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Far East Film Festival 22 – Il racconto della prima giornata. Diverte il catastrofico "Ashfall", ma a conquistarci è la leggerezza di "The House of Us" e "Changfeng Town"

Si è aperta ieri col botto, o per meglio dire con un'eruzione, la ventiduesima edizione del Far East Film Festival, ospitato quest'anno dalla piattaforma streaming di MyMovies.it a causa dell'emergenza Covid.
L'eruzione è quella del vulcano Paektu, che nel film di apertura Ashfall mette in ginocchio la penisola coreana, costringendo Jo In-chang, militare e futuro papà, ad affrontare mille peripezie per portare a termine una missione dalle possibilità di successo piuttosto scarne. Ennessimo aggiornamento del genere
catastrofico, Ashfall ha il merito di mantenere quello che promette, ossia azione senza freni – e decisamente over the top – per due ore abbondanti. Sebbene ritmo ed effetti siano ben curati, il fiore all'occhiello del film è la bromance tra i divi Ha Jung-woo e Lee Byung-hun, qui nei panni di una spia nordcoreana tanto abile nelle sparatorie quanto nei botta e risposta. Sorprende invece vedere il duro Ma Dong-seok (aka Don Lee) nei panni del mite scienziato al quale nessuno crede fino all'inevitabile disastro.

Un film convenzionale ma divertente, sul quale aleggiano le ansie geopolitiche tipiche del cinema coreano; in particolare, il rapporto con la Corea del Nord e l'asservimento al governo americano.
La diretta serale di Ashfall è stata preceduta dalla trasmissione di tre film, diversi tra loro per stile e nazionalità, ma uniti dall'importanza data al tema dell'infanzia. The House of Us, opera seconda di Ga-eun Yoon, racconta dell'estate della dodicenne Hana, bambina caparbia e curiosa che stringe amicizia con le sorelline Yoo-mi e Yu-jin. Insieme il trio gioca, cucina, ma soprattutto costruisce una casa di carta, un'abitazione a misura di bambino che sostituisca idealmente quella famigliare, segnata dai problemi degli adulti, spesso ciechi alle conseguenze delle loro azioni sui più piccoli. Il tono apparentemente lieve e lo sguardo puro con cui la regista racconta il mondo dell'infanzia può ricordare il cinema di Koreeda; ma il film è tipicamente coreano nel raccontare indirettamente una società esigente, che premia il lavoro senza sosta e l'arrivismo a scapito della famiglia. Famiglia che invece è la priorità di Koharu, protagonista del cupo One Night di Kazuya Shiraishi, madre caparbia che arriva a macchiarsi di uxoricidio pur di donare un futuro migliore ai propri figli. Un futuro che per i tre fratelli protagonisti si è però rivelato un miraggio, determinato dal trauma mai superato della notte del titolo, che riaffiora insieme alla ricomparsa della madre. Il giapponese Shiraishi torna a Udine per il terzo anno consecutivo con un melodramma ricco di patetismo e dall'ingombrante impostazione teatrale, che purtroppo fallisce nel suo obiettivo di far riflettere sull'eredità dei genitori sui figli e vanifica il buon lavoro degli attori. Tutt'altro tono per il cinese Changfeng Town, opera seconda della regista Wang Jing, già aiuto di Jia Zhangke, dal quale ha adottato il gusto per il realismo magico di film come Still Life. Nel raccontare, in cinque capitoli, la storia di un'immaginaria cittadina del sud della Cina, la regista sceglie come punto di vista quello di un gruppo di monelli, le cui allegre scorribande fanno da leitmotiv a una commedia umana dal sapore nostalgico e dai rimandi cinefili. Fulcro delle diverse storie è infatti una sala cinematografica, dove i ragazzi si godono tanto i wuxia di King Hu quanto i capolavori di Fellini e Truffaut. Un piccolo film senza tempo, che è anche il migliore di una giornata che si chiude, come da tradizione, all'insegna dell'horror. Purtroppo però Impetigore, dell'indonesiano Joko Anwar, è il tipico pasticcione folk horror senza arte né parte, che non fa paura e, a contrario di quanto il titolo possa far pensare, non è nemmeno così gore. Impetigore è il primo dei due film in concorso del regista, che domenica mattina proverà a farci cambiare idea con il fumettistico Gundala; oggi, invece, sarà il turno di Hong Kong, con i nuovi lavori di Herman Yau e, soprattutto, Johnnie To.

Marco Lovisato

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