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"Filmmaker Festival": al via il prossimo 15 novembre la nuova edizione

FILMMAKER FESTIVAL
Milano, 15-24 novembre 2019

Arcobaleno Film Center | Cinema Beltrade | FilmTv Lab
Al via il prossimo 15 novembre l'edizione 2019 di FILMMAKER FESTIVAL, in programma fino al 24 novembre a Milano presso Arcobaleno Film Center, Cinema Beltrade e FilmTv Lab



Al centro della manifestazione, come sempre, il cinema documentario e – più in generale – “di ricerca”: un’identità netta e riconoscibile che da quarant’anni, all’interno di un panorama nazionale affollato di appuntamenti, fa di Filmmaker un punto di riferimento certo per chi vuole scoprire e sostenere nuovi autori, nuove forme cinematografiche, nuove relazioni con il pubblico. E non è un caso che tra i nuovi autori portati per la prima volta all’attenzione degli spettatori italiani, figurino nomi diventati col tempo degli autentici “classici”, da Ulrich Seidl a Frederick Wiseman, da Rithy Panh a Errol Morris.
Sei le sezioni in cui si articola il programma di quest’anno: Concorso Internazionale, Prospettive, Fuori concorso, Filmmaker Moderns, Fuori formato, Alain par Cavalier, cui si aggiungono i film di apertura e chiusura, per un totale di 99 titoli, di cui 31 in anteprima assoluta, 3 in anteprima
europea e 26 in anteprima italiana.

EVENTO SPECIALE – APERTURA

L’apertura del festival, venerdì 15 novembre, è affidata a Nomad: In the Footsteps of Bruce Chatwin, il nuovo documentario di Werner Herzog (in uscita nelle sale italiane nel 2020 con Feltrinelli Real Cinema e Wanted): non un semplice biopic di Bruce Chatwin, ma il racconto commovente di un’amicizia – quella tra lo scrittore di In Patagonia e il regista – nel quale l’autore mette in gioco tutto se stesso e il proprio desiderio di fare cinema.
A distanza di trent'anni dalla morte di Chatwin, Herzog ne ripercorre i passi (che spesso si sono intrecciati ai suoi), seguendo come traccia gli appunti dei suoi taccuini. E con in spalla l'inseparabile zaino di pelle che l'amico gli ha lasciato prima di morire ci porta da un brontosauro in
Patagonia, davanti allo scheletro di una nave fantasma, a Punta Arenas, nelle caverne preistoriche, nei cimiteri indigeni dell'entroterra australiano, nella sua casa inglese, per lui un rifugio sicuro, dove vive ancora la vedova, Elizabeth: una lunga camminata nella memoria che si fa confronto tra
gli universi poetici “nomadi” di due uomini che si sono nutriti del piacere – forse persino della necessità – di esplorare a piedi il mondo, le sue geografie fisiche e emozionali, convinti del potere magnetico e vitale del viaggio.

EVENTO SPECIALE – CHIUSURA

Si interrompe per quest’anno, ma con l’intenzione di riprenderla al più presto, la tradizione di affidare la chiusura al film di un autore italiano. Impossibile, infatti, non dedicare l’ultima serata del festival a uno dei grandi film della stagione, quel Vitalina Varela – già Pardo d’oro a Locarno,
dove ha vinto anche il premio per la migliore attrice – con cui il portoghese Pedro Costa (No Quarto da Vanda; Juventude em Marcha) sposta ulteriormente in avanti la propria ricerca politica e formale: un’opera che si riallaccia tanto ai primissimi film del regista quanto alle fughe in avanti
dei suoi lavori più recenti. Vitalina Varela ha atteso quarant’anni che il marito emigrato da Capo Verde a Lisbona le inviasse il biglietto d’aereo per raggiungerlo ma quando infine arriva in Portogallo lui ormai è morto. Ad accoglierla in aeroporto, la donna trova un coro di immigrate, inservienti e donne delle pulizie, che come sulla scena di un teatro tragico le consigliano di tornarsene a casa. Ma Vitalina si rifiuta e
decide di intraprendere un viaggio nei luoghi in cui il marito ha condotto la sua vita lontano da lei. L’esplorazione assume progressivamente i contorni di un’erranza sempre più profonda nell’inferno dell’emarginazione sociale, tra le baracche dove si accampano i manovali trattati come schiavi da
un Paese ancora impigliato in un retaggio coloniale che non sembra esaurirsi. Immerso nella notte, il film segue Vitalina, persona-personaggio che insieme al regista ha portato in scena la sua stessa esistenza, nelle profondità di questo mondo sommerso. Un film pittorico, in cui il nero più assoluto assume la consistenza splendida del colore ad olio mentre i personaggi, dall’alto della loro statura epica, assurgono ad archetipi di una condizione umana sospesa tra sonno e veglia, tra desiderio e morte.

CONCORSO INTERNAZIONALE

Il Concorso internazionale propone quest’anno 9 film, senza distinzioni di formato, genere o durata, firmati tanto da giovani autori quanto da nomi di primo piano del panorama cinematografico internazionale. Non un semplice “palinsesto”, ma un mosaico di sguardi sul mondo. Un mondo di cui Filmmaker cerca di indagare la complessità, riflettendo sulle istanze divergenti che lo animano, le crisi globali e individuali che lo agitano, i linguaggi metamorfici che – in forme sempre nuove – lo raccontano. Il risultato è una selezione aperta ad un sorprendente caleidoscopio di stimoli formali, tematici e concettuali, un mosaico di tessere dissimili alla continua ricerca di una verità relativa, un punto di domanda, un buco della serratura da cui intravedere una finestra aperta sul mondo. E il cinema, una sfida sempre in divenire. C’è un cinema interdisciplinare di dialogo fra le arti. La francese Marie Losier, beniamina del MoMA e di Filmmaker (che le dedicò la retrospettiva dell’edizione 2016), torna a Milano con Felix in Wonderland, nuovo capitolo nella sua collezione di eccentrici ritratti d’artista, stavolta dedicato all’universo musicale di Felix Kubin e del suo strumento d’elezione, il Korg MS-20. Cadenzato da versi ipnotici, l’argentino Parsi, co-firmato da Eduardo Williams e dal poeta Mariano Blatt, è un’epopea sensoriale girata all’interno della comunità trans e queer di Bissau, un inno al movimento perpetuo, alla fluidità estrema, alla complicità inattesa. Al confine fra cinema, arti figurative e performance, Zapruder filmmakersgroup, una delle realtà più originali della scena italiana, presentano in prima mondiale Zeus Machine. L’invincibile, progetto ad episodi ispirato al mito delle fatiche di Ercole: concettuale, inventivo, vitalissimo.
Curiosamente apparentati sin dal titolo, due film condividono il racconto dell’ansia da auto-rappresentazione nel cortocircuito fra reale e virtuale: Present. Perfect. di Zhu Shengze (Tiger Award all’ultimo Festival di Rotterdam), immersione negli abissi del live-streaming cinese e
l’affresco pixellato di una generazione che reclama il diritto ad un’esistenza (online) contro un mondo (offline) che la emargina; e Piuccheperfetto di Riccardo Giacconi, che esplora l’inquietante vertigine di un’identità in costruzione, un adolescente e le sue metamorfosi attraverso uno
schermo digitale che moltiplica le tracce, le versioni, le visioni di sé.
L’urgenza della realtà deflagra nel ritorno di due grandi autori, già vincitori di Filmmaker in passato. Con On va tout péter, Lech Kowalski prende parte alle agitazioni operaie di una fabbrica francese minacciata di chiusura, sviluppando una riflessione potente e rabbiosa sul senso della lotta e sulle necrosi sistemiche dell’apparato sociale. Altro campo di battaglia per Abbas Fahdel, che in Bitter Bread documenta con partecipazione umanista la vita, la sopravvivenza quotidiana e lo spirito resiliente di un campo profughi per rifugiati siriani in Libano.
C’è poi un cinema intimo, spontaneo e collaborativo, che ritraendo la vita sembra illuminare la creazione del cinema stesso. Un film dramatique di Eric Baudelaire è il frutto di quattro anni di lavoro con gli studenti di una scuola media parigina, liberi di sperimentare in un esercizio di condivisione intuitiva delle immagini che accende il dibattito in direzioni inaspettate. In prima mondiale Danilo Monte presenta invece Nel mondo, diario personalissimo sul primo anno di vita del figlio, testimonianza vibrante su cosa significa esistere: accogliere la gioia, accettare l’errore,
prendere coscienza che tutto evolve e cambia.

FUORI CONCORSO

Cinque (più una ancora da svelare) le proposte Fuori concorso di questa edizione. A Dog Called Money di Seamus Murphy (prossimamente nelle sale italiane con Wanted) è la testimonianza del processo creativo che sottende alla realizzazione dell’ultimo disco di PJ Harvey, The Hope Six Demolition Project. La strada per le montagne, l’intimo tentativo di Micol Roubini di far luce sul passato della propria famiglia, tornando a quella casa in Ucraina vista solo in una vecchia foto del 1919, e a cui oggi misteriosi vigilanti impediscono l’accesso.
The Sky Over Kibera, nuovo progetto cinematografico di Marco Martinelli e del Teatro delle Albe, a partire dall’adattamento scenico della Divina Commedia realizzato, con il coinvolgimento di 140 ragazzi, nello slum di Kibera, l’immensa bidonville nel cuore di Nairobi, in Kenya.
Tutto l’oro che c’è di Andrea Caccia, che come il Ticino – lungo il cui corso è ambientato – si muove, rallenta, sussulta, confondendo i “generi” – documentario e finzione – fino a diventare invenzione di un mondo e dichiarazione di un cinema possibile.
E infine, ma solo per ordine alfabetico, Varda par Agnès, il film-testamento di Agnès Varda (nelle sale il prossimo anno distribuito dalla Cineteca di Bologna), che tra immagini di repertorio e incontri col pubblico ne ripercorre la carriera di filmmaker e artista a partire dagli esordi come fotografa e poi dal debutto nel cinema con La pointe courte (1955). Le immagini dei suoi film e di inediti “dietro le quinte” – come nel caso del set di Senza tetto né legge (1985) – accompagnano un percorso che va dagli albori della Nouvelle Vague al più recente Visages, Villages (2017) realizzato con il giovane artista JR. Un tragitto in cui l'avvento del digitale nei primi anni duemila segna un momento di cesura e svela la natura curiosa e di costante apertura al mondo di Varda, fra le prime a sperimentare con il nuovo mezzo e a coglierne il potenziale di libertà. La pellicola diventa allora quella delle sue capanne realizzate proprio con le pellicole in 35mm, che Varda espone in diversi musei e che racchiudono uno sguardo nostalgico, ma senza rimpianti, verso il passato. Varda par Agnès ci accompagna in un'avventura spericolata nel cinema durata 65 anni e interrotta solo dalla scomparsa nel marzo di quest’anno.

CONCORSO PROSPETTIVE

La sezione Prospettive vuole essere un laboratorio di idee, un momento d'incontro e di scontro tra visioni e punti di vista desiderosi di mettersi in gioco, uno spazio che immaginiamo capace di stimolare riflessioni e provocazioni. È, sin dal nome e dai suoi esordi, una sezione che rischia e
scommette. Sui film che presenta, ma soprattutto sui loro autori. È un percorso che Filmmaker compie tra le nuove generazioni del cinema italiano, cercando di intercettare temi, durate e strutture di quelli che – si spera - saranno i protagonisti nei prossimi
anni. È una sezione “disordinata”, che incrocia proposte molto diverse tra loro, testimonianza di vitalità, in cui – nelle intenzioni della selezione – non si cerca di trovare un filo comune, se non la voglia dei registi di sperimentare le forme del documentario. Anche quest’anno, tra i numerosi
titoli che ci sono arrivati, abbiamo avuto la possibilità di vedere molti lavori che affrontavano il rapporto con il documentario facendo uso di generi e forme differenti tra di loro. Dai film che usano l’animazione, a quelli di pura osservazione, a quelli che ricorrono a elementi di finzione o ai
film, soprattutto cortometraggi, che si interfacciano con la sperimentazione. E nonostante la voglia di “disordine” che ha animato la selezione, si possono rintracciare nei film che presentiamo alcune urgenze comuni, alcuni temi costanti. Il rapporto con il Tempo, soprattutto, che si traduce nella voglia di essere protagonisti dei cambiamenti della propria vita, attraverso l’indagine su quanto il nostro passato abbia influito per farci essere come siamo. E su ciò che possiamo – e dobbiamo – fare per diventare qualcos'altro.
Sono le “conquiste” faticose che accompagnano le storie narrate in A Calm Day di Jan Mozetič, o il quotidiano delle donne immigrate che frequentano la scuola di italiano dove si muove Perla Sardella in Prendere la parola. Ma anche la ricerca di sé praticata attraverso il bondage dai personaggi di Lo spazio delle corde di Caterina Ferrari. O quella vita di coppia in cui per il progetto diventa lo specchio di una relazione
(For the Love I Show di Pietro Coppolecchia). Nel film più sperimentale di Giulio Melani, Astronomo, si cercano di capire le ragioni che spingono
a esplorare lo spazio quando non si è in grado di percepire quello che c’è sulla Terra, e persa tra lo spazio e i pellegrini è la voce sussurrata che si chiede cosa sia il tempo messa in scena da Alberto Baroni in LE-TOI-ILE, o nelle immagini tra passato e presente di Chiara Rigione (Domani chissà,
forse). Un tempo che cambia e che ci fa cambiare, quando lo spazio per la vita si sta esaurendo: come racconta Andrés Testa Herranz in Quando sei con me; o mentre percorriamo le mappe immaginarie di un mondo degradato – quello che ci mostra Nazareno M. Nicoletti in Giù dal vivo. E che si può esaurire pure per una strana declinazione della volontà, per la presenza di fantasmi immateriali che portano ad un impulso autodistruttivo sul quale indaga Chiara Arrigo (Lindiota). La vita come sfida, quindi, quella del toro nella corrida trasformata in pellicola da Giulia Savorani (¡Que Viva), o quella degli adolescenti che ballano e giocano su cui si sofferma lo sguardo complice di Gianluca Salluzzo in The Pavilion. O ancora le esistenze nel deserto dell’Almeria dove ci porta Davide Palella (Sirio), e i sentieri del parco della Favorita di Palermo lungo i quali si avventura Virginia Nardelli (C'è un lupo nel parco del re), che ci ricordano quanto tortuoso e oscuro può essere il nostro percorso, ma quanta luce e umanità possiamo trovare nel percorrerlo.
Due le proposte fuori concorso di Prospettive: Asmrr molesto, con cui Ilaria Pezone porta alle estreme conseguenze la sua personale ricerca sul cinema di prossimità; e l’Amleto di Tekla Taidelli che traduce il più celebre monologo di Shakespeare nel vissuto degli homeless di Milano.

ALAIN PAR CAVALIER

Nonostante alcuni grandi exploit anche commerciali (su tutti il successo di Thérèse, Premio della Giuria a Cannes e sei César), quello di Alain Cavalier (Vendôme, 1931) resta un nome di fatto oscuro per il pubblico italiano, e anche la critica si è mostrata spesso disorientata di fronte alle più recenti incursioni festivaliere dell’autore (l’ultima in concorso a Cannes, nel 2011 con Pater). Dopo la presentazione nel 2017 dei Six Portraits XL, Filmmaker continua a posare il suo sguardo sull’opera di Cavalier. Lo fa, ovviamente alla presenza del regista, proponendo tre film (scelti dallo stesso autore) insieme al nuovo Etre vivant et le savoir (2019, in prima italiana): La Rencontre (1996), Irène (2009) e Martin et Léa (1979). Si tratta di una scelta che segue una logica chiara, che rimanda a legami espliciti: tutti e quattro i film parlano di una coppia o di un duo. E parlano della morte, che è uno dei temi ricorrenti nel cinema di Cavalier da quando ha deciso di girare da solo con la sua macchina da presa. Un'opera autobiografica che esprime le paure e le gioie del suo autore, inscena i fantasmi che lo abitano, ma si fa sempre specchio delle nostre. È questo il suo valore.

FUORI FORMATO

Due i programmi di quest’anno, entrambi a cura di Tommaso Isabella: il primo dedicato a Gerhard Friedl (Bad Aussee, 1967 – Berlino, 2009), “topografo dell'evanescente”, la cui opera breve e singolare, riscoperta di recente dalla critica di lingua tedesca, rappresenta un evento straordinario
per come le forme del documentario e del film saggio sono convertite, con efficacia e semplicità esemplari, in qualcosa di radicalmente diverso, dal fascino oscuro ed elusivo; il secondo a Friedl vom Gröller (Londra, 1946), fotografa e cineasta, la cui ricerca si muove da sempre tra il tempo
congelato delle fotografie e il ritmo scandito dai loro intervalli, in una riflessione alimentata dall’incontro col filmmaker Peter Kubelka, pioniere di una concezione del film fondata sull'articolazione tra gli atomi fissi dei fotogrammi e il movimento della pellicola, e soprattutto
dalla psicoanalisi. Vom Gröller incontrerà il pubblico in occasione della proiezione dei suoi film.

FILMMAKER MODERNS

Quattro i Moderns a cui quest’anno Filmmaker rivolge la propria attenzione. Ken Jacobs (New York, 1933), nume tutelare del cinema di ricerca statunitense, presenterà in collegamento Skype da New York il suo The Sky Socialist. Finalmente, si potrebbe dire: perché non è solo un film, The Sky Socialist: è stato molte cose. Girato con una macchina da presa 8mm presa in prestito dopo che quella dell’autore era stata rubata, è stato per oltre mezzo secolo anni un work in progress, assumendo forme differenti, alimentando opere ulteriori, passando dai 90 ai 140 minuti. Oggi, grazie al sostegno dell’Anthology Film Archives, quel sempiterno film provvisorio ha una forma stabile. Anzi due: The Sky Socialist e il gemello Environs, una raccolta di rushes, un possibile dietro le quinte, un film libero da ogni possibile impegno narrativo. Il primo, per J. Hoberman «è un’allegoria del fare cinema, la prova dell’assoluta versatilità dell’8mm e la celebrazione del quartiere ora scomparso ai piedi del ponte di Brooklyn». E «un film sfuggente». Di certo The Sky Socialist è l’opera che s’approssima maggiormente, nella carriera di Jacobs, a un lungo di fiction, anche se no, non lo è, non sia mai: presenta dei personaggi (come in una pièce teatrale, in perfetto dialogo con gli happening di quegli anni, con didascalia da film muto, perché muto lo è - come sempre - per la maggior parte del metraggio), ed è una sorta di melodramma romantico nascosto, oscurato, distratto da una sinfonia urbana, un musical sentimentale a sonoro sospeso, impegnato a conservare su pellicola un luogo prossimo a estinguersi.
Accanto a Jacobs, spazio anche al canadese Michael Hoolboom (Toronto, 1959), con una selezione di corti e il “lungometraggio” Father Auditions (composto da cinque parti “tratte” da altri film dell’autore: Leaving Church, Damaged, 27 Thoughts About My Dad, Rain, Buffalo Death Mask), e agli italiani Francesco Ballo (Milano, 1950) e Michelangelo Buffa (Brusson, Aosta, 1948). Infine, curato appositamente per Filmmaker da Diego Cavallotti e Lisa Parolo, dell’Università di Udine, Experimental files propone un percorso attraverso alcune delle esperienze più significative del cinema sperimentale, d’artista e a passo ridotto realizzati tra Padova e Trieste (con due significative integrazioni esteuropee) dal 1958 al 1976. Sirio Luginbühl, Davorin Marc, Zdeněk Rozkopal, Michele Sambin, Mario Sillani gli autori in rassegna, cui si aggiunge il fuori quota Luca Comerio con due frammenti de L’energica avanzata contro i ribelli di El-Baruni, databile tra il 1912 e il 1913.
I film sono stati tutti restaurati dal laboratorio “La Camera Ottica” dell’Università di Udine, fondato da Leonardo Quaresima nel 2002 e diretto oggi da Cosetta Saba, che, nel corso degli anni, si è specializzato nella preservazione del film e del video, in particolare del film a passo ridotto nei suoi molteplici contesti d’utilizzo (da quello familiare a quello amatoriale, da quello educativo a quello sperimentale, etc.) e del video analogico (con un particolare focus sulla videoarte italiana degli anni Settanta).

WALKING CINEMA

Al programma di FILMMAKER si aggiunge quest’anno Walking Cinema, un progetto di proiezioni, produzioni, incontri e laboratori che esplora assonanze e possibili articolazioni tra l'atto del camminare e quello del filmare, tra il procedere di un corpo nello spazio e quello del film nella cinepresa. Tra i riferimenti storici (Oskar Fischnger, Jenny Okun, D. N. Rodowick) ed esperienze recenti (Mauro Santini, Gaia Giani), un percorso trasversale che si connette con assonanze che risuonano lungo tutto il programma, dall’apertura all’insegna di camminatori (ed esploratori) per eccellenza come Herzog e Chatwin, ai molteplici “attraversamenti” che animano molti dei titoli: nel proprio universo creativo (Varda par Agnès), tra due continenti e nella storia (Vitalina Varela), nei sentimenti (l’omaggio ad Alain Cavalier), e tutti nel potere del cinema.

FILMMAKER è sostenuto da Comune di Milano, Regione Lombardia, Ministero per i Beni e le Attività Culturali e del Turismo con la collaborazione di Forum Austriaco di Cultura, Goethe-Institut Mailand, Civica Scuola di Cinema Luchino Visconti, Università degli Studi di Udine - Camera Ottica di Gorizia, UnzaLab, Start Srl, Movie People.

Per maggiori informazioni: sito ufficiale

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