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A world of pure imagination: grazie Gene – Omaggio a Gene Wilder

“So much time and so little to do. Wait a minute. Strike that. Reverse it. Thank you.”
Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato

Quest’annus horribilis dello spettacolo pare non voler risparmiare nessun volto amato tra i ricordi d’infanzia dei trentenni di oggi e dei loro fratelli più giovani: dopo essersi portato via il Re dei Goblin, Severus Piton e Bud Spencer, oggi si prende anche Willy Wonka, lasciandoci un mondo sempre più solitario e amaro. Jerome Silberman, meglio conosciuto con il suo nome d’arte Gene Wilder, non aveva però incarnato solo l’eccentrico cioccolatiere dal cilindro porpora, ma ha dato vita a una galleria di personaggi uno più divertente dell’altro, dall’esagitato dottor Frankenstein (“si dice Frankenstin!”) di Frankenstein Junior (1974) al cowboy ubriacone di Mezzogiorno e mezzo di fuoco (dello stesso anno), diretto in entrambi i casi dall’amico Mel Brooks, dall’ebreo candido di Scusi, dov’è il West? (1979) accanto al rozzo cowboy interpretato da Harrison Ford, al sordo male accompagnato dal cieco Richard Pryor in Non guardarmi, non ti sento (1989).

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Un volto ebreo (come erano le sue origini) che perfettamente si accompagnava alla battuta tagliente di cui spesso era anche autore (sua la splendida sceneggiatura di Frankenstein Jr., diventata ormai un forziere di battute-culto citate in tutto il mondo) e che a un altro ebreo dovette la sua fortuna: dopo l’esordio con una piccola parte in Gangster Story di Arthur Penn (1967), vide il suo primo ruolo importante nei panni di Leo Bloom in Per favore, non toccate le vecchiette (1968), fortemente voluto da Mel Brooks che l’avrebbe diretto meglio di chiunque altro, esaltando le sue doti comiche.

Una vita spesa a regalare risate e, ironicamente, segnata dal dolore: nel 1989 Wilder perse il suo grande amore, la splendida comica Gilda Radner, stroncata a 42 anni da un cancro alle ovaie che impedì alla coppia di avere figli: conosciuta sul set di Hanky Panky, fuga per due (1982), la Radner venne sempre ricordata con amore da Wilder che si spese moltissimo nella prevenzione e lotta al tumore dopo la sua scomparsa.

Negli ultimi decenni Wilder aveva preferito la scrittura alla recitazione perché, diceva, «I’m tired of watching the bombing, shooting, killing, swearing and 3-D. I get 52 movies a year sent to me, and maybe there are three good [ones]. That’s why I went into writing. It’s not that I wouldn’t act again. I’d say, ‘Give me the script. If it’s something wonderful, I’ll do it.’ But I don’t get anything like that».

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Forse il film perfetto per il suo sorriso contagioso Gene l’aveva già scritto per sé nel 1974 dando vita alla parodia più divertente e riuscita dell’intera storia del cinema, facendo il verso con eleganza, oltre che a Frankenstein e alla sua creatura, alla tradizione horror e citando con raro rispetto cinefilo i grandi classici Universal: fa male pensare che di quel cast straordinario oggi restino solo Teri Garr (la bionda Inga) e l’indomabile Frau Blücher (Cloris Leachman). Di sicuro, l’abbiamo ospitato a casa nostra ogni Natale, incapaci di non sintonizzarci per la centesima volta sull’immancabile replica Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato econtinueremo a farlo, serbando il ricordo prezioso di un uomo, oltre che un attore,talmente sensibile da non aver divulgato notizie della sua malattia (il morbo di Alzheimer) per non far sapere ai bambini del mondo che anche il signor Wonka è mortale.

E no, Gene, non potrebbe andare peggio di così per noi rimasti soli a guardare la pellicola di un passato che si fa sempre più sbiadito.

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