo paese senza perdere la sua dimensione autoriale e la sua indipendenza. In un mercato costantemente in crescita e trasformazione, come quello cinese, Zhang Yimou non ha mai temuto il confronto diretto con il grande pubblico né le esigenze del botteghino e, continuando a sperimentare, ha riflettuto sui generi cinematografici attraverso i quali ha raccontato la Storia del suo paese come fosse ancora quel giovane di talento uscito dalla Rivoluzione Culturale in cerca di libertà.
Marco Lovisato e Andrea Valmori