Il più importante appuntamento italiano con il cinema dell’Europa centro orientale, giunto quest’anno alla 33ª edizione, diretta da Fabrizio Grosoli e Nicoletta Romeo, nasce alla vigilia della caduta del Muro di Berlino (l’edizione “zero” è datata 1987). Osservatorio privilegiato su cinematografie e autori spesso poco noti al pubblico italiano, e più in generale a quello “occidentale”, il Trieste Film Festival è un ponte che mette in contatto le diverse latitudini dell’Europa del cinema, facendo conoscere al pubblico, spesso in anticipo, nomi e tendenze destinate ad imporsi nel panorama internazionale. Troviamo film proposti ai Festival di Venezia, Sarajevo, Berlinale, Toronto, Locarno, Lisbona, Londra, Cannes, Karlovy Vary, solo per citarne alcuni, ed è una grande emozione poter visionare in anteprima italiana i film in programma. Nucleo centrale del programma si confermano i tre concorsi internazionali dedicati a lungometraggi, documentari e cortometraggi.
Undici i titoli del Concorso lungometraggi:
BEBIA, À MON SEUL DÈSIR (Bebia, al mio unico desiderio, Georgia – Regno Unito 2021) di Juja Dobrachkous, ÎNTREGALDE di Radu Muntean (Romania 2021), vincitore del Premio Trieste assegnato dalla giuria, KELTI (Celti, Serbia 2021) di Milica Tomović, vincitore del Premio CEI (Central European Initiative) al film che meglio interpreta la realtà contemporanea e il dialogo tra le culture (euro 3.000): una storia familiare e una festa di compleanno ambientate a Belgrado nel 1993 diventano metafore della dissoluzione di un Paese e della perdita dell’identità collettiva. Un’opera prima di una giovane regista serba che non convince fino in fondo il pubblico. MRAK (Oscurità, Serbia – Danimarca – Bulgaria – Italia – Grecia 2022) di Dušan Milić premiato dal pubblico come miglior lungometraggio, STRAHIHJA BANOVIĆ (As Far as I Can Walk, Serbia – Lussemburgo – Francia – Bulgaria - Lituania 2021), vincitore come Miglior film al Festival di Karlovy Vary 2021, ha ricevuto la menzione speciale del Premio Trieste per l’umanità dimostrata dalla storia e per il linguaggio fortemente cinematografico con cui il regista la racconta.
Colpo d’occhio del festival, i film presentati come Anteprime italiane:
SESTRI (Sorelle, Nord Macedonia – Kosovo – Montenegro 2021) di Dina Duma. Vincitore del Premio Speciale della giuria al Karlovy Vary 2021, il pubblico rimane pietrificato di fronte a quest’opera struggente, da brividi. Nel filmare sempre ciò che accade nella vita quotidiana, il film esplora il fenomeno del bullismo sui social media, dove un click ha un enorme potere. Lungometraggio di debutto per la giovane regista, sicuramente da seguire per i prossimi lavori. MURINA di Antoneta Alamat Kusijanović (Croazia – Brasile – USA – Slovenia 2021). Vincitore della Camèra d’Or come Miglior film d’esordio a Cannes 2021, un film affascinante, che riesce a scuotere il pubblico, con Martin Scorsese tra i produttori esecutivi. Murina in croato significa murena, l’animale che morde la propria carne per sfuggire al pescatore. Il suo potere è la fiducia in sé stessa, nella natura e nell’ignoto, mentre la sua forza è nel suo rifiuto di tacere, come la protagonista Julija.
LUANESHAT E KODRËS (La collina dove ruggiscono le leonesse) di Luàna Bajrami (Kosovo – Francia 2021), Presentato a Cannes 2021 e vincitore al Festival di Sarajevo per la Migliore interpretazione femminile, è un'opera prima che rimane dentro il cuore. Un desiderio febbrile di emancipazione si mischia alla rabbia di rompere i legami che trattengono queste tre giovani donne. ORKESTER (Orchestra, Slovenia – Croazia 2021), di Matevž Luzar, selezionato in concorso al Cottbus Film Festival 2021. Terzo lungometraggio del regista, il quale dichiara di aver accompagnato per anni in tournée un’orchestra, poiché la sua famiglia ne faceva parte. Indagando le dinamiche di gruppo all’interno di un’orchestra, parlando delle differenze culturali tra due paesi come la Slovenia e l’Austria, la macchina da presa ci racconta cinque storie diverse che però ci mostrano come nascondere le proprie azioni e intenzioni sia il miglior modo per renderle imbarazzanti.
WOMEN DO CRY di Mina Mileva e Vesela Kazakova (Le donne piangono, Bulgaria – Francia 2021), vincitore del Premio Audentia Eurimages – Consiglio d’Europa. Progetto vincitore del WEMW 2020, il loro primo lungometraggio ha ricevuto un premio nuovo, mai ospitato, all’interno del Trieste Film Festival. Quest'anno, ancora di più rispetto al passato, l'attenzione del Festival si è spostata su film diretti da donne, che hanno concorso per il Premio Audentia ideato e finanziato da Eurimages (fondo del Consiglio d'Europa per la co-produzione, la distribuzione, esposizione e la digitalizzazione delle opere cinematografiche europee), che ha scelto il Festival per ospitarlo. Premio destinato a promuovere una maggiore parità di genere nell’industria cinematografica europea, garantisce un premio di 30.000 euro per il prossimo progetto. Durante la premiazione è stato molto commovente vedere tremare dalla felicità le registe. Tratto da una storia vera e presentato al Festival di Cannes 2021, Women Do Cry fa immergere lo spettatore nella psiche femminile, nel cuore di un paese che non riconosce ufficialmente laparola “genere”, una nazione in Europa lacerata dal cyberbullismo, dalla povertà e dall’isolamento. Chapeau alle registe, che il pubblico ringrazia per questa immensa opera.
Last but not least, NË KËRKIM TË VENERËS di Norika Sefa (Alla ricerca di Venera, Kosovo – Nord Macedonia 2021), film che ha ricevuto il Premio Cineuropa all’interno del Festival. Presentato in anteprima italiana, la regista tratta lo spazio come qualcosa che può offrire continuamente delle sorprese. Una menzione va a Luis Armando Arteaga, direttore della fotografia, che col suo lavoro ha permesso a questo bellissimo film di formazione di brillare.
Due gli eventi speciali, fuori concorso: QUEL GIORNO TU SARAI e THE STORY OF MY WIFE:
Il film d’apertura QUEL GIORNO TU SARAI del regista Kornél Mundruczó e della sceneggiatrice Kata Weber, sua moglie, vincitori del Premio Eastern Star 2022 che riconosce una personalità del mondo del cinema che con il suo lavoro ha contribuito, proprio come il Trieste Film Festival, a gettare un ponte tra l’Europa dell’est e dell’ovest. Presentato al Festival di Cannes, un ritorno alle origini che si sofferma sui traumi ereditati attraverso la storia di una famiglia. Un omaggio agli eventi storici che influenzano profondamente l’individuo attraverso tre storie, tre generazioni, legate dall’essere ebrei nell’Europa centro-orientale, e tre luoghi: Auschwitz, Budapest e Berlino. Tre storie commoventi che fanno aprire gli occhi allo spettatore, facendogli comprendere quanto il concetto di identità, studio sviluppato dal sociologo Bauman, soprattutto nei giovani, sia flessibile per la progressiva perdita dei confini identitari degli individui (culturali, religiosi, etnici). Dopo lo straordinario successo di Pieces of a Woman, premiato a Venezia e candidato all’Oscar, di nuovo con Martin Scorsese nelle vesti di produttore esecutivo, nelle sale italiane dal 27 gennaio distribuito da Teodora Film. La speranza del regista è che coloro che si trovano ad affrontare il peso delle loro storie personali, possano riconoscersi nel film.
Il film proiettato durante la serata delle premiazioni è THE STORY OF MY WIFE di Ildikó Enyedi, al suo primo film in lingua inglese. Presentato in concorso all’ultimo Festival di Cannes, il film è l'adattamento del romanzo omonimo dello scrittore ungherese Milán Füst e vede tra i produttori Rai Cinema, da cui vengono un Sergio Rubini forse eccessivo e distonico e un cammeo di Jasmine Trinca, che poeticamente è l’apologo, e l’apoteosi masochistica, del sospetto, del dubbio.
Due nuove sezioni dallo scorso anno integrano l’impianto tradizionale dei concorsi: Fuori dagli sche(r)mi
e Wild Roses: Registe in Europa.
«Con Fuori dagli sche(r)mi – spiegano i direttori artistici – abbiamo voluto creare una vetrina dedicata alle nuove prospettive e alle nuove forme cinematografiche. Film che manifestano un grado di “libertà” tanto nella durata quanto nella struttura narrativa, aperti a ibridazioni di generi e linguaggi».
Una sezione aperta tanto ad autori affermati quanto a giovani talenti. Sei proiezioni quest’anno: DURNA ÇIRAĞI di Hilal Baydarov (La luce della gru, Azerbaigian 2021), KHAN’S FLESH di Krystsina Savutsina (Il corpo di Khan, Germania – Bielorussia 2021), DAS MÄDCHEN UND DIE SPINNE di Ramon Zürcher e Silvan Zürcher (La ragazza e il ragno, Svizzera 2021), NOTRE ENDROIT SILENCIEUX di Elitza Gueorguieva (Il nostro luogo silenzioso, Francia – Bulgaria 2021), RENGETEG – MINDENHOL LÁTLAK di Bence Fliegauf (Foresta – Ti vedo ovunque, Ungheria 2021) e per concludere SELINI, 66 EROTISEIS di Jacqueline Lentzou (Luna, 66 domande, Grecia – Francia 2021), vincitore del premio Cineuropa al festival di Sarajevo e presentato in anteprima alla Berlinale 2021.
«Wild Roses: Registe in Europa – continuano Fabrizio Grosoli e Nicoletta Romeo – è invece uno spazio che intendiamo dedicare alle donne registe dell’Europa centro orientale (tra l’altro sempre, e da sempre, molto presenti al festival), individuando ogni anno un Paese diverso cui dedicare il nostro focus. I dati dell’audiovisivo sottolineano a livello globale le difficoltà dei progetti firmati da donne ad accedere ai finanziamenti, a prescindere dal valore artistico, e dunque ci è sembrato doveroso fare la nostra parte per valorizzare le registe europee attraverso una sezione ad hoc».
Nove proiezioni quest’anno: THE PIPELINE NEXT DOOR della regista Nino Kirtadze (L’oleodotto della porta accanto, Francia – Georgia 2005), vincitore agli EFA come Miglior documentario nel 2005 e Grand Prix al Festival Visions du Réel di Nyon dello stesso anno, non convince del tutto il pubblico. GRZELI NATELI DGEEBI di Nana Ekvtimishvili e Simon Gross (In fiore, Georgia – Germania – Francia 2013), KREDITIS LIMITI di Salomè Alexi (Linea di credito, Georgia – Francia – Germania 2014), ANAS CKHOVREBA di Nino Basilia (La vita di Anna, Georgia 2016), ROGORI IKHO OTAKHI di Ketevan Kapanadze (L’umore della stanza, Georgia 2021), TAMING THE GARDEN di Salomè Jashi (Svizzera – Georgia – Germania 2021), WET SAND di Elene Naveriani (Sabbia bagnata, Svizzera – Georgia 2021), SKHVISI SAKHLI di Rusudan Glurjidze (Casa d’altri, Georgia – Russia – Spagna – Croazia 2016), Grand Prix al festival di Karlovy Vary 2016, un lavoro profondo che non si lascia dimenticare, per concludere GLORY TO THE QUEEN di Tatia Skhirtladze (Gloria alla regina, Austria - Georgia – Serbia 2020), la macchina da presa narra di come durante la Guerra Fredda, quattro leggendarie giocatrici georgiane hanno rivoluzionato il mondo degli scacchi femminili in tutto il mondo e sono diventate icone sovietiche dell’emancipazione femminile: Nona Gaprindashvili, Nana Alexandria, Maia Chiburdanidze e Nana Ioselini.
Se questo è l’orizzonte che si prospetta per il nuovo cinema del centro-Est Europa, e che pian piano prende forma nella nostra società, vale davvero la pena riempire le sale cinematografiche con tanta curiosità.
Valeria Di Brisco
Undici i titoli del Concorso lungometraggi:
BEBIA, À MON SEUL DÈSIR (Bebia, al mio unico desiderio, Georgia – Regno Unito 2021) di Juja Dobrachkous, ÎNTREGALDE di Radu Muntean (Romania 2021), vincitore del Premio Trieste assegnato dalla giuria, KELTI (Celti, Serbia 2021) di Milica Tomović, vincitore del Premio CEI (Central European Initiative) al film che meglio interpreta la realtà contemporanea e il dialogo tra le culture (euro 3.000): una storia familiare e una festa di compleanno ambientate a Belgrado nel 1993 diventano metafore della dissoluzione di un Paese e della perdita dell’identità collettiva. Un’opera prima di una giovane regista serba che non convince fino in fondo il pubblico. MRAK (Oscurità, Serbia – Danimarca – Bulgaria – Italia – Grecia 2022) di Dušan Milić premiato dal pubblico come miglior lungometraggio, STRAHIHJA BANOVIĆ (As Far as I Can Walk, Serbia – Lussemburgo – Francia – Bulgaria - Lituania 2021), vincitore come Miglior film al Festival di Karlovy Vary 2021, ha ricevuto la menzione speciale del Premio Trieste per l’umanità dimostrata dalla storia e per il linguaggio fortemente cinematografico con cui il regista la racconta.
Colpo d’occhio del festival, i film presentati come Anteprime italiane:
SESTRI (Sorelle, Nord Macedonia – Kosovo – Montenegro 2021) di Dina Duma. Vincitore del Premio Speciale della giuria al Karlovy Vary 2021, il pubblico rimane pietrificato di fronte a quest’opera struggente, da brividi. Nel filmare sempre ciò che accade nella vita quotidiana, il film esplora il fenomeno del bullismo sui social media, dove un click ha un enorme potere. Lungometraggio di debutto per la giovane regista, sicuramente da seguire per i prossimi lavori. MURINA di Antoneta Alamat Kusijanović (Croazia – Brasile – USA – Slovenia 2021). Vincitore della Camèra d’Or come Miglior film d’esordio a Cannes 2021, un film affascinante, che riesce a scuotere il pubblico, con Martin Scorsese tra i produttori esecutivi. Murina in croato significa murena, l’animale che morde la propria carne per sfuggire al pescatore. Il suo potere è la fiducia in sé stessa, nella natura e nell’ignoto, mentre la sua forza è nel suo rifiuto di tacere, come la protagonista Julija.
LUANESHAT E KODRËS (La collina dove ruggiscono le leonesse) di Luàna Bajrami (Kosovo – Francia 2021), Presentato a Cannes 2021 e vincitore al Festival di Sarajevo per la Migliore interpretazione femminile, è un'opera prima che rimane dentro il cuore. Un desiderio febbrile di emancipazione si mischia alla rabbia di rompere i legami che trattengono queste tre giovani donne. ORKESTER (Orchestra, Slovenia – Croazia 2021), di Matevž Luzar, selezionato in concorso al Cottbus Film Festival 2021. Terzo lungometraggio del regista, il quale dichiara di aver accompagnato per anni in tournée un’orchestra, poiché la sua famiglia ne faceva parte. Indagando le dinamiche di gruppo all’interno di un’orchestra, parlando delle differenze culturali tra due paesi come la Slovenia e l’Austria, la macchina da presa ci racconta cinque storie diverse che però ci mostrano come nascondere le proprie azioni e intenzioni sia il miglior modo per renderle imbarazzanti.
WOMEN DO CRY di Mina Mileva e Vesela Kazakova (Le donne piangono, Bulgaria – Francia 2021), vincitore del Premio Audentia Eurimages – Consiglio d’Europa. Progetto vincitore del WEMW 2020, il loro primo lungometraggio ha ricevuto un premio nuovo, mai ospitato, all’interno del Trieste Film Festival. Quest'anno, ancora di più rispetto al passato, l'attenzione del Festival si è spostata su film diretti da donne, che hanno concorso per il Premio Audentia ideato e finanziato da Eurimages (fondo del Consiglio d'Europa per la co-produzione, la distribuzione, esposizione e la digitalizzazione delle opere cinematografiche europee), che ha scelto il Festival per ospitarlo. Premio destinato a promuovere una maggiore parità di genere nell’industria cinematografica europea, garantisce un premio di 30.000 euro per il prossimo progetto. Durante la premiazione è stato molto commovente vedere tremare dalla felicità le registe. Tratto da una storia vera e presentato al Festival di Cannes 2021, Women Do Cry fa immergere lo spettatore nella psiche femminile, nel cuore di un paese che non riconosce ufficialmente laparola “genere”, una nazione in Europa lacerata dal cyberbullismo, dalla povertà e dall’isolamento. Chapeau alle registe, che il pubblico ringrazia per questa immensa opera.
Last but not least, NË KËRKIM TË VENERËS di Norika Sefa (Alla ricerca di Venera, Kosovo – Nord Macedonia 2021), film che ha ricevuto il Premio Cineuropa all’interno del Festival. Presentato in anteprima italiana, la regista tratta lo spazio come qualcosa che può offrire continuamente delle sorprese. Una menzione va a Luis Armando Arteaga, direttore della fotografia, che col suo lavoro ha permesso a questo bellissimo film di formazione di brillare.
Due gli eventi speciali, fuori concorso: QUEL GIORNO TU SARAI e THE STORY OF MY WIFE:
Il film d’apertura QUEL GIORNO TU SARAI del regista Kornél Mundruczó e della sceneggiatrice Kata Weber, sua moglie, vincitori del Premio Eastern Star 2022 che riconosce una personalità del mondo del cinema che con il suo lavoro ha contribuito, proprio come il Trieste Film Festival, a gettare un ponte tra l’Europa dell’est e dell’ovest. Presentato al Festival di Cannes, un ritorno alle origini che si sofferma sui traumi ereditati attraverso la storia di una famiglia. Un omaggio agli eventi storici che influenzano profondamente l’individuo attraverso tre storie, tre generazioni, legate dall’essere ebrei nell’Europa centro-orientale, e tre luoghi: Auschwitz, Budapest e Berlino. Tre storie commoventi che fanno aprire gli occhi allo spettatore, facendogli comprendere quanto il concetto di identità, studio sviluppato dal sociologo Bauman, soprattutto nei giovani, sia flessibile per la progressiva perdita dei confini identitari degli individui (culturali, religiosi, etnici). Dopo lo straordinario successo di Pieces of a Woman, premiato a Venezia e candidato all’Oscar, di nuovo con Martin Scorsese nelle vesti di produttore esecutivo, nelle sale italiane dal 27 gennaio distribuito da Teodora Film. La speranza del regista è che coloro che si trovano ad affrontare il peso delle loro storie personali, possano riconoscersi nel film.
Il film proiettato durante la serata delle premiazioni è THE STORY OF MY WIFE di Ildikó Enyedi, al suo primo film in lingua inglese. Presentato in concorso all’ultimo Festival di Cannes, il film è l'adattamento del romanzo omonimo dello scrittore ungherese Milán Füst e vede tra i produttori Rai Cinema, da cui vengono un Sergio Rubini forse eccessivo e distonico e un cammeo di Jasmine Trinca, che poeticamente è l’apologo, e l’apoteosi masochistica, del sospetto, del dubbio.
Due nuove sezioni dallo scorso anno integrano l’impianto tradizionale dei concorsi: Fuori dagli sche(r)mi
e Wild Roses: Registe in Europa.
«Con Fuori dagli sche(r)mi – spiegano i direttori artistici – abbiamo voluto creare una vetrina dedicata alle nuove prospettive e alle nuove forme cinematografiche. Film che manifestano un grado di “libertà” tanto nella durata quanto nella struttura narrativa, aperti a ibridazioni di generi e linguaggi».
Una sezione aperta tanto ad autori affermati quanto a giovani talenti. Sei proiezioni quest’anno: DURNA ÇIRAĞI di Hilal Baydarov (La luce della gru, Azerbaigian 2021), KHAN’S FLESH di Krystsina Savutsina (Il corpo di Khan, Germania – Bielorussia 2021), DAS MÄDCHEN UND DIE SPINNE di Ramon Zürcher e Silvan Zürcher (La ragazza e il ragno, Svizzera 2021), NOTRE ENDROIT SILENCIEUX di Elitza Gueorguieva (Il nostro luogo silenzioso, Francia – Bulgaria 2021), RENGETEG – MINDENHOL LÁTLAK di Bence Fliegauf (Foresta – Ti vedo ovunque, Ungheria 2021) e per concludere SELINI, 66 EROTISEIS di Jacqueline Lentzou (Luna, 66 domande, Grecia – Francia 2021), vincitore del premio Cineuropa al festival di Sarajevo e presentato in anteprima alla Berlinale 2021.
«Wild Roses: Registe in Europa – continuano Fabrizio Grosoli e Nicoletta Romeo – è invece uno spazio che intendiamo dedicare alle donne registe dell’Europa centro orientale (tra l’altro sempre, e da sempre, molto presenti al festival), individuando ogni anno un Paese diverso cui dedicare il nostro focus. I dati dell’audiovisivo sottolineano a livello globale le difficoltà dei progetti firmati da donne ad accedere ai finanziamenti, a prescindere dal valore artistico, e dunque ci è sembrato doveroso fare la nostra parte per valorizzare le registe europee attraverso una sezione ad hoc».
Nove proiezioni quest’anno: THE PIPELINE NEXT DOOR della regista Nino Kirtadze (L’oleodotto della porta accanto, Francia – Georgia 2005), vincitore agli EFA come Miglior documentario nel 2005 e Grand Prix al Festival Visions du Réel di Nyon dello stesso anno, non convince del tutto il pubblico. GRZELI NATELI DGEEBI di Nana Ekvtimishvili e Simon Gross (In fiore, Georgia – Germania – Francia 2013), KREDITIS LIMITI di Salomè Alexi (Linea di credito, Georgia – Francia – Germania 2014), ANAS CKHOVREBA di Nino Basilia (La vita di Anna, Georgia 2016), ROGORI IKHO OTAKHI di Ketevan Kapanadze (L’umore della stanza, Georgia 2021), TAMING THE GARDEN di Salomè Jashi (Svizzera – Georgia – Germania 2021), WET SAND di Elene Naveriani (Sabbia bagnata, Svizzera – Georgia 2021), SKHVISI SAKHLI di Rusudan Glurjidze (Casa d’altri, Georgia – Russia – Spagna – Croazia 2016), Grand Prix al festival di Karlovy Vary 2016, un lavoro profondo che non si lascia dimenticare, per concludere GLORY TO THE QUEEN di Tatia Skhirtladze (Gloria alla regina, Austria - Georgia – Serbia 2020), la macchina da presa narra di come durante la Guerra Fredda, quattro leggendarie giocatrici georgiane hanno rivoluzionato il mondo degli scacchi femminili in tutto il mondo e sono diventate icone sovietiche dell’emancipazione femminile: Nona Gaprindashvili, Nana Alexandria, Maia Chiburdanidze e Nana Ioselini.
Se questo è l’orizzonte che si prospetta per il nuovo cinema del centro-Est Europa, e che pian piano prende forma nella nostra società, vale davvero la pena riempire le sale cinematografiche con tanta curiosità.
Valeria Di Brisco