È del mese scorso il video che il canale YouTube di Konbini ha caricato sulla propria pagina e che vede come protagonista della puntata Nanni Moretti. In occasione dell'uscita francese di Tre piani, il regista di Brunico si è lasciato andare nel corso di una suggestiva e placida intervista al "Vidéo Club", spaziando fra molti punti di discussione.
Ed ecco allora che inizia il viaggio morettiano all'interno della ben fornita videoteca, dai cui scaffali il regista tira fuori dvd contenenti i film che più lo hanno colpito ed entusiasmato. Quelli che hanno personalità, insomma. Il percorso all'interno della sua storia del cinema parte da un anno memorabile per la sua recente carriera: quello in cui ha ricoperto il ruolo di presidente della giuria al Festival di Cannes, nel 2012. Durante quella edizione, ricorda, ci sono stati solo "due film durante i quali io non ho guardato l'orologio: Il sospetto di Thomas Vinterberg, il cui attore "è stato premiato quasi all'unanimità, otto voti su nove", e La parte degli angeli di Ken Loach.
Spulciando "casualmente" nella videoteca, Moretti trova un altro film a cui è molto legato: Schiava d'amore (1976) di Nikita Mikhalkov. La ragione del suo amore verso la pellicola russa è da ricondurre al fatto che a lui "piacciono i film sul cinema". Tra gli altri, infatti, cita Indiziato di reato (1991) di Irvin Winkler, Effetto notte (1973) di François Truffaut, che sa "quasi a memoria", e ovviamente 8½, il film sul cinema per eccellenza.
Dopo una disamina sugli autori e sul cinema degli anni '60 (si sprecano i nomi italiani, tra cui i fratelli Taviani, Pasolini, Bertolucci, Carmelo Bene e così via), reo di un'acuta indagine sulla società e sui rapporti interpersonali, Moretti si schiera contro i film più attuali, considerandoli "recipienti vuoti, che possono essere riempiti da qualsiasi storia, da qualsiasi stile, da qualsiasi sceneggiatura. Oggi non capisco più, vedendo un film, perché quella persona lì avesse voluto a tutti i costi fare un film". Il problema di oggi, forse, è da ricercarsi fra le grandi piattaforme online e nella loro filosofia di produzione e distribuzione.
Come al suo solito, Moretti non le manda a dire e, senza preamboli, inizia il suo personale attacco con una nota cinica, rivolta direttamente ai grandi competitors che ormai da anni si dividono il controllo dell'industria cinematografica: le piattaforme streaming che, secondo lui, "sono un problema, perché riempiono di soldi i produttori, per fare non prodotti personali, ma dei prodotti standard che verranno visti in 190 Paesi". L'autore, invece, vorrebbe che i film avessero "un loro stile, una loro personalità".
E ancora, i pranzi con Fellini dopo aver visto e rivisto Amarcord e La dolce vita, l'anteprima de La legge del mercato nel suo cinema con Vincent Lindon che cena e se ne va (non voleva farsi vedere dal pubblico dopo il finale del film), lo sbigottimento della "sua" giuria di Cannes nei confronti di Holy Motors. E poi Tati, Cassavetes ("anche grandissimo attore nei film degli altri", oltre che regista), il rapporto col figlio, che "ha gusti più intellettuali dei miei" e tantissimi altri film. Tra questi, i suoi: "Sono autobiografici, Caro diario è molto autobiografico. Caro diario nasce così: io che voglio girare un cortometraggio dei miei giri in vespa per Roma".
Alla fine, veloce come è entrato nella videoteca, emette un rapido "merci", si gira e se ne va.
A cura di Nicolò Palmieri
Ed ecco allora che inizia il viaggio morettiano all'interno della ben fornita videoteca, dai cui scaffali il regista tira fuori dvd contenenti i film che più lo hanno colpito ed entusiasmato. Quelli che hanno personalità, insomma. Il percorso all'interno della sua storia del cinema parte da un anno memorabile per la sua recente carriera: quello in cui ha ricoperto il ruolo di presidente della giuria al Festival di Cannes, nel 2012. Durante quella edizione, ricorda, ci sono stati solo "due film durante i quali io non ho guardato l'orologio: Il sospetto di Thomas Vinterberg, il cui attore "è stato premiato quasi all'unanimità, otto voti su nove", e La parte degli angeli di Ken Loach.
Spulciando "casualmente" nella videoteca, Moretti trova un altro film a cui è molto legato: Schiava d'amore (1976) di Nikita Mikhalkov. La ragione del suo amore verso la pellicola russa è da ricondurre al fatto che a lui "piacciono i film sul cinema". Tra gli altri, infatti, cita Indiziato di reato (1991) di Irvin Winkler, Effetto notte (1973) di François Truffaut, che sa "quasi a memoria", e ovviamente 8½, il film sul cinema per eccellenza.
Dopo una disamina sugli autori e sul cinema degli anni '60 (si sprecano i nomi italiani, tra cui i fratelli Taviani, Pasolini, Bertolucci, Carmelo Bene e così via), reo di un'acuta indagine sulla società e sui rapporti interpersonali, Moretti si schiera contro i film più attuali, considerandoli "recipienti vuoti, che possono essere riempiti da qualsiasi storia, da qualsiasi stile, da qualsiasi sceneggiatura. Oggi non capisco più, vedendo un film, perché quella persona lì avesse voluto a tutti i costi fare un film". Il problema di oggi, forse, è da ricercarsi fra le grandi piattaforme online e nella loro filosofia di produzione e distribuzione.
Come al suo solito, Moretti non le manda a dire e, senza preamboli, inizia il suo personale attacco con una nota cinica, rivolta direttamente ai grandi competitors che ormai da anni si dividono il controllo dell'industria cinematografica: le piattaforme streaming che, secondo lui, "sono un problema, perché riempiono di soldi i produttori, per fare non prodotti personali, ma dei prodotti standard che verranno visti in 190 Paesi". L'autore, invece, vorrebbe che i film avessero "un loro stile, una loro personalità".
E ancora, i pranzi con Fellini dopo aver visto e rivisto Amarcord e La dolce vita, l'anteprima de La legge del mercato nel suo cinema con Vincent Lindon che cena e se ne va (non voleva farsi vedere dal pubblico dopo il finale del film), lo sbigottimento della "sua" giuria di Cannes nei confronti di Holy Motors. E poi Tati, Cassavetes ("anche grandissimo attore nei film degli altri", oltre che regista), il rapporto col figlio, che "ha gusti più intellettuali dei miei" e tantissimi altri film. Tra questi, i suoi: "Sono autobiografici, Caro diario è molto autobiografico. Caro diario nasce così: io che voglio girare un cortometraggio dei miei giri in vespa per Roma".
Alla fine, veloce come è entrato nella videoteca, emette un rapido "merci", si gira e se ne va.
A cura di Nicolò Palmieri