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Il cinema di David Cronenberg: i vostri elaborati!

Durante il workshop live dedicato al cinema di David Cronenberg, abbiamo proposto ai partecipanti di scrivere un elaborato su un elemento emblematico del cinema di questo importante regista di culto.
Ecco i lavori che hanno meritato la pubblicazione!

Marco Ceriotti
L’ARTE DI PRODURRE PAROLE – IL LINGUAGGIO IN COSMOPOLIS
Cosmopolis è la storia di un inseguimento. Non quello di Eric Packer / Robert Pattinson verso il suo obiettivo di aggiustare il taglio di capelli, e nemmeno quello dello squilibrato che lo pedina per ucciderlo. È l’inseguimento che il linguaggio compie verso il nuovo presente che corre all’impazzata: le parole faticano a star dietro a concetti come il cyber-capitalismo, il crollo del dollaro e l’avanzata dello yuan, la tecnologia, il sesso, le relazioni, il tempo. All’interno della limousine che procede a passo d’uomo si consuma il paradosso di filosofeggiare di una società velocissima e già imprendibile.
Proprio qui Juliette Binoche mostra per prima la sua debolezza affermando che le “sfugge tutto”, mentre di fronte a lei Eric dimostra apparente padronanza di controllo, essendo, a detta della moglie, uno che “riesce a ottenere informazioni e convertirle in una materia stupenda e atroce”. Quell’”arte” che Vija / Samantha Morton fa risalire al tempo degli antichi Greci col termine Chrimatistikos, sintesi della teoria economica per maggiorare il denaro. Forse che quindi il dialogo è solo finalizzato ad ottenere informazioni? Forse è per questo che a molte domande che i personaggi si pongono non segue mai una risposta?
Ma forse è per questo che il dialogo con la moglie di Eric è sempre fallimentare; “spiegati meglio, anzi no, non farlo” gli dice lei, mostrando non solo una mancata comprensione ma anche un mancato interesse per ciò che lui sta dicendo. Ciononostante, egli instaura una meta-conversazione: nel tentare un contatto con lei, spiega che “sta provando ad entrare in contatto con lei”. Non dimentichiamoci che lei è una poetessa, un’artista le cui creazioni fanno perno proprio sul linguaggio.
Allargando il focus, le parole – anzi, il silenzio fra esse – possono diventare un presagio a livello nazionale: Jane confida ad Eric che gli esperti, analizzando la grammatica di un discorso del Ministro delle Finanze, stanno dando particolare attenzione ad una emblematica pausa all’interno del commento: “l’intera economia è sconvolta perché quell’uomo ha preso fiato”. Così come minacciosa è la canzone dell’artista di colore deceduto, che sentiamo dalla limousine a mo’ di didascalia sonora al video del funerale, nel cui ritornello si ode: “No matter where you go, I’ll come and get ya”.
Il discorso svuota ogni personalità: lo constatiamo quando il terrorista rumeno blatera contro Eric su tutte le vittime che “impiastrato” con le sue torte, coprendosi di ridicolo; ma è ancor più evidente quando Eric, a casa del terrorista che lo vuole morto, chiosa che “i buchi sono interessanti, ci sono interi libri sui buchi”, criptica metafora ad intendere la sua totale assenza di genuini interessi.
Ma è proprio in questo luogo di singolar tenzone che il linguaggio rivela il potere catartico delle parole: Benno Levin rivela ad Eric che l’accettazione delle imperfezioni è la chiave per la sopravvivenza, a scapito del perfezionismo estremo. Solo ora il protagonista si emoziona e piange, solo dopo un vero dialogo con qualcuno che realizza che “niente conta, solo le persone”. Finalmente il film può concludersi con una speranza, e difatti non importa più se Levin, puntando la pistola alla testa di Eric, premerà il grilletto.

Veronica Curvietto
M. Butterfly
Ho scelto di fare l’analisi su questo film per il forte interesse che nutro da sempre sulla questione dell’identità, soprattutto sui risvolti psicoanalitici che, a mio parere, ne determinano il fascino.

"Ho chiesto: l’identità?
Ha detto: è una difesa del sé.
L’identità è generata alla nascita ma alla fine è la creazione di chi la possiede, non si eredita dal passato. Io sono molteplice dentro e fuori mi rinnovo."

Basato sull’omonima pièce teatrale di David Henry Hwang, e liberamente ispirato a un fatto vero, “M. Butterfly” ci porta in una dimensione di utopia e sogno.
Jeremy Irons, attore incline a impersonare personaggi tormentati e ambigui, ci regala un’intensa performance, supportato dalla conturbante recitazione di John Lone, coprotagonista del film.
La storia d’amore tra il diplomatico Gallimard e la cantante dell’Opera di Pechino Liling è contraddistinta dall’illusione, la chimera di un “qualcuno” che non esiste.
Song non esiste ma vive ugualmente grazie al sentimento di René: in una delle scene più emozionanti del film, “lei” gli confessa di essere esistita solo nei giorni trascorsi insieme.
Il personaggio di Irons idealizza l’oggetto della sua passione ed è cieco anche di fronte all’evidenza dei fatti. Non solo non vede ciò che ha davanti, ma non è in grado di vedere perché è troppo immerso nell’altro (come succede spesso quando ci si innamora).
Questo è connesso alla questione dell’identità, in un “gioco di sguardi” che si alimenta nella relazione a due (o tra più soggetti, come nel caso del pubblico con il Cinema).
Lo sguardo dell’altro si spinge talmente in profondità da portare allo scoperto quelle parti che non si vorrebbero mai mostrare.
In Cronenberg, l’identità si scinde in due, si confonde in un gioco di ruoli che, nel caso di questa analisi, porta all’osmosi tra il personaggio reale e quello della sua fantasia.
Il corpo e l’identità, nello specifico quella sessuale, sono due tematiche molto importanti per il regista canadese: attraverso il corpo, noi sentiamo, conosciamo e riconosciamo.
Il non riconoscere ciò che ci è vicino è un elemento ricorrente nelle sue opere.
Nel film “La mosca”, per esempio, c’è un’estremizzazione del problema dell’identità: la protagonista femminile non riconosce più il marito scienziato, tramutatosi in un’entità a sé.
Il tema del doppio è un altro aspetto rilevante, connesso a quello dell’identità: un espediente interessante, a tratti quasi sadico, usato per confondere noi spettatori.
In “M. Butterfly”, possiamo trovare il doppio anche nel rapporto tra l’Occidente e l’Oriente, nella volontà di tenere le distanze dai popoli sottomessi e il bisogno di conoscerli.
Questa dualità si avverte in maniera abbastanza costante, creando una tensione che ci fa chiedere fino alla fine se la verità verrà a galla.
La conoscenza avverrà e sarà devastante: una parte di lui continuerà a credere di aver amato una donna, l’altra sentirà di aver buttato via il suo amore.
“L’uomo che amavo non era degno, non meritava nemmeno un altro sguardo e, invece, gli ho dato il mio amore, tutto il mio amore”, confessa René al termine di una sua esibizione in carcere, davanti ai detenuti.

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