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Lucca Film Festival e Europa Cinema 2016: La nostra intervista a Marco Bellocchio

In occasione del Lucca Film Festival, abbiamo avuto il piacere di incontrare e intervistare il grande regista italiano Marco Bellocchio. Ecco com’è andata:

Lei è qui a Lucca per presentare la mostra La pittura dietro l’obiettivo, per questo volevamo sapere se ha diretto nel corso della sua carriera dei film in cui si era ispirato ad alcuni riferimenti pittorici in particolare.

Tutti i film che ho fatto tengono conto del mio gusto che riguarda la pittura e l’arte figurativa in generale. In modo specifico mi viene in mente Vincere, l’impostazione delle immagini tiene conto della tradizione operistica, del verismo di fine ‘800, e delle nuove avanguardie come il futurismo (di cui Mussolini era molto sensibile e teneva conto). L’Enrico IV ha dei riferimenti a un certo liberty di gusto anche questo fine ottocentesco.

L’idea di festival cinematografico: ha un legame molto forte con Bobbio e con il Bobbio Film Festival, cosa si aspetta da una manifestazione come il Lucca Film Festival?

Bobbio ha come festival la caratteristica di presentare una serie di film invisibili e che quindi ritrovano una platea in un contesto formato in tanti anni. I registi sono meravigliati dalla reazione di questa piccola città e della possibilità di discuterne con i giovani (questi sono protagonisti anche di un corso ad hoc, “Fare cinema”). Inoltre, sono soddisfattissimo di aver partecipato al Lucca Film Festival, un festival che deve trovare continuità nella sua doppia identità, la mostra La pittura dietro l’obiettivo è stata allestita con garbo e stile.

Con quale dei registi ospitati qui a Lucca quest’anno (Friedkin, Romero e Sorrentino) lei si sente più affine, o quale le piace di più da spettatore?

Di Friedkin ho visto diversi film e mi sono molto piaciuti, mentre di Romero ho la sensazione che sia un po’ imprigionato nell’immaginario dei morti viventi. Una specie di maschera di ferro difficile da togliere. Sono stato incuriosito anche dallo spazio dedicato a Jacopetti.

Quanto è importante nel suo cinema iI rapporto tra immagine e politica? Quanto c’è di personale in film come Bella addormentata o Vincere?

È abbastanza chiara l’esigenza di affrontare degli episodi della storia italiana. Così come l’obbligo di trasformarla in qualcosa di personale, anche senza averla vissuta in prima persona. In base alla propria esperienza, alla propria cultura, la personalità entra in questi eventi, con risultati che possono essere giudicati in modo diverso. Bella addormentata non è stata una mia esperienza, però devo sempre trovare una mia chiave personale di lettura. Il tuo sguardo, le tue immagini, si riversano su quel canovaccio, su quello schema, sul quel soggetto.

Quindi in ogni sua opera c’è un aspetto privato, anche se racconta qualcosa di pubblico?

C’è sempre la tua vita nel film, così come la cultura personale. I pugni in tasca non è solo Bobbio e la mia esperienza familiare, sono anche i grandi libri e le opere che ho letto. La cultura è diventata vita in questo caso. La lettura è fondamentale per me. La grandezza dell’arte e del passato è fondamentale.

Come vede i giovani registi italiani, che hanno sicuramente un rapporto diverso con l’immaginazione.

Una volta noi avevamo l’idea di una nuova società, oggi c’è solo il tentativo di denuncia di fatti gravi, dell’orrore e della disumanità. Il discorso della ricerca sulle immagini è fortemente influenzato dal seriale televisivo. Il lavoro sulle immagini è sicuramente secondario rispetto al lavoro sui personaggi e sulle strutture. In passato anche questo scegliere la commedia come genere di lancio, significa una trascuratezza verso l’immagine.

Possiamo chiederle qualcosa del suo nuovo film Fai bei sogni?

Del nuovo film non ne parlo. Il film uscirà sicuramente in autunno e il suo destino festivaliero si saprà molto a breve. È tempo per me di ritirarmi da questa preoccupazione e di concentrarmi sulla fine del film.

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