Spesso viene ricordato come la Mostra di Venezia sia stato il primo festival cinematografico realizzato al mondo, nel lontano 1932, da un’idea del presidente della Biennale di Venezia, il conte Volpi, con un grande appoggio delle autorità.
Oltre al conte Volpi, lo spunto venne dallo scultore Antonio Maraini, segretario generale, e da Luciano De Feo, segretario generale dell’«Istituto internazionale per il cinema educativo», emanazione della Società delle Nazioni con sede a Roma, concorde sull'idea di svolgere la rassegna nella città lagunare, e che fu il primo direttore-selezionatore.
Festival apripista per tutti gli altri che nasceranno in seguito (da Cannes a Berlino, passando per Locarno e via dicendo), la Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia (questo il suo nome completo) venne denominata per il suo “esordio” 1ª Esposizione internazionale d'arte cinematografica alla 18ª Biennale.
Una storia che si intreccia anche con il fascismo, che vedeva la kermesse come un modo per diffondere propaganda di regime e farsi belli all’estero con la presentazione di film importanti. Vicende che in tanti conoscono, mentre è più curioso sapere qual è stato il primo film proiettato in assoluto alla Mostra di Venezia, quindi “in soldoni” il primo lavoro mai proiettato a un festival cinematografico.
Potrà stupire che si tratti di un film horror: Il dottor Jekyll di Rouben Mamoulian, proiettato la sera del 6 agosto del 1932. Dopo la visione, seguì un grande ballo celebrativo nei saloni dell’Excelsior, albergo che ancora oggi si affolla di vip nei giorni della Mostra.
Tratto dal celebre romanzo di Robert Louis Stevenson del 1886, Il dottor Jekyll è un film straordinario, la cui grandezza non era certo sfuggita ai selezionatori dell’epoca.
Se la narrazione è quella che tutti conosciamo, ciò che colpisce è lo stile di una pellicola che si apre con una meravigliosa soggettiva dello stesso Jekyll, che ci fa capire come tutto il film sarà un tentativo di entrare proprio nella sua testa, di far combaciare lo sguardo del personaggio con quello dello spettatore e, così, di essere lui e, di conseguenza, il suo doppio Mr. Hyde.
Riprendendo la nostra recensione del film, il regista di origine armena Rouben Mamoulian siglò infatti un'opera di compattissima modernità, un saggio di cinema liberato da lacci e restrizioni: prima dell'avvento del codice Hays (un’autocensura molto restrittiva che nascerà di lì a poco), sotto la lente della macchina da presa passa l'orrore. Un orrore che si carica di allusioni erotiche – complice la conturbante, meravigliosa presenza di una Miriam Hopkins forse mai così sensuale – e di riflessioni psicologiche sull'identità e sul doppio. Mamoulian scandaglia il corpo e il talento dello schizofrenico e represso protagonista e, tra le mura di uno studio Paramount, ricostruisce un terrore autentico, primordiale eppure gloriosamente vittoriano. La regia, però, riesce ad andare anche oltre: inventiva e virtuosa, è un mix di tecnica e “visione” pura che anticipa stilemi e tendenze. Un approccio che non ha paura di raccontare un disfacimento psichico, morale e fisiologico con radicale sconvolgimento: che sia romantico o disgustoso a Mamoulian poco importa.
Tra i riconoscimenti della Mostra di quell’anno (attribuiti in via non ufficiale, senza la presenza di una giuria), si aggiudicò quello per il "Film dalla fantasia più originale" e quello per il miglior attore (Fredric March, premiato anche con l'Oscar).