Un'attrice da record, tra le più premiate e amate di sempre. Meryl Streep, all'anagrafe Mary Louise Streep, forse è la più grande di tutte insieme a Gena Rowlands, sicuramente la più completa e versatile che si sia mai vista sul grande schermo. Tanto da venire a volte "accusata", in maniera del tutto ridicola, di essere troppo perfetta. Ma l'invidia, si sa, è una brutta bestia.
Tre premi Oscar (come supporting actress per Kramer contro Kramer, mentre come protagonista per La scelta di Sophie e The Iron Lady) su 21 nomination (record assoluto), Streep è seconda nella storia dell'Academy Awards come numero di statuette vinte assieme a Ingrid Bergman e Frances McDormand, alle spalle di Katharine Hepburn, la quale detiene il primato di quattro Oscar. Premiata anche a Cannes e Berlino, ha raccolto, e continua a raccogliere, riconoscimenti in tutto il mondo, a dimostrazione di un talento senza eguali.
Ma quali sono i film più significativi interpretati da Meryl Streep, quelli diventati dei titoli iconici anche grazie allo straordinario apporto della performance dell'attrice?
10) Mamma Mia! (2008)
Adattamento cinematografico dell'omonimo musical della commediografa Catherine Johnson (anche sceneggiatrice), diretto da Phyllida Lloyd sulla scia del gran successo al botteghino ottenuto a livello mondiale. Un'opera che brilla di luce riflessa, sorretta dalla colonna sonora evergreen, basata sui più grandi successi degli ABBA, e dalla notevole performance di una radiosa Meryl Streep, che con ogni sua mossa riempie la scena, esibendosi instancabilmente in prove di canto e ballo. Elementare e un po' ruffiano, ma è difficile non farsi contagiare dalla sfrenata positività di un divertissement sognante e nostalgico, girato in meravigliose location da fiaba tra le isole greche di Skíatos e Skópelos.
9) The Iron Lady (2011)
Dopo il debutto al cinema con Mamma Mia! (2008), la regista teatrale Phyllida Lloyd si cimenta in tutt'altra avventura, con risultati accettabili seppur non memorabili: sceglie di non cadere nella banalità del biopic convenzionale ma, complice lo script di Abi Morgan, riattualizza con molti elementi di finzione una delle figure più controverse della storia contemporanea, la prima donna Premier della Gran Bretagna (eletta nel 1979). Il punto di vista è quello della Thatcher stessa, che si addentra in un'analisi psicologica del suo vissuto e dell'amore per l'uomo che fu sempre al suo fianco, sviscerando i sentimenti più profondi della “Lady di Ferro” e alternando due piani narrativi paralleli. Lo spettatore è portato a riflettere sulla memoria e sulla solitudine di una personalità di indubbia integrità morale che, affetta in vecchiaia da demenza senile, ha dedicato l'esistenza al suo istinto politico. Decisamente retorico in più di un passaggio, il film poggia quasi interamente sulla prova della sua protagonista: Meryl Streep va ben oltre la mera imitazione e, con una maniacale attenzione ai dettagli, si cimenta in una delle sue performance di trasformismo più riuscite.
8) Il diavolo veste Prada (2006)
Un piccolo classico della commedia americana degli anni 2000, sfavillante ma dalle tinte amare, che sotto la maschera del romanticismo non disdegna una forte critica al superficiale mondo della moda, fatto di copertine e di poca sostanza. Dopo una prima parte frizzante e ben congegnata, il film si perde in soluzioni fin troppo convenzionali, ma il glamour degli ambienti e la prova della Streep valgono il prezzo del biglietto: la sua Miranda Priestly, ispirata ad Anna Wintour, caporedattrice di Vogue, è una meraviglia.
7) Silkwood (1983)
Vigoroso e spietato nelle intenzioni, il film è ispirato alla vera storia di Karen Gay Silkwood, operaia e attivista sindacale deceduta nel 1974 in seguito a un incidente stradale dalle dinamiche mai pienamente chiarite. Valorizzata dall'intensa interpretazione di Meryl Streep in uno dei suoi ruoli più celebrati negli anni Ottanta (che le fruttò una meritata candidatura ai premi Oscar), la pellicola trova nella regia di Mike Nichols un notevole punto di forza e in Cher (l'amica lesbica Dolly) e Kurt Russell (il fidanzato Drew) due solidi comprimari. Nulla di eccezionale, ma una più che dignitosa parabola biografica e drammatica di una storia difficile.
6) La mia Africa (1985)
L'evergreen anni '80 firmato Sydney Pollack mescola con consumato mestiere avventura, dramma e romaticismo d'altri tempi, dando vita a un racconto esotico di ampio respiro che guarda ai kolossal hollywoodiani del passato (David Lean in primis). Oltre che alla biografia di Karen Blixen, Pollack sembra interessato a dialogare con un'idea di cinema lontana che gli permette di rileggere un nuovo genere (per lui) sotto una luce personale. Confezione di altissimo livello (fotografia di David Watkin, musiche di John Barry), paesaggi mozzafiato e una coppia di star da batticuore. Sette premi Oscar: film, regia, sceneggiatura non originale, fotografia, scenografia, sonoro e colonna sonora.
5) La morte ti fa bella (1992)
Esilarante black comedy che esalta i suoi interpreti anche fuori dai ruoli in cui siamo soliti vederli, La morte ti fa bella è un preziosissimo tassello all'interno della filmografia del geniale Robert Zemeckis, il quale prosegue qui il suo discorso sul confine tra realtà ed estetica cartoonesca concentrandosi sulle trasformazioni del corpo. La sarcastica riflessione sul culto della perfezione del fisico, sull'ossessione per la chirurgia plastica e sul desiderio di "eterna giovinezza" colpisce nel segno, secondo uno spassosissimo gusto quasi camp. Siamo nel momento di transizione tra gli anni '80 e i '90, e si vede. Willis da antologia, ma sono Goldie Hawn e Meryl Streep a rubare la scena, grazie a due interpretazioni davvero fantastiche.
4) Kramer contro Kramer (1979)
Specchio della società americana di fine anni Settanta, con il pieno diritto della donna di guadagnarsi un posto di riguardo nel mondo del lavoro, Kramer contro Kramer è anche uno dei più sinceri e riusciti drammi famigliari della storia del cinema a stelle e strisce. Nonostante i numerosi risvolti narrativi, l'intelligenza di Robert Benton evita al film di scadere gratuitamente nel mélo o in un ingenuo dramma legale. Aiutata anche dall'apporto di due attori in stato di grazia (Dustin Hoffman e Meryl Streep contribuirono alla stesura di alcuni dei loro dialoghi), la regia sa come dosare con naturalezza l'enfasi sulle loro interpretazioni e quando dedicarsi a momenti di ricercato realismo. Abile e diretto è anche il modo in cui la narrazione porta lo spettatore a schierarsi dapprima con un genitore, in seguito con un altro, lasciando la libertà di scelta finale, ma ribadendo le colpe di entrambi. Cinque premi Oscar: film, regia, attore protagonista (Hoffman), attrice non protagonista (Streep) e sceneggiatura (firmata dal regista).
3) The Post (2017)
La storia dei Pentagon Papers, la relazione top secret di 7.000 pagine stilata nel 1967 ricca di scottanti retroscena capaci di far collassare l'intero sistema politico americano, racchiude in sé tante storie, individuali e collettive. Steven Spielberg, attraverso una ricostruzione minuziosa ma mai pedante, percorsa da un sapiente e ricco contrasto di luci investigative e ombre di Stato, riesce magistralmente a far convivere la lezione del grande cinema americano di inchiesta degli anni '70 e la partecipe umanità che gronda emozione tipica del suo cinema. Esemplare come i due protagonisti (Katharine Graham, prima donna alla guida del The Washington Post, e Ben Bradlee, testardo direttore del giornale) diventino due modelli di caparbia ostinazione segnati da dubbi e fragilità che, gettando il cuore oltre l'ostacolo, arrivano a un traguardo epocale. Ottimo Tom Hanks, gustoso ed energico, ma è Meryl Streep, misurata e sfumata, a offrire una prova da standing ovation.
2) La donna del tenente francese (1981)
Sceneggiato dal Premio Nobel per la letteratura Harold Pinter, La donna del tenente francese è la studiata trasposizione, firmata dal regista cecoslovacco naturalizzato britannico Karel Reisz, della doppia temporalità insita nel romanzo omonimo (1969) di John Fowles. Il set cinematografico diviene l'espediente per riportare sullo schermo l'originale punto di vista contemporaneo dello scrittore rispetto alla narrazione ambientata in epoca vittoriana. Ma le tracce extradiegetiche della macchina del cinema si confondono e spariscono dopo la prima sequenza – scena madre del film nel film – e progressivamente i caratteri degli attori vengono influenzati dai personaggi che interpretano, in uno sdoppiamento riflessivo della stessa storia che avrà esiti diversi. L'intreccio dei piani narrativi ritrae così l'evoluzione (darwiniana, psicologica e sociale) dell'emancipazione femminile in un melodramma, tormentato come il mare a cui guarda la protagonista. Lancio definitivo della carriera di Jeremy Irons e ulteriore conferma del giovane talento della Streep, reduce da piccole apparizioni negli straordinari Il cacciatore (1978) e Manhattan (1979).
1) I ponti di Madison County (1995)
Dopo innumerevoli racconti western, bellici e action, quasi tutti incentrati su personaggi maschili, per Clint Eastwood arriva il momento di cimentarsi con il mélo sentimentale: una parentesi cinematografica estemporanea ma felice e memorabile come l'amore tra i due protagonisti. Tratto dall'omonimo best seller di Robert James Waller, il film avrebbe tutte le carte in regola per essere il consueto polpettone strappalacrime, invece la sceneggiatura di Richard La Gravenese e una regia asciugata da cliché e retoriche affettate rendono appetibile a ogni palato questa love story classica e al contempo così anticonvenzionale. Calato in un paesaggio suadente che è luogo dell'anima ma anche prigione mentale (per il bigottismo della provincia americana), il film gode soprattutto dell'alchimia fra un Eastwood a suo agio come sex symbol, nonostante l'avanzare degli anni, e una Meryl Streep perfetta nei panni di una donna alla scoperta della propria passionalità. Si gioca sull'emozionalità dello spettatore (vedi la celebre sequenza sotto la pioggia) ma con grazia, pathos e una carnalità mai volgare. Magnifico.
«Parlar male di Meryl Streep e del suo presunto eccesso di bravura mi sembra un segno di snobismo meschino. Fra trent'anni si parlerà dei film di Meryl Streep, dimenticando il nome dei suoi registi, come da mezzo secolo si parla dei film di Greta Garbo» (Morando Morandini)
Tre premi Oscar (come supporting actress per Kramer contro Kramer, mentre come protagonista per La scelta di Sophie e The Iron Lady) su 21 nomination (record assoluto), Streep è seconda nella storia dell'Academy Awards come numero di statuette vinte assieme a Ingrid Bergman e Frances McDormand, alle spalle di Katharine Hepburn, la quale detiene il primato di quattro Oscar. Premiata anche a Cannes e Berlino, ha raccolto, e continua a raccogliere, riconoscimenti in tutto il mondo, a dimostrazione di un talento senza eguali.
Ma quali sono i film più significativi interpretati da Meryl Streep, quelli diventati dei titoli iconici anche grazie allo straordinario apporto della performance dell'attrice?
10) Mamma Mia! (2008)
Adattamento cinematografico dell'omonimo musical della commediografa Catherine Johnson (anche sceneggiatrice), diretto da Phyllida Lloyd sulla scia del gran successo al botteghino ottenuto a livello mondiale. Un'opera che brilla di luce riflessa, sorretta dalla colonna sonora evergreen, basata sui più grandi successi degli ABBA, e dalla notevole performance di una radiosa Meryl Streep, che con ogni sua mossa riempie la scena, esibendosi instancabilmente in prove di canto e ballo. Elementare e un po' ruffiano, ma è difficile non farsi contagiare dalla sfrenata positività di un divertissement sognante e nostalgico, girato in meravigliose location da fiaba tra le isole greche di Skíatos e Skópelos.
9) The Iron Lady (2011)
Dopo il debutto al cinema con Mamma Mia! (2008), la regista teatrale Phyllida Lloyd si cimenta in tutt'altra avventura, con risultati accettabili seppur non memorabili: sceglie di non cadere nella banalità del biopic convenzionale ma, complice lo script di Abi Morgan, riattualizza con molti elementi di finzione una delle figure più controverse della storia contemporanea, la prima donna Premier della Gran Bretagna (eletta nel 1979). Il punto di vista è quello della Thatcher stessa, che si addentra in un'analisi psicologica del suo vissuto e dell'amore per l'uomo che fu sempre al suo fianco, sviscerando i sentimenti più profondi della “Lady di Ferro” e alternando due piani narrativi paralleli. Lo spettatore è portato a riflettere sulla memoria e sulla solitudine di una personalità di indubbia integrità morale che, affetta in vecchiaia da demenza senile, ha dedicato l'esistenza al suo istinto politico. Decisamente retorico in più di un passaggio, il film poggia quasi interamente sulla prova della sua protagonista: Meryl Streep va ben oltre la mera imitazione e, con una maniacale attenzione ai dettagli, si cimenta in una delle sue performance di trasformismo più riuscite.
8) Il diavolo veste Prada (2006)
Un piccolo classico della commedia americana degli anni 2000, sfavillante ma dalle tinte amare, che sotto la maschera del romanticismo non disdegna una forte critica al superficiale mondo della moda, fatto di copertine e di poca sostanza. Dopo una prima parte frizzante e ben congegnata, il film si perde in soluzioni fin troppo convenzionali, ma il glamour degli ambienti e la prova della Streep valgono il prezzo del biglietto: la sua Miranda Priestly, ispirata ad Anna Wintour, caporedattrice di Vogue, è una meraviglia.
7) Silkwood (1983)
Vigoroso e spietato nelle intenzioni, il film è ispirato alla vera storia di Karen Gay Silkwood, operaia e attivista sindacale deceduta nel 1974 in seguito a un incidente stradale dalle dinamiche mai pienamente chiarite. Valorizzata dall'intensa interpretazione di Meryl Streep in uno dei suoi ruoli più celebrati negli anni Ottanta (che le fruttò una meritata candidatura ai premi Oscar), la pellicola trova nella regia di Mike Nichols un notevole punto di forza e in Cher (l'amica lesbica Dolly) e Kurt Russell (il fidanzato Drew) due solidi comprimari. Nulla di eccezionale, ma una più che dignitosa parabola biografica e drammatica di una storia difficile.
6) La mia Africa (1985)
L'evergreen anni '80 firmato Sydney Pollack mescola con consumato mestiere avventura, dramma e romaticismo d'altri tempi, dando vita a un racconto esotico di ampio respiro che guarda ai kolossal hollywoodiani del passato (David Lean in primis). Oltre che alla biografia di Karen Blixen, Pollack sembra interessato a dialogare con un'idea di cinema lontana che gli permette di rileggere un nuovo genere (per lui) sotto una luce personale. Confezione di altissimo livello (fotografia di David Watkin, musiche di John Barry), paesaggi mozzafiato e una coppia di star da batticuore. Sette premi Oscar: film, regia, sceneggiatura non originale, fotografia, scenografia, sonoro e colonna sonora.
5) La morte ti fa bella (1992)
Esilarante black comedy che esalta i suoi interpreti anche fuori dai ruoli in cui siamo soliti vederli, La morte ti fa bella è un preziosissimo tassello all'interno della filmografia del geniale Robert Zemeckis, il quale prosegue qui il suo discorso sul confine tra realtà ed estetica cartoonesca concentrandosi sulle trasformazioni del corpo. La sarcastica riflessione sul culto della perfezione del fisico, sull'ossessione per la chirurgia plastica e sul desiderio di "eterna giovinezza" colpisce nel segno, secondo uno spassosissimo gusto quasi camp. Siamo nel momento di transizione tra gli anni '80 e i '90, e si vede. Willis da antologia, ma sono Goldie Hawn e Meryl Streep a rubare la scena, grazie a due interpretazioni davvero fantastiche.
4) Kramer contro Kramer (1979)
Specchio della società americana di fine anni Settanta, con il pieno diritto della donna di guadagnarsi un posto di riguardo nel mondo del lavoro, Kramer contro Kramer è anche uno dei più sinceri e riusciti drammi famigliari della storia del cinema a stelle e strisce. Nonostante i numerosi risvolti narrativi, l'intelligenza di Robert Benton evita al film di scadere gratuitamente nel mélo o in un ingenuo dramma legale. Aiutata anche dall'apporto di due attori in stato di grazia (Dustin Hoffman e Meryl Streep contribuirono alla stesura di alcuni dei loro dialoghi), la regia sa come dosare con naturalezza l'enfasi sulle loro interpretazioni e quando dedicarsi a momenti di ricercato realismo. Abile e diretto è anche il modo in cui la narrazione porta lo spettatore a schierarsi dapprima con un genitore, in seguito con un altro, lasciando la libertà di scelta finale, ma ribadendo le colpe di entrambi. Cinque premi Oscar: film, regia, attore protagonista (Hoffman), attrice non protagonista (Streep) e sceneggiatura (firmata dal regista).
3) The Post (2017)
La storia dei Pentagon Papers, la relazione top secret di 7.000 pagine stilata nel 1967 ricca di scottanti retroscena capaci di far collassare l'intero sistema politico americano, racchiude in sé tante storie, individuali e collettive. Steven Spielberg, attraverso una ricostruzione minuziosa ma mai pedante, percorsa da un sapiente e ricco contrasto di luci investigative e ombre di Stato, riesce magistralmente a far convivere la lezione del grande cinema americano di inchiesta degli anni '70 e la partecipe umanità che gronda emozione tipica del suo cinema. Esemplare come i due protagonisti (Katharine Graham, prima donna alla guida del The Washington Post, e Ben Bradlee, testardo direttore del giornale) diventino due modelli di caparbia ostinazione segnati da dubbi e fragilità che, gettando il cuore oltre l'ostacolo, arrivano a un traguardo epocale. Ottimo Tom Hanks, gustoso ed energico, ma è Meryl Streep, misurata e sfumata, a offrire una prova da standing ovation.
2) La donna del tenente francese (1981)
Sceneggiato dal Premio Nobel per la letteratura Harold Pinter, La donna del tenente francese è la studiata trasposizione, firmata dal regista cecoslovacco naturalizzato britannico Karel Reisz, della doppia temporalità insita nel romanzo omonimo (1969) di John Fowles. Il set cinematografico diviene l'espediente per riportare sullo schermo l'originale punto di vista contemporaneo dello scrittore rispetto alla narrazione ambientata in epoca vittoriana. Ma le tracce extradiegetiche della macchina del cinema si confondono e spariscono dopo la prima sequenza – scena madre del film nel film – e progressivamente i caratteri degli attori vengono influenzati dai personaggi che interpretano, in uno sdoppiamento riflessivo della stessa storia che avrà esiti diversi. L'intreccio dei piani narrativi ritrae così l'evoluzione (darwiniana, psicologica e sociale) dell'emancipazione femminile in un melodramma, tormentato come il mare a cui guarda la protagonista. Lancio definitivo della carriera di Jeremy Irons e ulteriore conferma del giovane talento della Streep, reduce da piccole apparizioni negli straordinari Il cacciatore (1978) e Manhattan (1979).
1) I ponti di Madison County (1995)
Dopo innumerevoli racconti western, bellici e action, quasi tutti incentrati su personaggi maschili, per Clint Eastwood arriva il momento di cimentarsi con il mélo sentimentale: una parentesi cinematografica estemporanea ma felice e memorabile come l'amore tra i due protagonisti. Tratto dall'omonimo best seller di Robert James Waller, il film avrebbe tutte le carte in regola per essere il consueto polpettone strappalacrime, invece la sceneggiatura di Richard La Gravenese e una regia asciugata da cliché e retoriche affettate rendono appetibile a ogni palato questa love story classica e al contempo così anticonvenzionale. Calato in un paesaggio suadente che è luogo dell'anima ma anche prigione mentale (per il bigottismo della provincia americana), il film gode soprattutto dell'alchimia fra un Eastwood a suo agio come sex symbol, nonostante l'avanzare degli anni, e una Meryl Streep perfetta nei panni di una donna alla scoperta della propria passionalità. Si gioca sull'emozionalità dello spettatore (vedi la celebre sequenza sotto la pioggia) ma con grazia, pathos e una carnalità mai volgare. Magnifico.