Gli studenti del Master in Management dell'Immagine, del Cinema e dell'Audiovisivo dell'Università Cattolica di Milano, hanno svolto delle interessanti analisi per il corso di Storia e scenari dell'immagine e dell'audiovisivo: le pubblichiamo con piacere sul nostro portale! Complimenti!
TONY DRIVER: il sogno americano infranto
di Giovanni Bonzanino
INTRODUZIONE
Tony Driver (2019) è un docu-film del regista e sceneggiatore italiano Ascanio Petrini. La produzione è italiana e messicana, il film è stato presentato alla Settimana della Critica a Venezia nel 2019, e nel 2020 a Vision du Reel, Festival Internazionale del Cinema Documentario.
L’attore protagonista è Pasquale Donatone che interpreta se stesso: Petrini venne a conoscenza della curiosa storia personale di Pasquale e cominciò a effettuare delle riprese individualmente, per poi sviluppare il progetto che è approdato a Tony Driver.
La pellicola tratta un tema politico e sociale attualissimo, quello dell’immigrazione, in una modalità particolare sotto due punti di vista.
Prima di tutto, l’immigrazione coinvolge, sì, l’Italia, ma in modo diverso rispetto alle abitudini dello spettatore italiano. L’Italia non è qui la meta ultima del processo migratorio, bensì il punto di partenza. Questo rappresenta un’anacronia per certi versi. Lo spostamento dal nostro Paese verso l’estero è in genere appannaggio dei giovani (la “fuga di cervelli”), ma Pasquale non è giovane e neppure italiano, se non per nascita. Inoltre, nell’immaginario collettivo nazionale – e il cinema si è diffusamente occupato di dar vita a questo topos – l’immigrazione degli italiani verso gli USA è avvenuta storicamente a inizio Novecento, non nel nuovo millennio.
Infine, ed è forse la peculiarità principale del film, la parte della migrazione rappresentata non è il viaggio di per sé, ma tutto ciò che accade prima della partenza, prima del tentativo di scavalcare il Muro e affrontare la vita clandestina negli USA. Il film indaga, dunque, le ragioni per cui il viaggio deve essere affrontato dal protagonista. Al punto che la pellicola si chiude con l’attraversamento del Muro.
§1 Tony Driver: TRA DOCUMENTARIO E FINZIONE
Tony Driver può certamente essere considerato un ibrido tra documentario e film di finzione. La macchina da presa segue il personaggio di Tony, le cui vicende sono fortemente ispirate a quelle dell’attore che lo interpreta, Pasquale Donatone.
Al punto tale che la pellicola si propone di ricostruire fedelmente la sua storia. Vi sono, infatti, numerose scene che appartengono alla tradizione documentaria.
Purtuttavia, Tony Driver costruisce una realtà mediata e l’arbitrarietà degli sviluppi d’intreccio riconduce il film alla categoria dei “finzionali”.
Numerosi elementi all’interno del film fanno pensare a un documentario.
Prima di tutto i materiali di repertorio, utilizzati come supporto al racconto in più scene: mentre Pasquale ripercorre la sua vita negli States, ad esempio, sullo schermo scorrono fotografie e home video della sua gioventù.
Sono presenti, poi, vere e proprie interviste durante il film. Nell’ufficio del Sanchez Law Group, un avvocato interrompe lo sviluppo dell’intreccio per spiegare allo spettatore, sguardo in camera, le condizioni per cui si può essere espulsi dagli USA. Questa è una scena totalmente funzionale alla storia di Tony, perché il protagonista ha commesso un crimine – il trasporto di migranti illegali messicani in territorio statunitense – e ciò che lo aspetta sono dieci anni lontano dagli USA.
Più avanti, Pasquale si ricongiunge alla sorella: la scena del loro incontro è inframezzata da un’intervista diretta alla sorella. Sul tavolo della sua cucina sono sparse delle fotografie della loro gioventù e la sorella risponde alle domande guardando oltre la macchina da presa, probabilmente verso l’intervistatore, in una scena tipicamente documentaria.
Infine, in diverse occasioni è intervistato Tony stesso. Qui, in particolare, emerge la natura ibrida tra documentario e fiction del film. Quando lo sviluppo dell’intreccio mostra allo spettatore l’incarcerazione di Pasquale, il racconto è portato avanti proprio dal personaggio di Tony in prima persona. Alcune inquadrature hanno mostrato il moderno centro di detenzione di Eloy, Arizona, ma Tony ci introduce al racconto della sua vita affacciato alla finestrina di quella che sembra una prigione di un vecchio western. Intanto, è mostrato un mugshot, la vera foto segnaletica di quando Pasquale Donatone fu arrestato.
Come ulteriore caso esemplificativo si prenda in considerazione la scena in cui Tony contatta la sua famiglia tramite Facebook, in una biblioteca pubblica. L’impostazione è certamente finzionale, ma la sequenza si chiude con una curiosa rottura della linearità diegetica: lo spettatore ha visto Tony recitare in questa scena, salvo sul finale vederlo voltarsi verso la macchina da presa e condividere un racconto con chi ci sta dietro.
Se, dunque, numerosi elementi del film si ascrivono a quelli tradizionalmente del documentario, Tony Driver non può essere considerato una pellicola puramente documentaristica. Si può affermare, infatti, che il film si adopera per costruire una realtà mediata. A titolo esemplificativo, si possono citare diverse scene.
L’uso dei materiali di archivio è piuttosto particolare. Una parte del racconto autobiografico di Tony è rappresentato tramite una carrellata di home video del suo passato. Per fare ritorno alla linea temporale che rappresenta il “presente” nel film, la ripresa di un’autostrada è modificata per dare l’impressione di essere uno dei Super8 – o simili – appartenenti a Tony, per poi perdere questo effetto vintage e finire per coincidere con una delle numerose inquadrature dall’interno della macchina (una semisoggettiva che torna in più punti del film).
In seconda istanza, è utile notare come i luoghi in cui il film è ambientato non siano rappresentati secondo verismo, generalmente caratteristico del documentario, ma secondo una precisa retorica. Basti pensare a come è raffigurata l’Italia: Pasquale vive a Polignano a Mare in Puglia, ma lo spettatore vede unicamente la sua abitazione – una roulotte in un cantiere abbandonato – e il suo “luogo di lavoro” – una strada statale dove affigge cartelloni pubblicitari. Anche solo da questo esempio, si può capire come il cronotopo della storia, e in particolare la rappresentazione degli spazi, sia marcatamente impostato sulla soggettività del protagonista. Tony, infatti, si esprime più volte sul senso di non appartenenza che prova nei confronti dell’Italia, l’arretratezza, il passato, un ostacolo da superare per tornare a quella che considera casa sua.
Anche alla luce di queste considerazioni, Tony Driver può essere considerato un film emblematico della contemporaneità cinematografica. L’attrezzatura digitale ha un costo molto minore rispetto a quella dell’”era della pellicola”, e questo ha permesso negli ultimi vent’anni a molti giovani filmmaker, anche in Italia, di produrre i loro film. Il soggetto di questo film, infatti, è nato con le riprese del regista Petrini, affascinato dalla storia di Pasquale, che al tempo viveva in una grotta sul Mar Mediterraneo. Il progetto si è poi ampliato parecchio, in quella che è rimasta una produzione indipendente, ma internazionale.
Inoltre, di questi anni è la visione del documentario che può costruire una realtà, e non semplicemente registrarne una senza filtri. Non si tratta di una novità assoluta, ma bisogna ammettere che, in passato, il documentario in Italia ha raramente trovato la giusta visibilità al di fuori di alcuni circuiti (che fossero essi festivalieri oppure televisivi, ma certamente non in sala).
Non si può non citare il caso di Roberto Minervini, una delle penne più interessanti del panorama attuale. I suoi lungometraggi – specialmente Ferma il tuo cuore in affanno, Louisiana (The Other Side) e Che fare quando il mondo è in fiamme? – mescolano sapientemente documentario e fiction, o più in generale coinvolgono uno sguardo indagatore della realtà e una visione del regista sul mondo che irrompe sulla pellicola.
A questo proposito, un altro regista italiano riceve una particolare attenzione da parte della critica e dei festival, oltre che un discreto successo con il pubblico: Gianfranco Rosi. Nel 2013 il suo Sacro GRA è stato il primo documentario a ricevere il Leone d’oro a Venezia. Fuocoammare (2016) gli è valso l’Orso d’oro a Berlino e una candidatura agli Oscar, così come Notturno (2020) presentato a Venezia e candidato agli Oscar. Questi suoi tre film sono difficilmente etichettabili come puri documentari, dal momento che essi “costruiscono” una realtà, vi sono talvolta invenzioni narrative, e più in generale l’autore si rifiuta di fare un cinema di autentica verità.
Per concludere e riassumere il discorso sul carattere ibrido di Tony Driver, può essere utile analizzare più approfonditamente la sequenza iniziale del film.
Questa ha un doppio sviluppo, due piani che si alternano creando una sequenza lineare: l’ultima missione di Tony come driver.
Uno è il viaggio del furgoncino di Tony the Driver che sta andando a prendere dei migranti messicani che hanno appena attraversato il confine: è assunto il punto di vista di Tony (una semisoggettiva nell’auto), e lo spettatore non vede mai il protagonista. Nell’altro vediamo Pasquale, seduto su un blocco di cemento in un cantiere abbandonato, fingere di guidare il suo furgoncino e “recitare” ciò che ha vissuto nel passato per raccontarlo allo spettatore.
Usa un pettine per capelli come microfono: “Hello everybody! My name is Tony, and I’m a driver! Avete bisogno di un passaggio? Chiamate Tony, Tony the Driver!”, dice fingendo di guidare. Nella sua recita, Tony riprende anche episodi del passato: “F*ck you! Move out of here!” gesticolando spazientito, “You guys need drugs? I have drugs!”.
Mentre recita questa parte, Pasquale guarda in macchina, ma una volta “arrivato” sul luogo in cui deve caricare i messicani, interrompe la farsa e si concentra sulla guida. Nonostante si trovi nel cantiere abbandonato, egli si guarda in giro per cercare i messicani che sta aspettando, e noi vediamo - attraverso i suoi occhi, nello sviluppo parallelo - il gruppetto di migranti correre verso il furgoncino.
La sequenza termina con l’arresto da parte della polizia di frontiera. L’inizio del film, dunque, pone già all’attenzione dello spettatore i temi fondamentali della pellicola. Oltre a quello dell’immigrazione, c’è il tema della doppia identità di Tony, che scopriremo chiamarsi Pasquale, italiano di nascita ma americano, americano di cultura eppure illegale nel suo Paese. Infine, la doppia natura del film stesso: tra un documentario che racconta una storia, e una sceneggiatura che vuole ricostruire una vicenda che ha nel reale le sue radici.
Senza contare, ovviamente, la scelta di Pasquale di trovarsi un nuovo nome, Tony - come tipicamente accade a chi svolge attività illegale o criminale, ma anche a chi si trasferisce in un luogo lontano.
§2 IL PROTAGONISTA: L’IDENTITÀ CULTURALE
Per la piena comprensione del film è necessaria una disamina approfondita del suo protagonista. Tony the Driver, al secolo Pasquale Donatone, appare allo spettatore come un personaggio prima di tutto bizzarro. Non è, certamente, il classico eroe hollywoodiano: non lo ricorda lontanamente per il suo aspetto né le sue vicende ne sono assimilabili.
Lo stesso piano architettato da Tony non fa presagire una conclusione vincente: scavalcare il Muro dal deserto messicano e risalire fino a Chicago, Illinois, a piedi.
Ma più in generale, per tutta la sua durata il film contiene segnali che hanno un significato unidirezionale: la missione è destinata al fallimento. In quest’ottica, la vicenda di Tony può essere letta come lo scontro con l’inevitabile, l’ostinata perseveranza di quello che a tutti gli effetti è un anti-eroe.
Il titolo è il primo indizio del carattere non convenzionale del protagonista. La memoria non può che andare a Taxi Driver (1976), il cult di Martin Scorsese con Robert De Niro.
Travis Bickel è l’autista di tutt’altro tipo di taxi, ma si può individuare un punto di contatto tra i due personaggi: sono entrambi i solitari eroi della loro stessa epopea tragica. Tony è l’eroe per nessun’altro se non se stesso (e il pubblico), eroe di una vicenda che è in partenza destinata a fallire; nel suo finale, Travis diventa per la stampa un “eroe” per aver salvato Iris, ma rimane il protagonista più oscuro e controverso della storia di Hollywood.
Un ulteriore collegamento hollywoodiano è quello con la storia di un altro famoso immigrato: Tony Montana del mitico (poiché infatti, ormai, si è creata una vera mitologia extra-cinematografica intorno al personaggio interpretato da Al Pacino, per esempio nell’immaginario della cultura hip-hop) Scarface (1982) di Brian De Palma. Tony e l’amico Manolo, infatti, ottengono l’agognata green card e cominciano a lavorare in un chiosco, ma insofferenti a una vita di stenti, decidono di entrare nel racket della droga. Similmente, il nostro Tony-Pasquale fa di tutto pur di sbarcare il lunario quando è costretto a trasferirsi in Arizona. Ovviamente, lo stesso soprannome di Pasquale suggerisce un legame con Tony Montana.
Lo sviluppo dell’intreccio di Tony Driver ci spinge a leggere il ruolo di Pasquale come l’eroe della sua storia. Dalla disperazione di aver perso tutto, infatti, Tony sarà capace di risollevarsi e inseguire il suo (assurdo) sogno di raggiungere di nuovo la sua famiglia. Sono presenti, a questo proposito, numerosi elementi caratteristici dei film western ribaltati o riletti in chiave ironica.
A partire dall’abbigliamento che sceglie per la permanenza in Messico e per affrontare la sua missione finale, che richiama esplicitamente i costumi western: stivali, cappello da cowboy, blue jeans. La t-shirt raffigura, però, Willy il Coyote, il personaggio dei Looney Tunes che non sarà mai in grado di catturare la sua nemesi Beep Beep, nonostante gli sforzi.
In relazione al finale del film, l’impresa di Tony è costruita utilizzando alcuni elementi distintivi del genere western. Mentre il protagonista prepara la partenza, una canzone folk di sottofondo preannuncia le sue gesta. A cantarla è lo stesso Tony, la cui esibizione restituisce un velo ironico su tutta la sequenza.
La notte prima della partenza, da sempre momento topico nella cinematografica di genere, Tony guarda se stesso allo specchio, è più determinato che mai. Immagini extradiegetiche si succedono sullo schermo: ciò che lo attende e ciò attraverso cui è passato. La sequenza si conclude con la ricorrente inquadratura dall’interno di una macchina, con l’enorme volto di Tony sovrapposta al tramonto, con tanto di cappello da cowboy.
Il giorno poi della missione, la partenza di Tony è accompagnata da una colonna sonora. Non è un cantastorie, però, che la esegue, bensì un mendicante messicano che strimpella un motivo locale, ironicamente posizionato davanti a un cartello che recita “Cruze Seguro con Seguros USA, desde 8$ per dia” (Corriera sicura con Seguros USA).
Per ultimo, il film si chiude con la corsa di Tony verso il confine, e in sottofondo Basta Così, una canzone tratta dal film 10'000 dollari per un massacro, uno spaghetti-western del 1966 di Romolo Guerrieri, sequel non autorizzato di Django di Sergio Corbucci.
Se si volesse descrivere il protagonista, si potrebbe fare riferimento a due concetti: l’impotenza e l’ostinazione.
Per quanto riguarda l’impotenza del protagonista, la predestinazione al fallimento, si prendano in considerazione alcune scene emblematiche.
La prima è certamente quella in cui Pasquale, dalla sua roulotte in Puglia, prova senza successo a contattare i diversi servizi di informazione per il pubblico riguardo al ritorno in territorio USA.
Per quattro volte Pasquale si mette in contatto. Per quattro volte viene messo in attesa su una segreteria telefonica, è pregato di riprovare perché gli operatori sono occupati, viene invitato a consultare un sito web – e come potrebbe avere accesso a internet in quelle condizioni? Infine, un messaggio preregistrato lo invita a chiamare un numero (lunghissimo, impossibile da ricordare), specificando che si tratta di una chiamata interurbana costosa, per poi annunciare solennemente, quando Tony prova a schiacciare un tasto del telefono, che “L’operazione non è valida”.
Questa scena mostra come, al di là di una precisa legislazione, il ritorno negli Stati Uniti rimanga pressocché impossibile. Tony non ha alcuna speranza neanche di stabilire un contatto per recepire le informazioni necessarie. I servizi rivolti al pubblico sembrano essere strutturati per non permettere una comunicazione.
L’impresa è complicata anche da altri problemi di comunicazione, tra cui le barriere linguistiche. Se i dialoghi con personaggi italiani e messicani vanno a rilento ma sono comprensibili, una costante durante tutto il film è il disturbante passare di enormi TIR che interrompono la linearità dei dialoghi. Tanto in Messico quanto in Italia, questi camion tornano ogni volta che la scena si svolge in prossimità di una strada, per disturbare i parlanti.
Un’ultima sequenza emblematica della condizione esistenziale di Tony è l’incontro con una donna a La Taberna Bar, una sera in Messico. Accanto ai problemi di comunicazione tra inglese e spagnolo, l’impotenza del protagonista con la donna messicana, con la quale passa la notte, può risolversi solo con l’uso del viagra.
Più forte della sua impotenza, però, è l’ostinazione di Pasquale. Nonostante gli infiniti segnali esterni che provano a dissuaderlo dal tentare una missione impossibile, l’italo-americano si dimostra pronto a reagire a ogni colpo della vita.
È nel momento di massimo sconforto – il protagonista vive in una roulotte, non riesce a contattare l’ufficio per l’immigrazione, si sente abbandonato dalla sua famiglia americana – che Tony decide di reagire alle avversità. Guarda in macchina e avvisa Mr. Donald Trump in persona che “Non si possono insegnare nuovi trucchi a un vecchio lupo. Io sono un vecchio lupo. Ma posso imparare nuovi trucchetti!”. È l’inizio della sua rivalsa: con una canzone cantata da Tony stesso, la bandiera degli Stati Uniti in mano, decide di tornare in Messico e attraversare illegalmente il confine.
Da dove proviene l’ostinazione del protagonista? Le ragioni che lo spingono all’irrealizzabile viaggio funzionano proprio da motore d’intreccio.
Tony non si è solamente allontanato dalla sua famiglia e la sua vita negli USA, ma vi ha lasciato la sua stessa identità. Non è solo la voglia di riabbracciare i figli a spingerlo a tornare a Chicago: Pasquale si sente un cittadino americano a tutti gli effetti – nonostante non abbia mai ottenuto la cittadinanza – e non vi è altro posto al mondo in cui egli possa sentirsi veramente a casa. Chi gli consiglia di tentare fortuna in un qualsiasi altro Paese non capisce che il suo non è un capriccio: gli Stati Uniti sono la terra che per tutta la vita ha chiamato home.
Sull’autentica identità culturale americana del protagonista non vi sono dubbi. Tony ha vissuto per 40 anni negli USA, si è sposato, ha avuto figli e ha divorziato. Non ha mai richiesto la cittadinanza, ma come afferma “Non pensavo di averne bisogno”.
L’identità statunitense emerge durante tutto il film. Sulla squallida roulotte in cui vive si erge con ironica fierezza la bandiera a stelle e strisce; la sera prima della sua partenza per il Messico, l’ultimo pasto che consuma sono le caratteristiche fried chicken wings; perfino nel più italiano degli scenari, una palestra con un campetto da calcio, Tony immagina se stesso giocare a baseball, il più classico degli sport americani.
Lo spettatore riceve la conferma della sua autentica “americanità” anche nei tratti più oscuri nordamericani. Nella roulotte, per esempio, il termine di paragone che utilizza per valutare le sue condizioni esplicita una mentalità vagamente razzista (I live worse than a nig*er). Oppure, quando si lamenta della sua espulsione con un messicano incontrato in una tavola calda, si immagina di “Prendere un AK e sparare a tutti”, avvalorando così l’idea che egli sia figlio della cultura americana in tutti i suoi aspetti.
L’abbandono forzato della casa, l’urgenza del ritorno, il trauma della lontananza si avvertono in più scene. Durante il racconto autobiografico di Tony, sullo schermo scorrono vecchie foto e dei filmati dell’epoca di scene familiari. Quando la voice-over di Pasquale passa a raccontare dei problemi con la moglie e il trasferimento in Arizona, contestualmente i filmati perdono qualità: è come se i classici effetti della degradazione dei vecchi supporti magnetici sbiadissero i ricordi che Tony conserva della sua vecchia vita.
Quando Pasquale contatta su Facebook uno dei figli, lo spettatore capisce che la famiglia che si era lasciato alle spalle 40 anni prima gli fornisce un aiuto ma non può significare per lui “casa”; e la famiglia – e dunque la sua identità – che ha creato negli Stati Uniti rimane irraggiungibile. È incastrato tra presente e passato, tra due frontiere che non può attraversare. Egli è definitivamente solo: a poco servono i moderni mezzi di comunicazione.
Lo spettatore che ingenuamente si chieda perché, a fronte di tutti gli ostacoli, Pasquale non rinunci a tornare in un luogo in cui non gli è permesso mettere piede, non comprende il dramma della perdita di identità. La pellicola offre numerose occasioni per prendere coscienza di quanto profonda possa essere questa cicatrice per Tony.
Dietro alle sbarre della cartoonesca prigione, il protagonista elenca tutti i tipi di documenti che gli hanno tolto. Una volta espulso, egli ha perso letteralmente tutto, al punto da essere costretto a dormire per tre giorni in una caverna su una spiaggia. Sempre su questa spiaggia, Tony stesso confessa alla macchina da presa di sentirsi completamente disorientato: “È come arrivare su un altro pianeta: ho dovuto imparare tutto da capo, adattarmi a un nuovo pianeta”.
§3 IMMIGRAZIONE
Il tema centrale del film sono, dunque, le profonde motivazioni che spingono al folle viaggio. Un viaggio, quello dal Messico e da tutto il Centro e Sud America agli Stati Uniti, che percorrono ogni anno circa mezzo milioni di migranti. Al confine tra i due Paesi, si trova il vero nemico di Tony: un muro d’acciaio controllato da più di 20'000 border patrol agents.
Dietro questo Muro c’è la politica migratoria escludente firmata Donald Trump, l’ex presidente degli Stati Uniti, ma non solo. Per quanto le amministrazioni Clinton, Bush e perfino Obama non ne abbiano fatto motivo di vanto o di propaganda, i governi dagli anni Novanta ad oggi non hanno mai ostacolato quello che fu un punto particolarmente caldo dell’agenda politica di Trump.
Nel film, il Muro appare come una frontiera invalicabile, metafora della politica e della mentalità xenofoba degli USA. Emblematica, in questo senso, è la scena in cui, arrivato in Messico, Tony si aggira nei pressi del muro e un’inquadratura ci mostra una linea interminabile che si confonde con l’orizzonte, pattugliata da volanti della polizia.
Lo spirito della politica escludente sembra perseguitare Tony, dal momento che, con un’ironia grottesca, il destino vuole che anche Mr. Trump si trovi in Puglia. Il Presidente, però, è in un viaggio vacanziero e il suo ritorno in patria sarà diverso da quello di Tony.
In quest’ottica, la scena iniziale contiene già diverse chiavi per l’interpretazione dei toni del film. Quando il driver si sta recando per la sua ultima missione al confine, il suo furgoncino passa davanti al Brownie Café. Davanti alla vetrata, su cui una scritta recita “God Bless America”, un pittoresco poliziotto, con tanto di baffi spioventi e stella da sceriffo, segue con lo sguardo la vettura di Tony, in sottofondo un vecchio rock blues. Questo personaggio potrebbe forse anticipare allo spettatore, in modo ironico, il finale della missione.
Al termine della quale, infatti, sopraggiunge la polizia di confine. La macchina da presa ha assunto il punto di vista di Tony, che vede un poliziotto porre domande in sequenza, senza attendere le risposte.
La sequenza iniziale si conclude con il carcere dell’Arizona, costellato di videocamere di sicurezza.
Questi due elementi – la polizia e le videocamere – sono emblematici dell’atteggiamento di diffidenza verso l’esterno degli USA. È un processo in atto da almeno vent’anni, che è accelerato dopo gli attentati al World Trade Centre e al Pentagono l’11 settembre 2001.
Il tema della sorveglianza del suolo statunitense emerge anche nel corso del film. Ovunque Tony si rechi quando è in Messico, la voce del telegiornale o della radio in sottofondo avvisano costantemente lo spettatore di migranti che hanno attraversato il confine e sono stati uccisi dalla polizia, o del ritrovamento di cadaveri nei pressi del muro, o di raid della polizia di confine previsti per quei giorni.
E, allargando lo sguardo, la rappresentazione del Messico nel film è di un luogo assolutamente funzionale alla migrazione. Ogni incontro effettuato in Messico sembra comunicare allo spettatore la necessità di attraversare il Muro.
Le strade asfaltate sono attraversate da camion per trasporti a lunga distanza; quando Tony gira su un taxi, fuori dal finestrino è inquadrato l’enorme cartello INMIGRACIÒN e subito dopo un’auto della polizia con la sirena spiegata.
La Casa del Migrante dovrebbe essere un centro di informazione e aiuto per presentare domanda regolare per entrare in USA. Di fatto, le consulenze si risolvono in un tentativo di convincere i richiedenti a rinunciare. La burocrazia è troppa, la legge lascia poco spazio ai casi di effettiva migrazione regolare: queste persone vengono convinte a cercare altre soluzioni che non comprendano l’entrata negli USA. Qui viene detto a Tony di tentar fortuna in un qualsiasi altro Paese, ed egli non può che rispondere con un sorriso amaro “Non è assurdo?”.