Poche attrici hanno segnato il cinema europeo tanto quanto Isabelle Huppert.
In apertura all’Incontro Ravvicinato col pubblico che l’attrice ha tenuto alla Festa del Cinema di Roma, il regista austriaco Michael Haneke, col quale ha dato vita a un grande sodalizio, l’ha definita in una clip interna a un montaggio di interviste “il mio stradivari, uno strumento incredibile: qualunque cosa tu le chieda, è in grado di farlo.”
Ecco quanto detto dall’attrice e gli highlights delle sue dichiarazioni (al termine della Festa, l’attrice ha ricevuto il premio alla carriera della Festa dalle mani di un emozionato Toni Servillo).
CINEMA E TEATRO
Siamo qui per parlare di cinema, ma sono abbastanza felice di tutte le cose che ho fatto sul palcoscenico, grazie a questo mezzo espresso ho incontrato figure importanti. Ho sempre pensato che fossi sempre la stessa attrice, in entrambi i medium. Credo sia bello potermi dire, quando recito: Fedra sono io. La frontiera tra cinema e teatro sta un po’ scomparendo dal punto di vista estetico. Il teatro è il regno dell’ignoto, il cinema dell’immediato, accade nel momento in cui accade.
IL POTERE DELLA CONCENTRAZIONE
Un’immagine virtuale cresce in noi quando si sceglie il ruolo da interpretare, ma direi che non c’è molto più di questo. Il potere della macchina da presa non lo puoi controllare e non lo dico certo per legittimare la mia pigrizia. Trovo anche che la concentrazione sia un elemento sacro per creare un legame tra se stessi e la macchina da presa.
Alcune scene potevano fare un po’ paura, ma le sequenze di questo film sfuggono alla psicologia in linea generale e ancor di più alla psicologia in senso classico. Non ci si può dire, su un set, “facciamo in un modo o in un altro”, la messa in scena è la risposta a tutte le domande che ci si pone, la regia e la distanza tra la macchina da presa e gli attori è ciò che fa la differenza. Il mio personaggio, in questo film, viene agito dagli altri più che agire e la messa in scena, che è l’arte del movimento, è qualcosa in cui Paul Verhoeven è un vero maestro. L’attore si muove e la macchina da presa con lui, è sempre così. Rossellini alla Bergman disse, sul set di Stromboli: “Muoviti affinché io posso riprendere ciò che c’è intorno a te”. Elle è uscito poco prima del #MeToo, fosse uscito durante avrebbe suscitato gli interrogativi che ha generato in maniera ancora più violenta.
La parola che Haneke detesta di più è sentimentale, è un territorio sul quale non si potrebbe avere la minima intenzione di avventurarsi con Michael. Di lui ho rifiutato Funny Games e Il tempo dei lupi, poi finalmente abbiamo potuto lavorare insieme con La pianista. Mi pento soprattutto di non aver fatto Funny Games, un film che ci mostra davvero ciò che stiamo guardando come e in quanto spettatori. Come se il regista anche eliminasse tutto ciò che c’è intorno alla storia per dirci qual è davvero il suo cuore pulsante.
La ferita del fallimento di questo film ha tramutato Michael Cimino in un personaggio totalmente staccato da tutto, com’era alla fine della sua vita. Michael è stato così iconoclasta, così alieno dai canoni classici di Hollywood, da non riuscire a superare questo fiasco, anche se dopo ha fatto dei film notevolissimi. Il film ha una regia straordinaria, con una macchina da presa che gira un po’ ovunque, creando una narrazione vorticosa. Ogni volta che lo vedo rimango sorpresa da quanto sia personale, sperimentale, politico, capace di andare contro il mito dell’America. Michael diceva che lo si doveva pensare come un sogno, ma la sua anima era radicalmente opposta al sogno americano. Era come avere davanti un film piccolo ed europeo, solo che era costato 50 milioni di dollari! Forse oggi gli americani potrebbero accettare qualcuno che fa una cosa del genere, all’epoca assolutamente no.
Sono rimasta 7 mesi in America per girare il film. Michael Cimino era anche una persona estremamente carismatica, eravamo tutti sulla stessa barca e avevamo la sensazione di essere a bordo di qualcosa di estremamente particolare. Aveva appena avuto 5 Oscar per Il cacciatore, aveva il potere di fare tutto in quel momento e sapevo che partecipavo a qualcosa di molto strano, facendolo. Mi scelse contro il volere dei produttori, solo lui mi voleva a bordo di quel film. Ci accorgemmo della situazione e di cosa il film poteva suscitare quando a New York, alla proiezione ufficiale, le persone si alzavano e se ne andavano. La sceneggiatura era super dettagliata, Cimino è stato anche uno scrittore, e credo sia rimasto abbastanza fedele al copione originale. Ne ha anche girato una versione lunga di 5 ore che però non ha mai mostrato, e che forse è ancora chiusa in suo cassetto.
PAOLO E VITTORIO TAVIANI
Con loro ho girato Le affinità elettive, da un romanzo di Goethe, nel 1996. Intelligenti, attenti, dolci, umani, straordinari, generosi. Purtroppo Vittorio ci ha lasciato, ma erano davvero due persone con una sola testa. Ho un ricordo splendido delle location in Toscana in cui girammo quel film. Per gli stranieri e anche per me l’Italia è bellezza, quei paesaggi, quella luce.