Nato a Milano il 2 novembre 1906 e scomparso a Roma il 17 marzo 1976, Luchino Visconti di Modrone ha rappresentato un riferimento assoluto all’interno del panorama cinematografico italiano, imponendosi anche come un autore di rilevo internazionale sotto il segno di un severo rinnovamento dei codici della Settima arte pur conservando sempre un religioso rispetto per la classicità. Un cinema di altissimo profilo stilistico, quello viscontiano, che rispecchia l’altezzoso distacco dalla quotidianità ordinaria del suo autore, impregnato di teatro, letteratura, musica e pittura.
Quarant’anni esatti di carriera artistica e 18 pellicole realizzate, dall’esordio nel 1936 a Parigi come assistente alla regia e ai costumi per Jean Renoir, conosciuto attraverso la stilista Coco Chanel, fino all’ultimo film, L’innocente, uscito postumo nel 1976. Cinema ma anche tanto teatro di prosa, allestimenti di opere liriche e balletti.
«Elegante com’era, nel pensare, nel vivere, oltreché nel lavorare, penso che Luchino mettesse la cattiveria, più che la bontà, nel novero delle cose eleganti: era elegante, per lui, la negatività nel suo duplice aspetto di sadismo, e masochismo». (Claudia Cardinale)
Ripercorriamo la filmografia del grande autore milanese attraverso le sue 5 opere più significative, riportate il rigoroso ordine cronologico.
Ossessione (1943)
Coraggioso esordio dietro la macchina da presa di Luchino Visconti che, segnando una profonda rottura con il cinema di regime del passato e aprendo la strada al Neorealismo italiano, è riuscito ad elaborare con personalità i tòpoi abituali del genere nero: l’ineluttabile destino, l’amore tormentato e i personaggi fortemente connotati costituiscono lo scheletro che sostiene un potente sottotesto antifascista. In una bassa padana afosa e opprimente, Visconti esalta la torbida sensualità della vicenda alternando sapientemente interni claustrofobici ed esterni di taglio naturalistico. (Melo)dramma incandescente proto-noir, il film fece scandalo per la tensione erotica tra i protagonisti.
Senso (1954)
Il capolavoro che racchiude in sé tutta la poetica di un Luchino Visconti in grado di fare tesoro della sua esperienza nelle messinscene teatrali per comporre un affresco storico che condensa mélo, opera lirica e pittura, secondo un modello di rara perfezione formale. Attraverso una (ri)lettura rigorosa della Storia, il film è da considerare la testimonianza cinematografica più importante del Risorgimento italiano, in cui convivono spirito patriottico, fiammeggiante romanticismo, disgregazione morale e sentimento di disillusione, nonché il compendio ideale del melodramma, dove l’impianto operistico è evidente fin dalla straordinaria sequenza della rappresentazione de Il Trovatore di Giuseppe Verdi al Teatro La Fenice, ouverture del film. Straordinario per uso del colore, direzione degli attori e composizione dell’immagine, sia negli interni minuziosamente decorati, sia negli esterni (memorabile la battaglia di Custoza, modellata sui dipinti di Silvestro Lega e Giovanni Fattori). Impossibile chiedere di più.
Rocco e i suoi fratelli (1960)
Attraverso una narrazione potente e vigorosa, il regista milanese tratteggia un quadro disperato in cui i personaggi, vittime del proprio ineluttabile destino, si muovono in un clima di tragedia che restituisce con impeccabile perizia la condizione sociale di una famiglia e, per estensione, di un’Italia alla ricerca di se stessa alle porte del boom economico. Impeccabile nella progressione drammatica che accosta armoniosamente sequenze memorabili di straripante forza espressiva (una su tutte l’uccisione della prostituta Nadia all’Idroscalo) e momenti di intensa riflessione introspettiva, attraverso una vicenda che «arriva fino al delitto, centrando un aspetto del carattere meridionale di grande importanza: il sentimento, la legge, e il tabù dell’onore» (Luchino Visconti). Clamoroso.
Il gattopardo (1963)
Rilettura critica del Risorgimento italiano, i cui moti rivoluzionari sono sempre presenti sullo sfondo, Il gattopardo, tratto dall’omonimo romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa (1896-1957), pubblicato postumo nel 1958, è una lucida analisi fuori dal tempo dell’effimera appartenenza patriottica delle classi politiche italiane. Il vecchio mondo incarnato dal Principe di Salina (Burt Lancaster), ancora legato a nobili ideali di alta levatura morale, tramonta per essere sostituito dal nuovo mondo di Tancredi (Alain Delon), contraddistinto dal potere del denaro, attraverso un malinconico processo di dissoluzione tipicamente viscontiano che segna la fine di un’epoca. Maestoso ritratto della fine di uno specifico modello dei rapporti tra classi sociali, in cui l’inesorabile scorrere del tempo scandisce un glorioso passato che si proietta verso un futuro tragicamente incerto. Fotografia di Giuseppe Rotunno, musiche di Nino Rota, costumi di Piero Tosi e scenografie di Mario Garbuglia. Palma d'Oro a Cannes e clamoroso successo popolare. Indimenticabile.
Ludwig (1973)
Opera monumentale (235 minuti) concepita come il compendio ideale di una esistenza votata all’arte, Ludwig rappresenta uno dei risultati più armonici e complessi della carriera cinematografica di Luchino Visconti, il quale, attraverso un impianto operistico che scandisce la vicenda in lunghi segmenti di ascendenza teatrale, indaga la fragilità di un uomo vittima del proprio potere, condannato a un’esistenza segnata da solitudine e repressione dei sentimenti. Lo sfarzo della messinscena, le debordanti scenografie e il parossistico accumulo di orpelli d’arredo accentuano il dissidio interiore di un protagonista incapace di accettare la mediocrità, il compromesso e la presa di coscienza delle proprie responsabilità, intrappolato in una gabbia dorata di frustrazione e regressione infantile. Straordinario Helmut Berger, alter-ego di Visconti, capace di restituire la progressiva discesa agli inferi di Ludwig con sofferta partecipazione. Raramente nel cinema italiano si è raggiunta una così elevata cifra stilistica. Fotografia di Armando Nannuzzi, scene di Mario Chiari, costumi di Piero Tosi e brani di Robert Schumann, Jacques Offenbach e Richard Wagner nella colonna sonora. Ampiamente tagliato all'uscita, il film è da vedere esclusivamente nella versione integrale, ripristinata nel 1980.
Davide Dubinelli