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Il gatto Jonesy e la perdita dell’innocenza
Di Elio Biginelli

Vidi per la prima volta Alien molto tempo fa, a metà degli anni 80 circa. Ne ho un ricordo vivido, come se fosse successo ieri. Ero piccolo, poco più di dieci anni. Fui invitato a casa di una coppia di amici più grandi che possedeva già un bel videoregistratore e una televisione a tubo catodico non molto grande. Archeologia, vengono i brividi a parlarne adesso. Dopo cena iniziò la visione. Nonostante la mancanza della sala cinematografica che un film del genere più di altri richiederebbe, ricordo che l’impatto su di me fu enorme. Ne rimasi semplicemente atterrito. Non avevo ancora gli elementi per comprenderlo tecnicamente o per fare un certo tipo di ragionamenti e mi incuriosì la presenza di Jonesy, un bel gatto soriano rosso. In particolare, fui affascinato dalla famosa scena in cui il povero Brett (Harry Dean Stanton) si addentra nei meandri della Nostromo alla ricerca del micio perduto. Le reazioni del gatto alla visione del mostro si scolpirono in me. In realtà lo stupore avvenne anche per un altro motivo: a quei tempi, attorno alla casa in cui vivevo, gironzolava un gatto identico a quello del film. Pur non sapendo bene di chi fosse (magari di nessuno), gli diedi un nome, Osvaldo, e decisi che sarebbe diventato il mio gatto. Purtroppo durò poco, dopo qualche mese improvvisamente scomparve. Non se ne seppe più nulla e anche se i miei genitori ebbero l’accortezza di non tirare fuori il famoso “è andato a vivere in campagna da qualche fantomatica zia o nonna”, rimasi sempre con il dubbio e non mi arresi al fatto che potesse semplicemente aver deciso di cambiare aria. Dopo la visione del film scoprii la verità: era lui! Aveva trovato il modo di imbarcarsi su qualche nave, solcato l’oceano, percorso tutti gli Stati Uniti e incontrato il successo a Hollywood! Lo raccontavo andandone fiero…
Molti anni dopo, con la passione della fantascienza in ogni sua forma cucita addosso, mai avrei immaginato di realizzare che proprio in quella scena si racchiuda il significato di tutto il film. In quel momento, abbiamo la presenza contemporanea di tre (forse solo due?) specie diverse: un animale, un uomo, uno xenomorfo. E di tutte, seguendo il geniale montaggio alternato che ci propone il regista Ridley Scott, ne possiamo apprezzare il comportamento. Jonesy ha reazioni istintive, tipiche degli animali. Inizialmente è aggressivo, soffia, poi la paura prende il sopravvento e quindi indietreggia, infine osserva l’uccisione con occhi sbarrati. Sono emozioni limpide, cristalline da cui ne derivano reazioni altrettanto chiare, semplici. Lo xenomorfo è aggressività pura, ogni azione possibile ha un unico scopo: ottenere il dominio, con la distruzione e lo sterminio di tutto ciò che si frappone.
Veniamo all’uomo. Fin da quando nasciamo ci ritroviamo esposti a ogni tipo di sollecitazione. Dal rapporto con i genitori, dagli studi, dagli amici, dal mondo, dal contesto in cui viviamo. In ogni istante percepiamo acquisiamo fagocitiamo sputiamo. Subiamo un costante bombardamento a cui mediamente non siamo preparati con il risultato che spesso accogliamo ciò che non vorremmo e rifiutiamo ciò che al contrario desidereremmo. Sono tutte sovrastrutture accatastate una sull’altra che formano un amalgama di quello che siamo o siamo diventati, dipende da come lo si voglia vedere. Chi ha provato ad affacciarsi al mondo della recitazione le conosce bene, soprattutto quando con esercizi difficili e a volte estenuanti si impegna per sradicarle a una a una e tornare a essere come un foglio bianco su cui andare a innestare il personaggio da rappresentare. Ecco, queste sovrastrutture creano degli esseri che nella maggior parte dei casi risultano molto lontani da quei concetti primordiali di accoglienza e reazione istintiva alle sollecitazioni ricevute e sono inevitabilmente più fragili. È come se fossimo avvolti da impalcature che ci allontanano dalla semplicità, creano delle barriere, ci precipitano in un universo dove in alcuni casi può diventare difficile affrontare situazioni realmente o potenzialmente pericolose. Non mi riferisco solo ai pericoli concreti, fisici, ma anche e soprattutto a quella pletora di paure che tipicamente ci avvolgono, i mostri insomma.
Torniamo allora alla reazione di Brett, un uomo che è la somma di una vita pregressa che non conosciamo nei dettagli, ma ci viene presentato come una persona semplice, un operaio del futuro, incattivito dalle condizioni di lavoro, preoccupato dal fatto che potrebbe non percepire gli straordinari. La sua reazione è molto diversa da quella di Jonesy: rimane letteralmente pietrificato dalla paura di fronte al mostro e, inerte, ne subisce le conseguenze mortali. Attenzione, Jonesy non sconfigge il mostro, non c’è nessuna possibilità che possa farlo, ma, dettaglio non da poco, sarà tra gli unici due che si salveranno. L’altro è il tenente Ripley (Sigourney Weaver). Perché proprio lei? Si sarebbe tentati dall’addurre differenze di classe (un tenente e un operaio) o di genere. Ho il sospetto che siano semplicistiche e fuorvianti. Ripley si salva perché è quella che assomiglia di più a Jonesy, le sue reazioni hanno un carattere più istintivo, naturale. È in grado di aggredire, ha certamente paura e sa quando indietreggiare. Non si tratta solo di istinto di sopravvivenza. È lei l’unica che ha saputo spogliarsi, al momento giusto, di tutta l’impalcatura ingombrante che porta all’inazione. È lei che si prende sulle spalle il proprio destino e per certi versi quello di tutta l’umanità. Certo, poi c’è l’amore, quasi di stampo materno, che porta a rischiare la propria vita per salvarne un’altra, in questo caso quella del gatto. Un messaggio che il film non manca di veicolare sebbene sia un concetto poco originale e che reputo non esaustivo. La vera eroicità di Ripley sta nell’essere in grado di reagire ai mostri con l’innocenza della fanciullezza, libera dalle costrizioni che incatenano la maggior parte degli adulti. Potrà anche non riuscire a sconfiggerli, ma avrà i giusti strumenti per contrastarli ed esattamente come il gatto, le maggiori chance di sopravvivenza. In questo senso Ripley diventa il paradigma dell’umanità intera e si fa portatrice di una luce di speranza che permetta di contrastare i recessi bui della vita, i fumosi e claustrofobici ambienti della Nostromo infestati dallo xenomorfo.
L’importanza della figura di Jonesy viene anche sottolineata da una recente operazione editoriale. Nel 2018, Titan Books ha pubblicato Jonesy: Nine Lives on the Nostromo, un libro illustrato che racconta fedelmente la storia del film dal punto di vista del gatto. L’autore, Rory Lucey, si è chiesto come abbia potuto sopravvivere il gatto e cosa abbia fatto nei momenti in cui non è visibile nella pellicola. Il libro, essendo rivolto principalmente ai bambini, sembra abbia un taglio giocoso, ben diverso dalle atmosfere del film.
Bentornato Osvaldo! Che carriera hai fatto, ora sei anche diventato protagonista! Leggerò con piacere il tuo libro e forse mi aiuterai a scoprire l’atteggiamento giusto per contrastare i miei personali mostri.

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