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Ombre e porpora: il cinema e il lato oscuro della Chiesa, da The Young Pope a Conclave
La Chiesa, da secoli, è un crocevia di spiritualità e potere. Un simbolo tanto di redenzione quanto di compromesso umano. E, quando il cinema decide di illuminare i corridoi delle sacre stanze, spesso il bagliore della pellicola non si limita solo ad esaltare l'oro dei mosaici, ma si insinua nelle ombre delle contraddizioni umane.

Se pensiamo, ad esempio, a Il Nome della Rosa di Jean-Jacques Annaud, tratto dal romanzo di Umberto Eco, questo concetto diventa lampante. Qui la Chiesa medievale è un luogo di segreti e omicidi. La figura del bibliotecario cieco, Jorge da Burgos, è emblematica di un potere che si arrocca dietro la censura e la paura del progresso. La biblioteca stessa diventa metafora di un sapere nascosto, accessibile solo a pochi eletti. L’indagine di Guglielmo da Baskerville, interpretato da Sean Connery, mette in luce un’istituzione che preferisce occultare la verità piuttosto che affrontare il cambiamento.

Oppure Il caso Spotlight, che affronta senza veli lo scandalo degli abusi sessuali. Qui, la Chiesa non è un luogo mistico o spirituale, ma un'istituzione che usa il proprio potere per coprire i crimini più atroci. Questo film ci ricorda che il lato oscuro non è solo una questione di ambizioni personali, ma un problema sistemico che richiede un coraggio straordinario per essere smascherato. La redazione del Boston Globe, seguendo il metodo investigativo più rigoroso, espone non solo i colpevoli, ma anche il sistema che li protegge.

E non possiamo dimenticare Habemus Papam di Nanni Moretti, una visione più intima e ironica. Il papa, interpretato da Michel Piccoli, è un uomo sopraffatto dal peso del ruolo, che fugge dal conclave per cercare se stesso. Qui il lato oscuro non è un intrigo, ma la semplice, struggente umanità di un uomo che non si sente all’altezza del compito. La scena in cui il pontefice si aggira per le strade di Roma, anonimo tra la folla, è un potente richiamo alla fragilità di chi si trova investito di un potere che non riesce a sostenere.

Un altro esempio significativo è Le mani sulla città di Francesco Rosi, che, pur non trattando direttamente la Chiesa, esplora il connubio tra potere religioso e interessi economici. Questo rapporto è evocato in sottotraccia, ma risulta fondamentale per comprendere come l’istituzione ecclesiastica abbia spesso avuto un ruolo cruciale nelle dinamiche politiche e sociali italiane.

In Mission di Roland Joffé, veniamo invece catapultati nel Sud America coloniale, dove il conflitto tra potere temporale e missione spirituale esplode in tutta la sua violenza. Qui, la Chiesa è rappresentata in modo ambivalente: da una parte, i gesuiti che cercano di proteggere le popolazioni indigene; dall’altra, la gerarchia ecclesiastica che sacrifica i valori morali sull’altare degli interessi politici.

Ma ci sono due opere più recenti che incarnano, meglio di tutte, questo sguardo ambivalente. Sono The Young Pope di Paolo Sorrentino e Conclave di Edward Berger, tratto dall’omonimo romanzo di Robert Harris. Parliamo di opere diversissime, ma unite da una tensione comune: la volontà di mettere in scena un potere che non è mai solo spirituale, ma sempre profondamente umano, vulnerabile e, a volte, corrotto.

Sorrentino, con The Young Pope, ci aveva portato in un Vaticano che sembra un dipinto di Caravaggio. Luci e ombre danzano attorno alla figura di Pio XIII, interpretato da un magistrale Jude Law. Lenny Belardo è un papa giovane, bello, spietato e profondamente contraddittorio.

E Sorrentino usa Lenny come specchio delle ambiguità della fede: da una parte, un uomo capace di gesti di straordinaria umanità, come la guarigione simbolica di una suora in crisi; dall’altra, un leader che gioca a fare Dio, rifiutando il dialogo e imponendo dogmi con una durezza che rasenta l’autocrazia. E poi c'è il tema dello scandalo. Le accuse di pedofilia e i casi di abuso sono sottilmente accennati, mai esplicitati, ma diventano una presenza costante, come un macigno che grava sulla Chiesa e sul pontificato di Lenny. Sorrentino non si limita a criticare: ci fa vedere l’umanità dietro le scelte, le paure e i desideri di un uomo che indossa la tiara papale. In una scena memorabile, Lenny, da solo, prega davanti ad un quadro della Vergine Maria. La camera indugia sul suo volto, mostrando non un papa, ma un uomo che combatte contro il dubbio. Questa fragilità è la chiave di Sorrentino: anche dietro il potere più assoluto si cela un’anima tormentata. Ma The Young Pope non si ferma qui. Perché Sorrentino costruisce un mondo in cui il Vaticano è un luogo al tempo stesso divino e profano, abitato da personaggi complessi come il cardinale Voiello, un manipolatore brillante, o suor Mary, una figura materna ma enigmatica. Ogni dialogo è carico di simbolismo, ogni scena è una finestra su un microcosmo di potere, fede e debolezza umana. Lenny stesso è il simbolo di questa ambiguità: un papa che non vuole essere visto, che si nasconde dietro la sua immagine e che, nel farlo, diventa più umano di quanto voglia ammettere.

Dall’altra parte, Conclave è un thriller politico, che utilizza il Vaticano come arena di scontro. Harris e Berger ci trascinano nel cuore del processo più enigmatico e ritualizzato della Chiesa: l'elezione del nuovo Papa. E qui il focus è diverso da quello di Sorrentino. Mentre The Young Pope è un viaggio psicologico e visionario, Conclave è una partita a scacchi, dove le mosse dei cardinali sono guidate da ambizioni personali, rancori e segreti inconfessabili. La storia si apre con la morte del papa regnante, e da subito il film ci immerge in un clima di tensione che non potrebbe essere più palpabile. Ogni cardinale porta con sé un’agenda: chi cerca di imporre un’agenda progressista, chi vuole mantenere lo status quo, e chi trama nell'ombra per prendere il potere. Il cardinale Lawrence, il protagonista (chiamato, nel romanzo, cardinale Lomeli, e qui interpretato da un superbo Ralph Fiennes) è la bussola morale in un mare di intrighi. Berger rende magnificamente l’atmosfera chiusa e soffocante del conclave, dove ogni parola e ogni gesto sembrano carichi di secondi fini. L’opposizione tra i diversi blocchi ideologici (conservatori, riformisti e opportunisti) riflette le lotte interne di un’istituzione che tenta di trovare un equilibrio tra tradizione e modernità. Uno degli aspetti più affascinanti è come il film metta in luce i rapporti di forza all’interno del conclave: i cardinali non sono solo uomini di fede, ma anche politici consumati, pronti a usare ogni leva disponibile per ottenere ciò che vogliono. Uno dei momenti più intensi è la scoperta che uno dei candidati al papato ha un passato oscuro, che potrebbe minare la credibilità dell’intera Chiesa. Questa rivelazione diventa un detonatore per le dinamiche di potere, spingendo i cardinali a scelte difficili e moralmente ambigue. La figura di Lawrence, che cerca di mantenere sempre una certa integrità morale, si scontra con un sistema che sembra impermeabile al cambiamento. Berger utilizza anche gli spazi fisici del Vaticano per amplificare la tensione narrativa: la Cappella Sistina non è solo uno sfondo, ma diventa una protagonista silenziosa, un luogo dove la bellezza artistica contrasta con la brutalità delle lotte di potere che si consumano al suo interno. La stessa scelta dei cardinali di votare in segretezza (protetti dal fumo bianco o nero, che annuncia il risultato), accentua l’idea di un’istituzione che si protegge dietro rituali antichi, per evitare lo scrutinio esterno. La Chiesa di Berger è un microcosmo del mondo politico contemporaneo: cospirazioni, alleanze improvvisate e colpi di scena. Qui, il lato oscuro non è solo nelle trasgressioni personali, ma in un sistema che sembra incapace di liberarsi dai suoi peccati strutturali. Berger riesce a rendere palpabile la tensione del conclave, mostrando le dinamiche di potere con un realismo disarmante. I cardinali, vestiti di porpora, diventano protagonisti di un dramma politico che sembra uscito da una serie come House of Cards. Eppure, il film non perde mai di vista il contesto sacro: la cappella Sistina, con i suoi affreschi, diventa il teatro di un conflitto che è al tempo stesso umano e trascendente.

Mettendo The Young Pope e Conclave fianco a fianco, emerge un confronto affascinante. Sorrentino gioca con l’onirico e il simbolico: il Vaticano è un luogo dove realtà e sogno si mescolano, e il lato oscuro della Chiesa è più psicologico che politico. Berger, invece, costruisce un racconto lineare, realistico, in cui il lato oscuro è pragmatico e cinico, un riflesso delle dinamiche del potere moderno. Entrambe le opere, però, ci ricordano che dietro la sacralità della Chiesa c’è sempre l’uomo. E l’uomo è fallibile. Ma, mentre The Young Pope ci chiede di compatire queste cadute, Conclave ci invita a temerle. In The Young Pope, il peccato è una ferita che può essere guarita attraverso la fede, ma in Conclave, il peccato è una macchia indelebile, un segno della natura irrimediabilmente corrotta del potere. Le due opere si completano, offrendo una visione a 360 gradi di un'istituzione che è al tempo stesso divina e profondamente umana.

E questo dualismo trova terreno fertile nel cinema, arte che non smetterà mai di interrogarsi sul potere della Chiesa, perché la Chiesa è uno specchio delle contraddizioni umane. The Young Pope e Conclave sono due facce della stessa medaglia: il primo ci mostra il dramma interiore di un uomo di fede, l’altro ci svela i giochi di potere dietro le porte chiuse del conclave.

Entrambi, però, ci lasciano con la stessa domanda: quanto è divina, e quanto è umana, la Chiesa? Ma soprattutto, è forse proprio questa tensione a rendere la Chiesa un soggetto cinematografico inesauribile? Perché alla fine, il cinema, come la fede, è un atto di esplorazione. Cerca risposte, ma trova sempre nuove domande.


Carmen Apadula
Maximal Interjector
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