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Kind of Blue: Barry Jenkins, variazioni sul corpo americano - Bietti

 

Nel 2017 l’Oscar del miglior film fu attribuito per qualche minuto a La La Land mentre era Moonlight ad avere vinto. Bella rivincita per la comunità afroamericana un anno dopo la polemica Oscar so White. Il film di Barry Jenkins non era tuttavia l’unico candidato a rappresentare la diversità. Barriere, Il diritto di contare, XIII emendamento, I Am Not Your Negro raccontavano ugualmente la storia di personaggi afroamericani. Ma Moonlight li narrava altrimenti. Kind of blue rintraccia per primo la sua singolarità: la razza e i suoi significati sociali sono importanti nel film ma non necessariamente preminenti. Per Jenkins la rappresentazione della vita nera non è mai sovradeterminata dal discorso razziale, contempla l’arrendersi e il sognare e obietta la costruzione del nero come resistenza, idioma così potente da servire la fantasia della cultura dominante e impedire di vedere (e avvertire) l’umanità nera. Ma essere umano è la prima identità. La quiete, il silenzio, il colore sono le metafore che organizzano il pensiero del regista e compongono la nota blue: quella qualità dell’esistenza tangibile dietro la narrazione sociale del razzismo e della violenza. Come nella musica, il suo cinema prevede una pausa dove gli “eroi”, 
tutti afroamericani, risuonano poeticamente, liberati dalle referenze convenute.

Marzia Gandolfi, critico cinematografico, collabora stabilmente con MyMovies, «Il Ragazzo Selvaggio» e «La Rivista del Cinematografo». Ha partecipato a volumi collettivi su Marco Bellocchio, Claude Lelouch, Patrice Leconte e al dizionario Il grande cinema italiano (2012), a Cinema senza fine. Un viaggio cinefilo attraverso 25 film (2014) e Romanzo popolare (2016). Ha collaborato al libro Ieri, oggi e domani. Il cinema di genere in Italia (2020) e al n. 172 della rivista «Engramma» Marco Bellocchio. L’arte della messa in scena. 


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