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Martin Scorsese sul New York Times: "Ho detto che i film Marvel non sono cinema. Lasciatemi spiegare"

"Il cinema è una forma d'arte che ti regala l'inaspettato. Nei film dei supereroi, nulla è a rischio".


Questo è il sottotitolo dell'articolo pubblicato ieri dal prestigioso New York Times che ha prestato la sua piattaforma a Martin Scorsese per permettergli di scrivere la parola "fine" dopo i lunghi dibattiti dell'ultimo mese.


Il regista, il cui ultimo film The Irishman è in sala proprio in questi giorni, riporta la sua iniziale dichiarazione, rilasciata a Empire, e cerca di metterla in contesto: "Mi hanno fatto una domanda riguardante i film della Marvel. Ho risposto. Ho detto che ho provato a vederne qualcuno e che non fanno per me, che mi sembrano più simili a un parco divertimenti piuttosto che ai film per come li ho conosciuti e amati durante la mia vita e che, a conti fatti, non ritengo che siano cinema".


Poi continua, scrivendo: "Le persone sembrano aver colto quest'ultima frase come un insulto o una prova del mio odio verso la Marvel. Se è così, non c'è nulla che io possa dire per cambiare le loro opinioni. Molti franchise cinematografici sono fatti da persone di grande talento e maestria. Lo si può notare, guardandoli. Il fatto che queste opere di per sé non mi interessino è solo una questione di gusto personale. So che se fossi più giovane, se fossi cresciuto in un'epoca diversa, probabilmente questi film mi avrebbero eccitato e magari ne avrei voluto anche dirigere uno. Ma sono cresciuto in un periodo specifico e ho sviluppato un'idea del cinema - di ciò che erano i film e di ciò che potevano essere - che è distante dall'universo Marvel quanto la Terra è distante da Alfa Centauri".



Scorsese sottolinea poi che per lui, per i registi che ama, per i suoi amici e tutti quelli che hanno cominciato a fare film insieme a lui, il cinema era una scoperta - una rivelazione estetica, emotiva, spirituale. Era incentrato sui personaggi, sulla complessità delle persone e sulle loro contraddizioni, sul modo in cui si potevano far male o amarsi: "Fare cinema voleva dire cercare di confrontarsi con l'inaspettato sullo schermo e nella vita che i film drammatizzavano e reinterpretavano, ampliando il reame delle possibilità di questa forma d'arte. Ed era questa la chiave per noi: si trattava di una forma d'arte. In un momento in cui si dibatteva ancora del suo status, noi ci siamo messi in prima linea per difendere il cinema e considerarlo pari alla letteratura, alla musica o alla danza. E così facendo ci siamo resi conto che il lato artistico si manifesta in posti e in forme diverse - si trovava in Corea in fiamme (Steel Helmet) di Sam Fuller e in Persona di Ingmar Bergman, in È sempre bel tempo (It’s Always Fair Weather) di Stanley Donen e Gene Kelly e in Scorpio Rising di Kenneth Anger, in Questa è la mia vita (Vivre Sa Vie) di Jean-Luc Godard e in Contratto per uccidere (The Killers) di Don Siegel".



E, dopo questa panoramica, azzarda un interessante paragone, sostenendo che Hitchcock fosse il franchise della loro epoca.


"O nei film di Alfred Hitchcock: immagino si possa dire che Hitchcock fosse un franchise. Anzi, che fosse il nostro franchise. Ogni nuovo film di Hitchcock era un evento. Trovarsi in una sala d'epoca, stracolma, a guardare La finestra sul cortile (Rear Window) era un'esperienza straordinaria, un evento creato dalla chimica che esisteva fra il pubblico e il film stesso. Era elettrizzante. E, in un certo senso, alcuni film di Hitchcock assomigliavano a dei parchi giochi. Sto pensando, per esempio, a L'altro uomo (Strangers on a Train), il cui finale è ambientato su una giostra in un vero e proprio lunapark, o Psyco (Psycho), che ho avuto la fortuna di vedere a mezzanotte il giorno dell'uscita, una serata che non dimenticherò mai. La gente andava a vedere i suoi film per essere sorpresa ed emozionata e non era mai delusa".


Il regista continua poi a scrivere, sostenendo che la ragione per cui guardiamo ancora oggi i film di Hitchcok non siano i colpi di scena o le incredibili ambientazioni ma le emozioni che stanno al cuore di ognuna delle storie narrate. E, nonostante alcuni - compreso lo stesso Hitchcock - si domandassero se alcuni suoi film non si somigliassero troppo gli uni con gli altri, Scorsese ritiene che i film della Marvel siano tutti uguali ma per un motivo ben diverso: "Quello che manca è la rivelazione, il mistero o la concreta possibilità di provare emozioni. Niente è a rischio. Questi film sono fatti per soddisfare un specifico set di bisogni e sono pensati come variazioni su un numero limitato di tematiche".


"Vengono definiti sequel ma sono dei remake nello spirito [...] Questa è la natura dei franchise cinematografici moderni: ricerche di marketing, test con il pubblico, controlli, modifiche, ulteriori esami e cambiamenti, fino a quando non sono pronti per il consumo".


"Un altro modo per definirli è che questi film sono tutto ciò che le opere di Paul Thomas Anderson o Claire Denis o Spike Lee o Ari Aster o Kathryn Bigelow o Wes Anderson non sono. Quando guardo un film di questi registi so che sarà nuovo e che mi potrà cogliere alla sprovvista e farmi provare cose inaspettate. E che il mio modo di pensare a ciò che è possibile fare quando si raccontano storie con le immagini e il suono sarà ampliato".




Scorsese sottolinea, poi, che il suo problema di fondo con i film dei supereroi e gli altri franchise è che eliminano la concorrenza e la possibilità di sopravvivenza per i registi e i cinema indipendenti, già oberati dall'offerta dello streaming. E si infila nell'equazione, ovviamente, avendo appena concluso un film per Netflix: sostiene che chiunque faccia un film lo pensi ancora per il grande schermo e che la presenza delle saghe renda più difficile l'accesso alle sale per una buona fetta dell'industria.


"Negli ultimi vent'anni il business del cinema è mutato sotto ogni aspetto. Ma il cambiamento più spaventoso è avvenuto di soppiatto e nell'ombra: la lenta, ma perpetua, eliminazione di ogni rischio [...] E ovviamente, un singolo artista è uno dei fattori più rischiosi in assoluto".




E, secondo il regista, la situazione attuale è che si hanno due campi separati, quello dell'intrattenimento audiovisivo su scala mondiale e quello del cinema.


Scorsese conclude con una frase amara: "Per chiunque sogni di fare film o chi stia iniziando in questo momento, la situazione è brutale e inospitale nei confronti dell'arte. E il solo atto di scrivere queste parole mi riempie di una tristezza terribile".


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