News
Jordan Peele e Mokeypaw Productions: il cinema di genere salverà Hollywood
Quando circa dieci anni fa, tra il 2014 e il 2015, l’horror viveva una nuova ondata di popolarità grazie a film come It Follows, The Babadook e The Witch, creando il (discutibile) concetto di “elevated horror”, uno di quelli che si riveleranno tra i maggiori autori di questo filone, Jordan Peele, era nel pieno di una lunga carriera vissuta quasi esclusivamente nel campo della commedia televisiva. Peele si fa le ossa sui set di programmi satirici come MADtv e, soprattutto, Key & Peele, di cui è anche co-creatore. Il salto verso l’horror per il suo debutto alla regia cinematografica, con Scappa - Get Out nel 2017, potrebbe sembrare spiazzante, dal momento che horror e commedia sono due generi così distanti. Eppure, per un regista sono generi più simili di quanto appaia a prima vista: lavorano entrambi sulla costruzione della tensione e della sorpresa, la differenza principale sta nel come questa tensione viene rilasciata, sottoforma di risata nella commedia e sottoforma di spavento nell’horror. I tre film realizzati da Jordan Peele, Scappa – Get Out, Noi e Nope, pur essendo prima di tutto degli horror (con importanti sfumature sci-fi nel caso di Nope), hanno sempre un sottotesto satirico che rappresenta il marchio di fabbrica del cinema proposto fin qui dal regista statunitense.



Grazie al grandissimo successo ottenuto dal film del 2017, tanto dal punto di vista del box office che da quello critico e industriale (quattro candidature agli Oscar, di cui una vittoria per la miglior sceneggiatura originale), Jordan Peele è diventato in poco tempo uno dei registi e produttori più influenti di Hollywood. Il potere acquisito lo indirizzerà soprattutto verso la sua casa di produzione, la Monekypaw Productions, nata nel 2012 per produrre Key & Peele e oggi una delle case di produzione hollywoodiane più riconoscibili e con le idee più chiare sul tipo di cinema proposto. Un cinema con una grande attenzione per le questioni che riguardano la società statunitense contemporanea, affrontando temi come il razzismo, il classismo e il concetto stesso di diritti, senza però mai vergognarsi di fare un cinema fieramente di genere.

Da questo punto di vista, la descrizione che troviamo sul sito di Monkeypaw Productions si può leggere come una vera e propria dichiarazione di intenti: “Fondata da Jordan Peele, Monkeypaw Productions coltiva progetti artistici e stimolanti per cinema, televisione e piattaforme digitali. La nostra società è impegnata in una narrazione innovativa, nella costruzione di mondi visionari e nella disamina di questioni sociali contemporanee. Monkeypaw Productions sostiene prospettive altamente specifiche e collaborazioni artistiche con voci uniche e tradizionalmente sottorappresentate. Il nostro lavoro sfida l'architettura convenzionale della narrazione di genere, dall'horror alla fantascienza alla satira sociale, bilanciando un linguaggio visivo all'avanguardia con un divertimento innegabilmente contagioso.”

Monkeypaw Productions in questi anni ha proposto un cinema dichiaratamente nero, con grande attenzione tanto per gli autori affermati - come Spike Lee per cui ha prodotto BlackKklansman ed Henry Selick con Wendell & Wild - che per nuove voci in cerca dell’affermazione definitiva, come nel caso del legacy sequel di Candyman diretto nel 2021 da Nia DaCosta. Parlando della filosofia che c’è dietro la casa di produzione, Peele dice che la sua intenzione è quella di cambiare quell’atteggiamento che c’è ad Hollywood secondo cui i film realizzati da filmmaker non bianchi e che raccontano storie di persone non bianche siano film di nicchia che interessano soltanto alla minoranza che si vede rappresentata sullo schermo. L’obiettivo è quindi quello di un cinema non bianco che diventi un oggetto d’interesse culturale universale libero da etichette ghettizzanti: “L’idea era che il pubblico non volesse vedere film con star non bianche - e se facevi un film nero, la convinzione era che lo facessi per ragioni specifiche solo per il pubblico nero. Io mi sono trovato nella posizione di fare un film [Get Out] che trascendeva tutto questo. Mi sono impegnato molto per fare un film che cambiasse le carte in tavola in qualche modo, dandomi qualcosa che non avevo mai visto, qualcosa che onorasse la mia prospettiva. Mi sono reso conto che c'è stato un effetto a catena.”

Negli ultimi anni il campo di lavoro della Monkeypaw Productions si è allargato, e alla produzione cinematografica e televisiva si sono affiancati progetti che vanno dall’editoria - con il libro “Out there screaming: an anthology of new black horror” - alla realizzazione del primo podcast della casa di produzione - con la serie audio “Quiet part loud”, anche in questo caso un horror – fino ad un programma per finanziare e aiutare giovani filmmaker, realizzato in collaborazione con la Universal e il Toronto International Film Festival.


Rientra in pieno in questa filosofia anche Monkey Man, il film d’esordio alla regia dell’attore Dev Patel che, ispirato alla leggenda induista di Hanuman, simbolo di forza e coraggio, racconta di Kid, un giovane che si guadagna da vivere in un fight club clandestino dove, notte dopo notte, indossando una maschera da gorilla, viene picchiato a sangue da lottatori più famosi in cambio di denaro. Dopo anni di rabbia repressa, Kid scopre un modo per infiltrarsi nell’enclave dell’élite cittadina. Mentre il suo trauma infantile ribolle, le sue mani misteriosamente sfregiate scatenano una esplosiva ondata di vendetta per regolare i conti con gli uomini che gli hanno tolto tutto. Patel, che è anche autore della sceneggiatura, dice che il film è frutto del suo amore per il cinema di genere e in particolare per Bruce Lee, i film d’azione e Bollywood. Il film non è stato direttamente prodotto dalla Monkeypaw Productions e inizialmente doveva essere distribuito da Netflix, ma dopo che Jordan Peele ha avuto modo di assistere ad una proiezione del lungometraggio ne ha acquistato i diritti, trasferendo poi il progetto alla Universal per consentire al film di avere una distribuzione tradizionale in sala. 

A cura di Simone Riccardi
Maximal Interjector
Browser non supportato.