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Audrey Hepburn – La sofisticata eleganza che non sfiorisce mai
Icona di stile dagli occhioni di cerbiatto, Audrey Hepburn (4 maggio 1929 – 20 gennaio 1993) è stata una delle attrici più influenti della sua generazione, che merita di essere ricordata non solo per l'innata eleganza del portamento. William Wyler, Billy Wilder, Stanley Donen e Blake Edwards sono solo alcuni dei maestri che negli anni '50 e '60, periodo di massimo splendore dell'attrice, hanno plasmato Hepburn secondo la propria sublime stilizzazione cinematografica, dando vita a personaggi entrati nella storia del cinema e nell'immaginario pop di tutto il mondo.

«La bellezza di una donna non dipende dai vestiti che indossa né dall'aspetto che possiede o dal modo di pettinarsi. La bellezza di una donna si deve percepire dai suoi occhi, perché quella è la porta del suo cuore, il posto nel quale risiede l'amore»


Dolce ma determinata, Audrey Hepburn ha lasciato un segno indelebile nella cultura di massa, attraverso un fulgido percorso artistico costellato di ruoli memorabili, tragicamente interrotto a soli 63 anni a causa di un male incurabile. Qual è il miglior modo per ricordare la grande attrice se non ripercorrere la sua carriera attraverso le immagini simbolo che l'hanno resa celebre?



Vacanze romane (1953) è una raffinatissima commedia firmata da un William Wyler in ottima forma, che si avvale di una gustosa sceneggiatura, di un'ambientazione capitolina da fiaba moderna e, soprattutto, di due protagonisti in gran forma, con una deliziosa Audrey Hepburn al suo primo ruolo di rilievo. Una pellicola romantica con tutti i crismi, che avrebbe dato vita a filoni ed epigoni e che si è imposta – a buon diritto – come emblematica di un genere, e di un modo evasivo (ma altamente legittimo) di intendere il cinema. Non a caso ha inciso in maniera profonda nell'immaginario collettivo: la Vespa è diventata uno status symbol, la Hepburn una leggenda immortale e la sequenza della mano mozzata dentro la Bocca della verità è ormai precetto socio-culturale.



Giunto al suo decimo film, Billy Wilder tocca l'apice del successo popolare, confezionando una delle più celebri storie d'amore degli anni '50, capace di strizzare l'occhio con classe alle sophisticated comedy degli anni '30 e '40: fiabesco e delicato, contraddistinto da un leggerissimo sense of humour che dà al film quel tocco sornione e chic, Sabrina (1954) è entrato nell'immaginario popolare occidentale (con tanto di boom della diffusione del nome Sabrina dopo l'uscita in sala) come vero esempio di cinema classico americano, venditore di sogni e di immortali storie con happy ending, che non risparmia qualche stoccata sarcastica («Nessuna donna povera è stata mai chiamata "democratica" per aver sposato un uomo ricco»). Come la sua splendida protagonista, Sabrina è un film dall'eleganza immortale, con il valore aggiunto della presenza di due attori di razza come William Holden e Humphrey Bogart. What else?



Nono solo glamour: nel 1956 Audrey Hepburn ha recitato nel dramma Guerra e pace di King Vidor, megaproduzione firmata da Carlo Ponti e Dino De Laurentiis, girata a Cinecittà, che prende ispirazione dal celebre romanzo di Lev Tolstoj.




Incantevole e zuccheroso musical firmato dallo specialista del genere Stanley Donen (qui non proprio al massimo della forma, va detto), Cenerentola a Parigi (1957) è una coloratissima fiaba confezionata su misura per una Hepburn più raggiante che mai. Vestita Givenchy, è irresistibile: è sua la funny face del titolo originale.


Commedia dal sapore mitteleuropeo di inusitata grazia, che guarda con classe a Lubitsch, Arianna (1957) è una favola d'altri tempi firmata Billy Wilder con due divi in stato di grazia: Gary Cooper nei panni del viveur miliardario Frank Flannagan è perfetto, ma la dolce e ingenua innamorata del titolo trova in Hepburn una interprete indimenticabile.


Raramente il cinema hollywoodiano si è accostato alla tematica del monachesimo cattolico e, soprattutto, raramente ha raggiunto questi livelli. La storia di una monaca (1959), tratto da un romanzo di Kathryn Hulme (ispirato alla storia vera della suora belga Marie Louise Habets), è tuttora una pellicola emblematica sull'argomento. Fred Zinnemann, raffinatissimo regista di origini ebraiche, si avvicina alla materia con onestà e delicatezza, in un'opera non facile che analizza il confronto tra spiritualità ascetica e vocazione alle opere sociali. L'introspezione psicologica della protagonista è profonda, così come è puntigliosa la descrizione del mondo monastico. A rendere davvero notevole il film è la prova misurata e intensissima di Audrey Hepburn, impegnata nel ruolo più complesso della sua carriera.



Commedia sentimentale baciata dalla grazia, diretta dal maestro Blake Edwards, Colazione da Tiffany (1961) è un film di culto che rimarrà in eterno, al di là di qualsiasi moda o tendenza passeggera. Holly nella sequenza di apertura del film affacciata alla vetrina di Tiffany, il tubino nero Givenchy, Moon River e le musiche di Henry Mancini, i sogni, l'amore, i gatti e i baci sotto la pioggia: cinema allo stato puro. Forse mai nella storia un'attrice è riuscita a diventare un'icona al livello di Audrey Hepburn in questo film.


Commedia sentimental-thriller a incastro di rara finezza, valorizzata dalla frizzante sceneggiatura di Peter Stone, Sciarada (1963) è un brillante balletto giallo-rosa magnificamente orchestrato da Stanley Donen (non a caso maestro del musical) in cui le geometrie si inseguono assumendo forme rigorose ma bellissime. Le location fascinose, i ripetuti colpi di scena e il glamour degli attori rendono il film una delizia assoluta, da vedere e rivedere. Perfetta l'alchimia tra i generi, con la storia d'amore tra Cary Grant e Audrey Hepburn che va a braccetto con le atmosfere da spy-story d'antan, in una elegantissima cornice parigina.


Classico del cinema americano, tratto dal musical del 1956 di Alan Jay Lerner e Frederic Loewe, idealmente ispirato al Pigmalione (1913) di George Bernard Shaw, My Fair Lady (1964) è un'opera scoppiettante, condita di personaggi memorabili e numeri musicali coinvolgenti: la confezione è ammirevole, la presa sul pubblico garantita, tutti gli attori in stato di grazia. Trasformazioni in società, lievemente stucchevoli ma di elevata forma, magistralmente dirette da George Cukor, autentico arbiter elegantiae. Audrey Hepburn è eccellente negli iconici panni di Eliza Doolittle, sgrammaticata fioraia dai modi rozzi che diventa una gran dama d'alta società grazie agli insegnamenti del professor Higgins (Rex Harrison).



Uno dei film più auto-ironici e raffinati di William Wyler, che segue la tradizione delle commedie romantiche di impronta tradizionale spruzzando qua e là echi di giallo ed effervescente sentimentalismo. Come rubare un milione di dollari e vivere felici (1966), nonostante qualche sbavatura dovuta all'eccessiva lunghezza, ha brio da vendere grazie al talento del regista e alla forza dei suoi incantevoli protagonisti: Audrey Hepburn (in Givenchy, ça va sans dire) deliziosa figlia di un falsario che si spaccia per collezionista d'arte e Peter O'Toole, ladro gentiluomo, danno vita a un gioco degli equivoci strepitoso. Grande eleganza nell'ambientazione francese e confezione di classe (fotografia di Charles Lang, scenografie di Alexandre Trauner e musiche di John Williams). Una delizia.



Uno dei più fulgidi esempi di cinema sentimentale in grado di restituire la magia di una love story d'altri tempi e, insieme, di imporsi come una testimonianza del costume di un'epoca (gli anni Sessanta), nonché un modello di costruzione drammatica scevro da qualsiasi ombra di stucchevole romanticismo. Due per la strada (1967), titolo diventato di culto con il passare degli anni, celebrato da numerosi autori europei e americani, è uno dei migliori film di Stanley Donen, esemplare nella ricerca visiva e nella costruzioine narrativa a incastro che accosta piani temporali differenti. Magistrale sceneggiatura di Frederic Raphael, puntuale nel mettere in risalto il tagliente potenziale della parola attraverso schermaglie amorose dal sapore autentico e sincero, che stimolano più di una riflessione sulla vita di coppia incrinata dallo scorrere del tempo e dalla consapevolezza di non poter più rivivere un felice passato. Bellissima ambientazione agreste esaltata dalla fotografia di Christopher Challis, carezzevole colonna sonora di Henry Mancini e strepitosa interpretazione di Audrey Hepburn e Albert Finney. Titoli di testa di Maurice Binder. Meraviglioso.



Provando a prendere le distanza dall'ingombrante tradizione cinematografica che circonda la figura di Robin Hood, Richard Lester legge in chiave malinconica e crepuscolare uno dei miti più popolari di sempre. E fa centro. Robin e Marian (1976) è innanzitutto una storia d'amore tra due amanti non più giovani e agguerriti, logorati dalle innumerevoli avventure a cui hanno dovuto fa fronte nel corso degli anni. La coppia formata da Sean Connery e Audrey Hepburn (tornata sul grande schermo dopo una pausa di nove anni) illumina lo schermo e restituisce con naturalezza il declino di due personaggi ampiamente consolidati nell'immaginario comune. Impossibile non commuoversi nello struggente finale, che chiude letteralmente un'epoca. Gran classe.

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