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Franca Valeri ha compiuto 100 anni: i migliori film della "signorina snob" del cinema italiano
All’anagrafe Franca Maria Norsa, Franca Valeri, che compie oggi 100 anni, vive un adolescenza difficile a causa della guerra e delle origini ebraiche di suo padre. Alla fine del conflitto mondiale si dedica al teatro, mentre la grande occasione nel mondo del cinema arriva grazie a Federico Fellini, che le offre una parte in Luci della città (1951). L’anno successivo affianca Totò in Totò a colori, di Steno, confermando che è la commedia il genere prediletto, come nel 1955, quando affianca Sophia Loren e Vittorio De Sica ne Il segno di Venere, di Dino Risi, e Alberto Sordi in Un eroe dei nostri tempi, di Mario Monicelli. Lavora anche con Luigi Comencini (Mariti in città, 1957) e Mario Camerini (Crimen, 1960). Oltre al cinema, è sul piccolo schermo che Franca Valeri trova il successo, partecipando a diversi programmi e miniserie televisive.

Difficile riassumere l'impatto culturale e la statura - ironica, acida, sorniona, irresistibile - di una donna chiave dell'intrattenimento italiano come la Franca, che ha attraverso diversi medium e altrettante incarnazioni, raccontandosi anche in dei libri, come l'autobiografia Bugiarda no, reticente e più recente Il secolo della noia, nei quali non ha mancato di evidenziare ulteriormente il suo sguardo lucido e sarcastico, e mai pedante e gravoso, sul mondo che la ospita da ormai un secolo. Si pensi prima di tutto ai suoi inimitabili sketch alla cornetta, dalle telefonate della sora Cecioni e a quelle della signorina Snob, che l'hanno eletta a pioniera e a nume tutelare per una vasta generazione di comici e a fucina di invenzioni linguistiche folgoranti. Indubbiamente un'inventrice di forme, Franca Valeri, che al cinema ha lavorato con Luciano Salce, il marito Vittorio Caprioli, Totò e tanti altri, tenendo testa egregiamente perfino ad Alberto Sordi, che nel 2020 avrebbe compiuto 100 anni come ha fatto lei oggi. 

Elenchiamo di seguito quelli che, a nostro avviso e stando al nostro dizionario, sono i migliori film interpretati da Franca Valeri.

UN EROE DEI NOSTRI TEMPI (Mario Monicelli, 1955) 

Alberto Menichetti (Alberto Sordi) è un fifone patentato che vive con l'anziana zia e un'attempata domestica. Più l'uomo cerca di stare lontano dai guai, più li attira e ne rimane coinvolto. Al grido di «Allora me volete incastrà!» il protagonista, incarnato magistralmente da Alberto Sordi, è il simbolo di un italiano fastidioso e timoroso che cerca di affermarsi con furbizia e meschinità. Sono lontani anni luce i poveri diavoli di Guardie e ladri (1951): quella che fotografa Monicelli è una società trasformata dall'arrivismo più spietato. Nonostante le trovate divertenti siano solo un pretesto, gli spassosi scambi tra la vedova Franca Valeri e Sordi sono da manuale. Da ricordare il dialogo tra i due sulla tomba del marito defunto, mentre si accordano su chi dovrà continuare a lavorare e in cambio di cosa. Lo trovate di seguito, dal minuto 23'.
 


TOTO' A COLORI (Steno, 1952)

Disavventure di Antonio Scannagatti (Totò), genio musicale incompreso. Si reca a Milano per portare le sue composizioni a un editore, ma viene scambiato per un infermiere e cacciato in malo modo. Quando sembra aver raggiunto il successo tanto agognato, una sua vecchia conoscenza manderà tutto in rovina. Totò all'apice del suo eclettismo: in Totò a colori, il Principe della risata regala una serie di sketch indimenticabili, ispirati alle sue più celebri esibizioni precedenti. Dall'intensità del direttore d'orchestra, alle mossette di una marionetta: l'intera gamma espressiva di un (grande) interprete racchiusa in un'unica pellicola entrata di diritto nella storia della commedia all'italiana. Eccolo di in azione con la Valeri, che qui dà prova di tutte le sue abilità istrioniche, dal "sì, sì, sì" al modo in cui risponde e tiene botta al "Mi piace la serva" del Principe della Risata. 



BASTA GUARDARLA (Luciano Salce, 1970)

Enrichetta (Maria Grazia Buccella) è una contadina che sogna le luci della ribalta. L'occasione le si presenta con l'arrivo in paese della compagnia guidata dal cantante Silver Boy (Carlo Giuffré), che la ribattezza Erica e la include nel suo corpo di ballo. Tra i due nasce presto una relazione, ma la vendicativa compagna (Mariangela Melato) di Silver Boy li farà separare. Caratterizzato da una spiccata matrice ironica, Basta guardarla offre fin da subito una visione parodistica, ma accurata, del mondo che gravitava attorno alle compagnie di avanspettacolo, con particolare attenzione a quelle più scalcagnate. Con meno fascino rispetto a Vita da cani(1950) di Monicelli o al successivo Roma (1972) di Fellini, la pellicola di Salce riesce comunque a risultare brillante e divertente, grazie a una sceneggiatura sempre saggiamente sopra le righe e a una regia che integra i fermi immagine (tipici del foto-romanzo) nel corso della narrazione. Splendida Franca Valeri, che in quanto a gusto pirotecnico per il travestitismo camp, nel cinema italiano di ogni epoca, ordine e grado ha veramente pochi eguali.  



PARIGI O CARA (Vittorio Caprioli, 1962)

Franca Valeri doveva il nome d'arte da lei scelto al poeta francese Paul Valery. La sua abilità di sceneggiatrice l'ha portata, in Parigi o cara del marito Caprioli, a ricoprire anche il suo primo ruolo da protagonista nei panni della prostituta Delia Nesti, in viaggio a Parigi per cercare il fratello e alle prese con una parabola e un'iconografia che per molti anticipa (e di molto) il cinema del regista spagnolo Pedro Almodóvar.



CRIMEN (Mario Camerini, 1960)

Tre uomini (Alberto Sordi, Vittorio Gassman e Nino Manfredi) e due donne (Franca Valeri e Silvana Mangano) si conoscono su un treno in viaggio dall'Italia verso la Costa Azzurra. Qui, per una serie infinita di equivoci, verranno tutti indagati come sospettati principali di un omicidio. Ma il commissario di polizia (Bernard Blier) riuscirà ad acciuffare i veri delinquenti. Camerini prova a unire (con successo) al genere della commedia a lui tanto caro una efficace atmosfera mystery, centrando l'obiettivo e realizzando una pellicola corale spassosa e gradevole, capace di coniugare risate e tensione grazie a trovate piacevoli e a un cast d'eccezione in grande forma. Efficace, seppur zoppichi un po' tropo quando la trama inizia a tingersi di giallo per svelare il mistero e riportare tutti i nodi al pettine (soprattutto in una parte finale conciliatoria e didascalica di cui non si sentiva il bisogno). In ogni caso, imperdibile per i nostalgici di quegli anni che potranno divertirsi godendosi alcuni dei più grandi nomi del panorama cinematografico italiano dell'epoca.



IL VEDOVO (Dino Risi, 1959)

Alberto Nandi (Alberto Sordi) è uno scapestrato industriale romano che spera nella morte della ricca coniuge milanese Elvira Almiraghi (Franca Valeri) per ereditarne il patrimonio e salvarsi dai debiti. Quando la moglie parte per Ginevra e il suo treno precipita in un lago, Alberto è convinto di aver finalmente risolto i suoi problemi. Ma Elvira, per puro caso, ha perso il treno... Emblema della Milano pre boom, il film ruota attorno al grattacielo in cui abitano i protagonisti. Non una semplice struttura moderna, ma un vero e proprio simbolo della città appena costruito: la Torre Velasca. Il luogo non è solo caratterizzante di per sé, ma serve a Risi per raccontare l'imminente exploit di una classe dirigente cinica e dal doppio volto, geograficamente e non solo. Da un lato c'è lo sgradevole imprenditore romano trapiantato nel capoluogo lombardo interpretato da Sordi: un abile venditore di fumo, capace di dribblare qualsivoglia impegno economico sfoggiando un divertentissimo dialetto milanese. Dall'altra c'è la mordace e altrettanto sgradevole, per pignoleria e puntualità, Franca Valeri, perfettamente in parte nei panni della milanesotta di buona famiglia che non sopporta il marito, anzi lo compatisce (memorabile l'appellativo “cretinetti” con cui Elvira si rivolge abitualmente al marito). I due attori si divertono e divertono, giocando sui più comuni difetti degli italiani, in bilico costante tra dramma e commedia.  



ARRIANGIATEVI (Mauro Bolognini, 1959)

Siamo nei giorni successivi alla legge Merlin: un callista (Peppino De Filippo) pur di sfuggire a una ormai logorante coabitazione con una famiglia del nord, decide di trasferirsi in un'ex casa chiusa, approfittando dell'affitto basso. Dalla pièce Casa nova… vita nova di De Majo e Gioli, Bolognini con gli sceneggiatori Benvenuti e De Bernardi, evita il cattivo gusto realizzando una commedia nel complesso divertente. Gli ingredienti sono ben dosati: dalle trovate comiche agli interpreti, dalla trattazione di un argomento delicato a una coraggiosa presa di posizione. La commedia, infatti, può considerarsi un vero esempio di cinema civile, che al posto dei proclami sceglie la profondità di personaggi piccolo borghesi. Per questo il film non solo ha superato la prova tempo, ma è diventato anche modello di un certo modo di fare cinema, in Italia, unendo il dato cronachistico alla presa in giro dei costumi. 



IL SEGNO DI VENERE (Dino Risi, 1955)

Agnese Tirabassi (Sophia Loren) e Cesira Colombo (Franca Valeri) sono due cugine molto diverse: la prima è di una bellezza prorompente che non può evitare i pretendenti, mentre la seconda, ormai non più una ragazzina, cerca in tutti i modi di sistemarsi. Il segno di Venere, presentato in concorso all'ottavo Festival di Cannes, è una amara commedia dal cast stellare (oltre alle protagoniste ci sono anche Vittorio De Sica, Peppino De Filippo e Alberto Sordi), capace di rappresentare al meglio un paese in costruzione, morale ed economica, proiettato verso il boom. Risi affida alla Valeri il ruolo chiave di una donna costretta dalle sovrastrutture sociali a cercar marito in ogni occasione, contrapponendole un personaggio femminile (quasi) emancipato decisamente insolito rispetto al modello femminile standardizzato di certe pellicole italiane del periodo: un'abbagliante Loren, persino molestata sul tram. Una nazione di contraddizioni mostrata con garbo dal regista, sicuramente limitato dagli scopi pubblicitari della Titanus, che comunque mostra un'acerba propensione all'introspezione e alla coraggiosa analisi sociale. Cesare Zavattini, uno dei padri del Neorealismo, ha collaborato alla sceneggiatura scritta da Risi, Franca Valeri, Ennio Flaiano e Edoardo Anton.


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