C’è una cosa che mi ha sempre colpito nelle mie ormai numerosissime chiacchierate con Pupi Avati (almeno una ad ogni film): il fatto che, dopo aver registrato l’intervista, andandola a trascrivere non si debba cambiare, correggere, modificare neanche una virgola. Pupi parla come un libro, ma un libro semplice, diretto, di quella semplicità lineare e importante e profonda che può essere solo dei grandi. E come un libro conserva una capacità affabulatoria straordinaria, incredibile.
E di levità abbiamo parlato anche e forse soprattutto questa volta in occasione dell’uscita del suo Lei mi parla ancora, un grande successo che ha raccolto pareri unanimi ed entusiastici una volta uscito su Sky, in tv.
Prima di tutto: LEI MI PARLA ANCORA è un film che meritava la sala.
Ah ma ci arriverà! Appena apriranno i cinema, abbiamo già le copie pronte.
Meno male. LEI MI PARLA ANCORA è un film avatiano in modo cristallino: il n.41 per il grande schermo della macchina da guerra dei fratelli Avati…
…ahahah, mi piace macchina da guerra Avati…
Neanche il lockdown ha fermato la scrittura di Pupi Avati. Ho letto una sua dichiarazione dove diceva di essersi sentito particolarmente stimolato in questo periodo..
Mah, si, c’erano le condizioni per le quali - adesso può apparire inopportuno quello che dico - ma c’erano le condizioni per le quali nel silenzio di casa mia, nell’impossibilità di fare altro e stare in casa, fra le mie cose, i miei libri, la mia musica… bè, era la condizione ideale per fare le cose che mi piace fare. Quindi, voglio dire: mi sembra anche ingiusto dirlo, però ho ritrovato uno stato di grazia.
Guardando il film, mi è subito balzato alla mente il suo UNA SCONFINATA GIOVINEZZA, con Bentivoglio e Neri, un altro capolavoro apertamente giocato sul ricordo: là c’era il protagonista che perdeva pezzi di memoria, qui invece Renato Pozzetto la conserva gelosamente e riccamente. Forse oggi è allora più importante che mai, conservare la memoria.
È una bellissima riflessione. Lo dice Pavese, nelle chiuse del film, quando parla della precarietà del tempo, al fatto che tutto si consuma: e l’immortalità l’uomo la conquista solo con il ricordo che porta e il ricordo che lascia. Io vengo da una cultura contadina, lo ripeto sempre: ed è una cultura piena del ricordo di persone, di nomi. C’era una sorta di rosario dei nomi, che non era fatto di avemaria e padrenostro ma di nomi, che si ripeteva nell’ultima notte dell’anno per le strade dell’Emilia. Ognuno ripeteva i nomi dei propri morti: i propri morti che erano pregherie, era come rievocarli, era una onomastica. Tu lo sai, che nei miei film i nomi dei personaggi non sono inventati ma riprendono persone realmente esistenti.
Oltretutto, nella rappresentazione della natura, in questo ma anche in tantissimi altri, a partire dal primo che mi viene in mente ora, MAGNIFICAT, si avverte un senso profondo di spiritualità, sia sacra ma anche “profana” in senso lato, cioè sembra che lei voglia trasmettere, infondere un senso del religioso, del trascendente, dell’immanente, da ogni elemento della vita.
È l’educazione che mi è stata impartita. Educazione che oggi potrebbe essere definita tardo medievale, ma era quella: la sacralità in tutto quello che ci circondava, delle cose, delle persone, di tutto quello che era vivente, ma anche degli attrezzi della terra, della produzione, veniva trasferito dai genitori ai figli, dai figli ai nipoti. Gli animali che ci aiutavano nel lavoro avevano qualcosa di sacrale: adesso, in quella che chiamiamo società dei consumi, non solo gli oggetti come i telefonini, ma anche le persone finiscono con la loro morte, mostrano la precarietà del momento. Tende sempre tutto al provvisorio, all’egoistico, hanno una forma di egoismo che sicuramente i genitori riverberano in un’educazione rassicurante nei riguardi dei figli. Io frequento tantissimo i giovani perché faccio corsi di recitazione, e divento per loro il parroco, o lo psicanalista, divento il confidente: e le confidenze che ricevo da loro sono quasi sempre nella loro totalità dolori di figli separati. Son tutte confidenze basate sul desiderio (ma lo dicono apertamente) di vedere i genitori tornare insieme. Per un figlio di genitori separati spesso non ci si rende conto della sofferenza: anche se a volte la separazione è giusta, è opportuna, dovuta a ragioni obiettive, ma è sempre motivo di dolore. Perchè poi io, che del matrimonio sono ormai un esponente eccellente, essendo sposato da 55 anni, devo dire che la parte ultima, conclusiva, quella degli ultimi anni, è la parte più bella. Il fatto di avere accanto a te una persona che ti conosce, che ti ha visto in tutte le stagioni, in tutte le condizioni, in tutte le temperature, è qualcosa di impagabile, rispetto a un vecchio solo che vive egoisticamente dentro una casa.
Abbiamo detto che questo è il suo 41esimo film..
Ma io non li ho contati…
Io sì! È il suo 41esimo film per il cinema, dopo averne fatto anche 10 per la tv: 51 film in tutto. E proprio negli ultimi usciti (abbiamo citato UNA SCONFINATA GIOVINEZZA, ovviamente in questo LEI MI PARLA ANCORA, e poi IL SIGNOR DIAVOLO, IL CUORE GRANDE DELLE RAGAZZE, IL FIGLIO PIU’ PICCOLO…) sembra aver raggiunto un’incredibile leggerezza e insieme un’incredibile profondità. Paragonabile solo forse a Woody Allen nel panorama mondiale.
Sai, apprezzo molto questa considerazione che hai fatto. Ma forse è dovuta al fatto che adesso della vita ho visto molto, certo non tutto, ma ho vissuto tante esperienze. Mi pregio di aver frequentato tutte le stagioni, le classi, tutte le lezioni, e di non averne mancata neanche una. Ho transitato davvero ogni tipo di situazione: se tu scorri la mia filmografia troverai un sacco di titoli che mi hanno dato più dolore che piacere. Io non li ripudio: tuttavia, la mia carriera è costellata di cadute, di opere andate male, di dolori che ho provato. Eppure siamo ancora qui e ci consideriamo fortunati, quasi miracolati, perché siamo andati avanti con successo senza avere amicizie particolari, senza scendere a compromessi (anzi…), e siamo arrivati oggi a fare un film che va controcorrente. Pensa che LEI MI PARLA ANCORA è un film su un ottuagenario, che parla con la moglie morta, interpretato da un attore che viene dalle commedie, e che non compariva in scena da più di sette anni… se non è una sfida questa…!
Eh si, paradossalmente oggi raccontare storie semplici vuol dire andare controcorrente, essere fuori dal coro, essere “col cuore altrove”, per parafrasare un altro suo film.
Ma d’altra parte questo mestiere va fatto così, facendo scelte controverse. Non possiamo reggerci tutti sulle spalle di Favino, per dire: che poi è bravissimo, una persona anche buonissima…
I suoi progetti futuri: il seguito del SIGNOR DIAVOLO è ancora vivo? Invece il film tanto sospirato su Dante?
Il seguito del SIGNOR DIAVOLO è molto complicato: non so se hai letto il libro, è molto articolato, molto corposo. Io per il momento non vedo una soluzione produttiva. Mentre il film su Dante mi auguro davvero, davvero, davvero che quest’anno a maggio parta la produzione.
Forse uno dei film più sospirati della sua carriera…
IL più sospirato, in assoluto. E oggi più che mai serve raccontare chi sia Dante, perché non lo conosce più nessuno, e non lo conoscono nemmeno i giovani.
E di levità abbiamo parlato anche e forse soprattutto questa volta in occasione dell’uscita del suo Lei mi parla ancora, un grande successo che ha raccolto pareri unanimi ed entusiastici una volta uscito su Sky, in tv.
Prima di tutto: LEI MI PARLA ANCORA è un film che meritava la sala.
Ah ma ci arriverà! Appena apriranno i cinema, abbiamo già le copie pronte.
Meno male. LEI MI PARLA ANCORA è un film avatiano in modo cristallino: il n.41 per il grande schermo della macchina da guerra dei fratelli Avati…
…ahahah, mi piace macchina da guerra Avati…
Neanche il lockdown ha fermato la scrittura di Pupi Avati. Ho letto una sua dichiarazione dove diceva di essersi sentito particolarmente stimolato in questo periodo..
Mah, si, c’erano le condizioni per le quali - adesso può apparire inopportuno quello che dico - ma c’erano le condizioni per le quali nel silenzio di casa mia, nell’impossibilità di fare altro e stare in casa, fra le mie cose, i miei libri, la mia musica… bè, era la condizione ideale per fare le cose che mi piace fare. Quindi, voglio dire: mi sembra anche ingiusto dirlo, però ho ritrovato uno stato di grazia.
Guardando il film, mi è subito balzato alla mente il suo UNA SCONFINATA GIOVINEZZA, con Bentivoglio e Neri, un altro capolavoro apertamente giocato sul ricordo: là c’era il protagonista che perdeva pezzi di memoria, qui invece Renato Pozzetto la conserva gelosamente e riccamente. Forse oggi è allora più importante che mai, conservare la memoria.
È una bellissima riflessione. Lo dice Pavese, nelle chiuse del film, quando parla della precarietà del tempo, al fatto che tutto si consuma: e l’immortalità l’uomo la conquista solo con il ricordo che porta e il ricordo che lascia. Io vengo da una cultura contadina, lo ripeto sempre: ed è una cultura piena del ricordo di persone, di nomi. C’era una sorta di rosario dei nomi, che non era fatto di avemaria e padrenostro ma di nomi, che si ripeteva nell’ultima notte dell’anno per le strade dell’Emilia. Ognuno ripeteva i nomi dei propri morti: i propri morti che erano pregherie, era come rievocarli, era una onomastica. Tu lo sai, che nei miei film i nomi dei personaggi non sono inventati ma riprendono persone realmente esistenti.
Oltretutto, nella rappresentazione della natura, in questo ma anche in tantissimi altri, a partire dal primo che mi viene in mente ora, MAGNIFICAT, si avverte un senso profondo di spiritualità, sia sacra ma anche “profana” in senso lato, cioè sembra che lei voglia trasmettere, infondere un senso del religioso, del trascendente, dell’immanente, da ogni elemento della vita.
È l’educazione che mi è stata impartita. Educazione che oggi potrebbe essere definita tardo medievale, ma era quella: la sacralità in tutto quello che ci circondava, delle cose, delle persone, di tutto quello che era vivente, ma anche degli attrezzi della terra, della produzione, veniva trasferito dai genitori ai figli, dai figli ai nipoti. Gli animali che ci aiutavano nel lavoro avevano qualcosa di sacrale: adesso, in quella che chiamiamo società dei consumi, non solo gli oggetti come i telefonini, ma anche le persone finiscono con la loro morte, mostrano la precarietà del momento. Tende sempre tutto al provvisorio, all’egoistico, hanno una forma di egoismo che sicuramente i genitori riverberano in un’educazione rassicurante nei riguardi dei figli. Io frequento tantissimo i giovani perché faccio corsi di recitazione, e divento per loro il parroco, o lo psicanalista, divento il confidente: e le confidenze che ricevo da loro sono quasi sempre nella loro totalità dolori di figli separati. Son tutte confidenze basate sul desiderio (ma lo dicono apertamente) di vedere i genitori tornare insieme. Per un figlio di genitori separati spesso non ci si rende conto della sofferenza: anche se a volte la separazione è giusta, è opportuna, dovuta a ragioni obiettive, ma è sempre motivo di dolore. Perchè poi io, che del matrimonio sono ormai un esponente eccellente, essendo sposato da 55 anni, devo dire che la parte ultima, conclusiva, quella degli ultimi anni, è la parte più bella. Il fatto di avere accanto a te una persona che ti conosce, che ti ha visto in tutte le stagioni, in tutte le condizioni, in tutte le temperature, è qualcosa di impagabile, rispetto a un vecchio solo che vive egoisticamente dentro una casa.
Abbiamo detto che questo è il suo 41esimo film..
Ma io non li ho contati…
Io sì! È il suo 41esimo film per il cinema, dopo averne fatto anche 10 per la tv: 51 film in tutto. E proprio negli ultimi usciti (abbiamo citato UNA SCONFINATA GIOVINEZZA, ovviamente in questo LEI MI PARLA ANCORA, e poi IL SIGNOR DIAVOLO, IL CUORE GRANDE DELLE RAGAZZE, IL FIGLIO PIU’ PICCOLO…) sembra aver raggiunto un’incredibile leggerezza e insieme un’incredibile profondità. Paragonabile solo forse a Woody Allen nel panorama mondiale.
Sai, apprezzo molto questa considerazione che hai fatto. Ma forse è dovuta al fatto che adesso della vita ho visto molto, certo non tutto, ma ho vissuto tante esperienze. Mi pregio di aver frequentato tutte le stagioni, le classi, tutte le lezioni, e di non averne mancata neanche una. Ho transitato davvero ogni tipo di situazione: se tu scorri la mia filmografia troverai un sacco di titoli che mi hanno dato più dolore che piacere. Io non li ripudio: tuttavia, la mia carriera è costellata di cadute, di opere andate male, di dolori che ho provato. Eppure siamo ancora qui e ci consideriamo fortunati, quasi miracolati, perché siamo andati avanti con successo senza avere amicizie particolari, senza scendere a compromessi (anzi…), e siamo arrivati oggi a fare un film che va controcorrente. Pensa che LEI MI PARLA ANCORA è un film su un ottuagenario, che parla con la moglie morta, interpretato da un attore che viene dalle commedie, e che non compariva in scena da più di sette anni… se non è una sfida questa…!
Eh si, paradossalmente oggi raccontare storie semplici vuol dire andare controcorrente, essere fuori dal coro, essere “col cuore altrove”, per parafrasare un altro suo film.
Ma d’altra parte questo mestiere va fatto così, facendo scelte controverse. Non possiamo reggerci tutti sulle spalle di Favino, per dire: che poi è bravissimo, una persona anche buonissima…
I suoi progetti futuri: il seguito del SIGNOR DIAVOLO è ancora vivo? Invece il film tanto sospirato su Dante?
Il seguito del SIGNOR DIAVOLO è molto complicato: non so se hai letto il libro, è molto articolato, molto corposo. Io per il momento non vedo una soluzione produttiva. Mentre il film su Dante mi auguro davvero, davvero, davvero che quest’anno a maggio parta la produzione.
Forse uno dei film più sospirati della sua carriera…
IL più sospirato, in assoluto. E oggi più che mai serve raccontare chi sia Dante, perché non lo conosce più nessuno, e non lo conoscono nemmeno i giovani.
GianLorenzo Franzì