Sono passati ormai vent’anni da quando In the Mood for Love (2000) rapì i cuori di critica e pubblico.
Pellicola ammaliante, in grado di sedurre con immagini fascinose ed eleganti e con le mesmerizzanti musiche di Shigeru Umebayashi che contribuiscono ad avvolgere lo spettatore in un racconto in cui i sentimenti sono appena sussurrati.
Il film diretto da Wong Kar-wai rappresenta uno dei mélo più delicati e raffinati del XXI secolo, opera che gioca di sottrazione e che rivela tutta la sua profondità proprio in ciò che non viene mostrato.
Il regista sceglie di raccontarci l’impossibile storia d’amore di due amanti, il signor Chow (Tony Leung Chiu-wai) e la signora Chan (Maggie Cheung), nella Hong Kong degli anni ’60; i due sono costretti a nascondere i propri sentimenti per non incorrere nello scandalo che una relazione clandestina (entrambi sono sposati e sospettano che i loro rispettivi coniugi siano amanti) avrebbe inevitabilmente comportato nella società dell’epoca.
L’intera pellicola è caratterizzata da frequenti ellissi temporali, scelta formale che dona al racconto i foschi e indefiniti tratti del ricordo: noi spettatori siamo ospiti indiscreti, testimoni indesiderati delle memorie di un amore appena sussurrato.
Il regista ci palesa fin da subito il nostro ruolo voyeuristico, creando delle vere e proprie cornici in molte delle inquadrature che compongono la pellicola: i nostri protagonisti sono spesso inseriti all’interno di contorni scenografici (finestre, porte, corridoi); al contempo noi osservatori spiamo le loro azioni dall’esterno.
Questo stratagemma formale è volto a trasmettere la necessità dei due amanti di tenere nascosto il loro rapporto, attribuendo allo stesso tempo a noi spettatori il ruolo attivo di voyeur. Il giudizio morale della società insegue i due protagonisti: impossibilitati dall’ammettere, anche con se stessi, il sentimento che sta pian piano sbocciando fra di loro, il signor Chow e la signora Chan iniziano a recitare un perverso gioco di ruoli, tentativo di evadere dalla realtà per rifugiarsi in un mondo fittizio. I due amanti finiscono per nascondere il proprio amore dietro a delle maschere (ognuno dei due cercherà di sedurre l’altro recitando la parte dei rispettivi coniugi), arrivando inevitabilmente a ingannare anche il nostro occhio indagatore, ormai incapace di distinguere il sottile confine fra realtà e finzione.
Questa continua recita e le indicazioni che i due si scambiano vicendevolmente per rendere più accurate le loro interpretazioni rappresentano un tentativo di mantenere un illusorio controllo sui propri sentimenti e sul loro tradimento: «Noi non saremo come loro» afferma la signora Chan.
I due amanti continuano a vivere nell’inganno, in quella cornice di fantasia che si sono ritagliati e dalla quale abbiamo spiato l’evolversi della loro storia fin dall’inizio della pellicola. Quelle finestre e quelle porte che avrebbero dovuto essere luogo di riparo da occhi indiscreti si sono invece rivelate la gabbia che rischiava di soffocare il loro amore.
La pioggia riesce infine a lavare via quelle cornici di finzione nelle quali sembravano irrimediabilmente intrappolati: «Credevo che non saremmo stati come loro. Mi sbagliavo» è con queste parole che Chow sceglie di rendere finalmente reale il loro sentimento.
Simone Manciulli