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Monica Vitti: l’anticonformista malinconica e straripante che cambiò per sempre il cinema italiano

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«Guardare, capire, cambiare idea. Credo di avere molti occhi, molti capelli, molti dubbi, molte paure, molti desideri»



Ci lascia un'interprete tra le più amate del cinema italiano (e non), icona intramontabile e venerata dai cinefili di ieri e di oggi: in quarant’anni di carriera Monica Vitti ha saputo incarnare le molteplici – e contraddittorie – sfaccettature della donna contemporanea.

Al secolo Maria Luisa Ceciarelli, già nel proprio nome d’arte cela una duplice identità femminile, strettamente legata alla sua esperienza personale. Vitti è infatti il diminutivo di Vittiglia, cognome della madre persa in giovane età e alla quale era profondamente legata, nonostante il rapporto conflittuale e i sinistri pregiudizi nei confronti della sua vocazione attoriale: «La polvere del palcoscenico corrode l'anima e il corpo».



Musa e compagna dell’“autore della crisi” Michelangelo Antonioni, l’attrice conquista un ruolo destinato all’immortalità all’interno del panorama cinematografico internazionale grazie alla cosiddetta tetralogia dell’incomunicabilità, diretta dallo stesso regista ferrarese: L’avventura (1960), La notte (1961), L’eclisse (1962), Il deserto rosso (1964).

Siamo negli anni Sessanta, nell’Italia disillusa post boom economico: Monica Vitti si prende la scena personificando – più o meno consapevolmente – il sentimento condiviso da un paese alla ricerca di un riassestamento identitario. In tal senso il personaggio di Claudia ne L’avventura risulta particolarmente emblematico: reticente e al contempo impulsiva, contraddistinta da un’emotività divisa tra disincanto amoroso e desiderio passionale, Claudia si abbandona coscientemente a una storia d’amore fallibile e – lei sola tra le tante figure evanescenti che abitano il film – prende amara consapevolezza della fugacità dei sentimenti e della precarietà delle relazioni umane. Eppure vi scende a patti.
 

«Pochi giorni fa all'idea che Anna fosse morta, mi sentivo morire anch'io. Adesso non piango nemmeno. Ho paura che sia viva. Tutto sta diventando maledettamente facile, persino privarsi di un dolore»



Ma Monica Vitti non è solo questo; non è soltanto personificazione dell’incomunicabilità e di un’identità conflittuale, dispersa e rarefatta. Accanto a tale profilo – romantico nell’accezione più malinconica del termine – se ne delinea un altro diametralmente opposto: quello di un’attrice comica dotata di una comunicatività autentica e straripante.


«Ma come...tu uomo, io donna, nessuno in casa...e tu look tv?»


 

Rilanciata sotto vesti più leggere da Mario Monicelli ne La ragazza con la pistola (1968), Monica Vitti dimostra un pregio raro nella stragrande maggioranza delle dive a lei contemporanee: sa far ridere. E sa far ridere nel senso più genuino dell’espressione: serafica e caciarona, non indossa alcuna maschera farsesca, non cede ad alcuna forzatura macchiettistica; la sua è una verve comica connaturata alla sua persona, una colloquialità che la rende spontanea anche nelle interpretazioni più caricaturali e grottesche.


«Sì, amo riamata Serafini Nello e lo appartengo! Sì, l'ho tradito ma nun me pento, nun me vergogno, nun me difendo!»



Il Dramma della gelosia (1970) orchestrato da Ettore Scola ai danni di Adelaide (Monica Vitti), Nello (Giancarlo Giannini) e Oreste (Marcello Mastroianni) porta in scena una delle migliori Vitti mai viste sul grande schermo: una donna sprovveduta, a tratti tanto schietta e sempliciotta da farsi rozza, che stempera la volubilità sentimentale ed erotica con un estro spregiudicato e irresistibile.


«Ma di che natura è il mio male? Ho avuto un trauma? Sono sotto shock? È un disturbo neurovegetativo? O è perché sono mignotta?»


Quell’inconfondibile voce roca, quel naso un po’ all’ingiù che i produttori le volevano cambiare («ma alla fine abbiamo vinto noi»), quella massa indomabile di capelli biondi, quei due profondi occhi verdi, felini e sensuali (ma anche presbiti, miopi, astigmatici, ipermetropi e ipersensibili): Monica Vitti rivendicherà – non senza una buona dose di ironia – di aver sfondato le porte del cinema a tutte le attrici “bruttine”.

Emblema di un fascino tanto naïf quanto tormentato e spigoloso, la sua “imperfezione” ha scardinato qualsiasi canone estetico all’epoca vigente, facendo dell’attrice il volto-manifesto di una bellezza anticonformista.
Monica Vitti è morta, il 2 febbraio 2022, a seguito di una lunga e sfiancante malattia degenerativa. Ma Monica Vitti vive, quale icona a-temporale ed eternamente emulata.
Per sempre.


 

Viola Franchini

 

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