Columbus (2017) è un film di produzione americana, primo lungometraggio scritto e diretto dal regista sud coreano Kogonada.
Due sconosciuti si incontrano in una città dell’Indiana, peculiare per la sua architettura modernista. Con un’intimità curiosa, Jin e Casey esplorano le meraviglie del posto, mentre si immergono nelle loro emozioni più inconsce, arrivando a fare i conti con il loro travagliato passato.
Vera protagonista del film è la cittadina industriale di Columbus che, con le sue strutture suggestive, è diventata celebre grazie a Irwin Miller, un ricco proprietario di una fabbrica di motori. Miller era convinto che l’arte e la bellezza aiutassero le persone ad affrontare la quotidianità della vita. Essendo molti dei suoi operai cittadini di Columbus, Miller fece una grande pressione sul consiglio comunale della città, affinché tutte le opere pubbliche fossero progettate da grandi architetti. Qui risiede una delle tematiche principali di Columbus: la bellezza delle cose come supporto morale e fisico. Nel film, Casey spiega a Jin di essere passata davanti a un edificio e di come poi un giorno lo vide per davvero: dietro a quel palazzo, la ragazza scopre la passione per l’architettura, una medicina per il suo animo.
La regia anticonvenzionale di Kogonada è fortemente influenzata dallo stile del cineasta giapponese Yasujiro Ozu (Kogonada è infatti uno pseudonimo, preso dal nome del co-sceneggiatore di Ozu, Kogo Nada). In Columbus, spesso sentiamo i dialoghi, ma non vediamo i personaggi, che rimangono nascosti fuori dall’inquadratura o mostrati con giochi di specchi e riflessi.
Kogonada è un video saggista, che ragiona sul cinema attraverso l’arte. Con una fotografia luminosa, dialoghi intensi e lunghi piani sequenza, il regista mostra il potere che un incontro casuale può avere sul destino. Nel film, i personaggi si fondono con il paesaggio circostante, e il modernismo delle strutture diventa la traduzione artistica delle loro emozioni.
La chiave dell’opera risiede in una domanda che Jin pone a Casey: «Come ti fanno sentire queste strutture?». Nello stesso modo, il regista si rivolge a se stesso e ai suoi spettatori: può l’arte, in questo caso il cinema, offrire una via per una conoscenza più profonda di noi stessi?