Era il 2006 quando la saga di James Bond subiva il suo più radicale rinnovamento. Tra legittimi timori preventivi nell'andare a intaccare un monumento della conservativa tradizione british e volontà di portare fino in fondo un "azzeramento" del personaggio, seguendo l'idea vincente del reboot (ovvero della ripartenza dalle origini di una serie trasponendola in un contesto aggiornato rispetto a quanto visto fino a quel momento), la seconda vita cinematografica di 007 ottiene un successo clamoroso, sia di pubblico che di critica.
E il merito è, senza ombra di dubbio, anche di Daniel Craig, moderno agente segreto al servizio segreto di Sua Maestà che riesce a essere tremendamente glamour anche nei frangenti più brutali, risoluto ma romantico, con quello sguardo di ghiaccio che lascia sempre trasparire una sotterranea fragilità. Un duro costretto a confrontarsi con i fantasmi del passato, l'incertezza del presente e la paura di una minaccia globale invisibile, perennemente a proprio agio anche nelle situazioni più incredibili, secondo ferrea e inviolabile tradizione bondiana, diversissimo da potenziali competitor come l'Ethan Hunt di Tom Cruise o il Jason Bourne di Matt Damon, per non parlare dell'ipercinetico e tostissimo John Wick di Keanu Reeves.
«Come diavolo fa Bond a essere così stupido?! Io lo promuovo a doppio zero e quello squilibrato fa "Mezzogiorno di fuoco" in mezzo all'ambasciata, ma dove diavolo è finito?! Una volta un agente che faceva un gesto così imbarazzante aveva il buon senso di passare al nemico! Dio, come mi manca la Guerra fredda!» (M in Casino Royale, 2006)
Ripercorriamo allora alcuni dei momenti più significativi dello 007 dell'era Craig, in un elettrizzante viaggio per immagini che ci possa far sognare in attesa di vedere No Time to Die, la cui uscita italiana è fissata per il 30 settembre 2021.
In Casino Royale la fortissima cesura con il passato è evidente già dalla folgorante opening scene (in bianco e nero!), in cui vediamo Craig per la prima volta nei panni di Bond emergere dall'oscurità. Siamo alle origini del mito, quando la licenza di uccidere era ancora un traguardo da raggiungere.
L'elemento davvero di spicco di Casino Royale rimane la figura di Vesper Lynd (Eva Green), memorabile Bond girl fondamentale per capire il rapporto di 007 con le donne (molto più articolato di quanto si pensi), destinata a entrare nel cuore dei fan quasi quanto la contessa Tracy Di Vicenzo interpretata da Diana Rigg nel meraviglioso Al servizio segreto di Sua Maestà (1969). E la scena sotto la doccia è già entrata nella storia della saga.
Quando pensiamo di esserci scattati un selfie figo che ci permetta di fare il botto di like sui social, ricordiamoci sempre che la perfezione è già stata raggiunta... Qualcuno si sente in grado di competere?
Che dire di Mads Mikkelsen, che nei panni di Le Chiffre dà vita a uno dei villain più straordinaria di tutta la saga bondiana? Un cattivo assolutamente perfetto nel suo misurato edonismo, megalomane ma profondamente legato alle dinamiche "reali" della contemporaneità, che non crede in Dio ma in un ragionevole tasso di profitto. Touché.
Buona la prima, per Craig. Lo stesso non si può dire per la seconda... Quantum of Solace (2008) è infatti un pasticcio che fa acqua da tutte le parte, in cui è difficile salvare qualcosa (sigh). Se il terreno argilloso su cui poggia il film si fa via via sempre più dissestato con il passare dei minuti, l'inseguimento iniziale in auto sul Garda rimane un momento action di buon livello. Craig/Bond, ridotto qui a semplice automa, si rifarà ampiamente con il film successivo, dove darà sfoggio di tutto il suo imperscrutabile magnetismo.
Off-topic ma non troppo: chi si ricordava di James Bond letteralmente al servizio (segreto) di Sua Maestà nel video per la cerimonia di apertura delle Olimpiadi di Londra del 2012?
Il tempo sarà giudice supremo, ma definire già ora Skyfall (2012) uno dei migliori Bond movie di sempre non è certo una boutade estemporanea. Un'operazione magistrale, che porta 007 verso nuovi standard qualitativi, proiettandolo ai vertici del cinema di intrattenimento contemporaneo, a 50 anni esatti dall'esordio cinematografico avvenuto con Licenza di uccidere nel 1962. Come si fa a non amare Daniel Craig, alcolizzato e con barba sfatta, che "si gode la morte" (cit.) prima del suo ritorno tra i ranghi dell'MI6?
A dir poco clamoroso il primo incontro tra 007 e il nuovissimo Q, interpretato da Ben Whishaw, alla National Gallery di fronte al capolavoro romantico La valorosa Téméraire (1839) di Joseph Turner: il simbolico "duello" tra glorioso passato ed efficienza della modernità definisce perfettamente lo spirito del nuovo corso bondiano.
In Skyfall i momenti spettacolari non si contano, anche grazie allo straordinario contributo della fotografia del maestro Roger Deakins: difficile trovare qualcosa che più si avvicini al concetto di "perfezione della messa in scena" dell'arrivo di Bond, impeccabile nel suo tuxedo Tom Ford, alla sala da gioco di Macao in cui incontra la seducente femme fatale Sévérine (Bérénice Marlohe).
«Mammina è stata molto cattiva». Ciliegina sulla torta di un film magnifico, il carisma di Javier Bardem che dona al cattivissimo Silva un'allure indimenticabile: movenze raffinate e chioma biondo platino nascondono un passato oscuro che riaffiora ineluttabile, tra le pieghe di un'esistenza sospesa tra regressione infantile, deviato affetto materno e negazione delle proprie debolezze, destinata a spegnersi tragicamente in un epilogo di portata monumentale.
- Dove stiamo andando?
- Indietro nel tempo.
Emozione allo stato puro.
Daniel Craig e il regista Sam Mendes, con il successivo Spectre (2015), portano a compimento il loro percorso bondiano teso a unire tradizione e innovazione che aveva preso forma con l'entusiasmante Skyfall. I due film, nonostante non siano sullo stesso livello qualitativo, sono da leggere come un dittico molto ben calibrato, dove alle meraviglia in digitale del primo si affianca la patina vintage del secondo. Girato in pellicola 35mm, Spectre segna il definitivo punto di equilibrio, a volte un po' forzato, tra esigenze di rispetto del Bond "vecchio stile" e approdo a una visione dell'eroe sempre più vicina alle istanze provenienti dalle nuove generazioni. Non tutto quadra, soprattutto per quanto riguarda la sciagurata gestione di Blofeld (malamente interpretato da Christoph Waltz), ma il lavoro certosino sull'evoluzione del personaggio rimane anche qui molto pregevole. E Craig che omaggia lo smoking di Connery in Goldfinger (1964), con tanto di garofano rosso all'occhiello, è una chicca.
Oltre al magnifico incipit a Città del Messico durante il Día de los muertos, uno dei punti di forza di Spectre è la suggestiva parentesi ambientata a Roma, dove Bond ha un fugace quanto focoso contatto con la vedova Lucia Sciarra, interpretata da Monica Bellucci.
Concepito come il film di chiusura del "ciclo Craig" (che invece troverà il suo epilogo con No Time to Die), Spectre si chiude con un finale a effetto di bellezza sopraffina, sulle note del James Bond Theme: 007 si avvia verso un nuovo corso a bordo della mitica Aston Martin DB5, ma non è solo, perché accanto a lui scopriamo esserci l'amata Madeleine (Léa Seydoux), intrigante Bond girl dal nome proustiano.
Come sarebbe stata la locandina di No Time to Die se il film fosse stato realizzato nel 1983? I poster fan art, quelli belli.
© Mark Murphy
Davide Dubinelli
E il merito è, senza ombra di dubbio, anche di Daniel Craig, moderno agente segreto al servizio segreto di Sua Maestà che riesce a essere tremendamente glamour anche nei frangenti più brutali, risoluto ma romantico, con quello sguardo di ghiaccio che lascia sempre trasparire una sotterranea fragilità. Un duro costretto a confrontarsi con i fantasmi del passato, l'incertezza del presente e la paura di una minaccia globale invisibile, perennemente a proprio agio anche nelle situazioni più incredibili, secondo ferrea e inviolabile tradizione bondiana, diversissimo da potenziali competitor come l'Ethan Hunt di Tom Cruise o il Jason Bourne di Matt Damon, per non parlare dell'ipercinetico e tostissimo John Wick di Keanu Reeves.
«Come diavolo fa Bond a essere così stupido?! Io lo promuovo a doppio zero e quello squilibrato fa "Mezzogiorno di fuoco" in mezzo all'ambasciata, ma dove diavolo è finito?! Una volta un agente che faceva un gesto così imbarazzante aveva il buon senso di passare al nemico! Dio, come mi manca la Guerra fredda!» (M in Casino Royale, 2006)
Ripercorriamo allora alcuni dei momenti più significativi dello 007 dell'era Craig, in un elettrizzante viaggio per immagini che ci possa far sognare in attesa di vedere No Time to Die, la cui uscita italiana è fissata per il 30 settembre 2021.
In Casino Royale la fortissima cesura con il passato è evidente già dalla folgorante opening scene (in bianco e nero!), in cui vediamo Craig per la prima volta nei panni di Bond emergere dall'oscurità. Siamo alle origini del mito, quando la licenza di uccidere era ancora un traguardo da raggiungere.
L'elemento davvero di spicco di Casino Royale rimane la figura di Vesper Lynd (Eva Green), memorabile Bond girl fondamentale per capire il rapporto di 007 con le donne (molto più articolato di quanto si pensi), destinata a entrare nel cuore dei fan quasi quanto la contessa Tracy Di Vicenzo interpretata da Diana Rigg nel meraviglioso Al servizio segreto di Sua Maestà (1969). E la scena sotto la doccia è già entrata nella storia della saga.
Quando pensiamo di esserci scattati un selfie figo che ci permetta di fare il botto di like sui social, ricordiamoci sempre che la perfezione è già stata raggiunta... Qualcuno si sente in grado di competere?
Che dire di Mads Mikkelsen, che nei panni di Le Chiffre dà vita a uno dei villain più straordinaria di tutta la saga bondiana? Un cattivo assolutamente perfetto nel suo misurato edonismo, megalomane ma profondamente legato alle dinamiche "reali" della contemporaneità, che non crede in Dio ma in un ragionevole tasso di profitto. Touché.
Buona la prima, per Craig. Lo stesso non si può dire per la seconda... Quantum of Solace (2008) è infatti un pasticcio che fa acqua da tutte le parte, in cui è difficile salvare qualcosa (sigh). Se il terreno argilloso su cui poggia il film si fa via via sempre più dissestato con il passare dei minuti, l'inseguimento iniziale in auto sul Garda rimane un momento action di buon livello. Craig/Bond, ridotto qui a semplice automa, si rifarà ampiamente con il film successivo, dove darà sfoggio di tutto il suo imperscrutabile magnetismo.
Off-topic ma non troppo: chi si ricordava di James Bond letteralmente al servizio (segreto) di Sua Maestà nel video per la cerimonia di apertura delle Olimpiadi di Londra del 2012?
Il tempo sarà giudice supremo, ma definire già ora Skyfall (2012) uno dei migliori Bond movie di sempre non è certo una boutade estemporanea. Un'operazione magistrale, che porta 007 verso nuovi standard qualitativi, proiettandolo ai vertici del cinema di intrattenimento contemporaneo, a 50 anni esatti dall'esordio cinematografico avvenuto con Licenza di uccidere nel 1962. Come si fa a non amare Daniel Craig, alcolizzato e con barba sfatta, che "si gode la morte" (cit.) prima del suo ritorno tra i ranghi dell'MI6?
A dir poco clamoroso il primo incontro tra 007 e il nuovissimo Q, interpretato da Ben Whishaw, alla National Gallery di fronte al capolavoro romantico La valorosa Téméraire (1839) di Joseph Turner: il simbolico "duello" tra glorioso passato ed efficienza della modernità definisce perfettamente lo spirito del nuovo corso bondiano.
In Skyfall i momenti spettacolari non si contano, anche grazie allo straordinario contributo della fotografia del maestro Roger Deakins: difficile trovare qualcosa che più si avvicini al concetto di "perfezione della messa in scena" dell'arrivo di Bond, impeccabile nel suo tuxedo Tom Ford, alla sala da gioco di Macao in cui incontra la seducente femme fatale Sévérine (Bérénice Marlohe).
«Mammina è stata molto cattiva». Ciliegina sulla torta di un film magnifico, il carisma di Javier Bardem che dona al cattivissimo Silva un'allure indimenticabile: movenze raffinate e chioma biondo platino nascondono un passato oscuro che riaffiora ineluttabile, tra le pieghe di un'esistenza sospesa tra regressione infantile, deviato affetto materno e negazione delle proprie debolezze, destinata a spegnersi tragicamente in un epilogo di portata monumentale.
- Dove stiamo andando?
- Indietro nel tempo.
Emozione allo stato puro.
Daniel Craig e il regista Sam Mendes, con il successivo Spectre (2015), portano a compimento il loro percorso bondiano teso a unire tradizione e innovazione che aveva preso forma con l'entusiasmante Skyfall. I due film, nonostante non siano sullo stesso livello qualitativo, sono da leggere come un dittico molto ben calibrato, dove alle meraviglia in digitale del primo si affianca la patina vintage del secondo. Girato in pellicola 35mm, Spectre segna il definitivo punto di equilibrio, a volte un po' forzato, tra esigenze di rispetto del Bond "vecchio stile" e approdo a una visione dell'eroe sempre più vicina alle istanze provenienti dalle nuove generazioni. Non tutto quadra, soprattutto per quanto riguarda la sciagurata gestione di Blofeld (malamente interpretato da Christoph Waltz), ma il lavoro certosino sull'evoluzione del personaggio rimane anche qui molto pregevole. E Craig che omaggia lo smoking di Connery in Goldfinger (1964), con tanto di garofano rosso all'occhiello, è una chicca.
Oltre al magnifico incipit a Città del Messico durante il Día de los muertos, uno dei punti di forza di Spectre è la suggestiva parentesi ambientata a Roma, dove Bond ha un fugace quanto focoso contatto con la vedova Lucia Sciarra, interpretata da Monica Bellucci.
Concepito come il film di chiusura del "ciclo Craig" (che invece troverà il suo epilogo con No Time to Die), Spectre si chiude con un finale a effetto di bellezza sopraffina, sulle note del James Bond Theme: 007 si avvia verso un nuovo corso a bordo della mitica Aston Martin DB5, ma non è solo, perché accanto a lui scopriamo esserci l'amata Madeleine (Léa Seydoux), intrigante Bond girl dal nome proustiano.
Come sarebbe stata la locandina di No Time to Die se il film fosse stato realizzato nel 1983? I poster fan art, quelli belli.
© Mark Murphy
Davide Dubinelli