Paolo Sorrentino conquista (anche) il Festival di Zurigo dove si trovava per ritirare il riconoscimento A Tribute to… Award, il premio alla carriera assegnato dalla kermesse elvetica. Il regista è stato anche protagonista di una masterclass all’interno della storica sala Filmpodium di Zurigo.
Da sempre ironico, il regista napoletano non si è risparmiato e quando Christian Jungen, moderatore dell'incontro e direttore artistico del festival, ha paragonato il rapporto professionale tra Sorrentino e Toni Servillo a quello tra Leonardo DiCaprio e Martin Scorsese, il cineasta ha risposto: «Vabbè, mo', insomma...». L’incontro ha toccato svariati argomenti tra cui, ovviamente, il suo ultimo film, È stata la mano di Dio, che porta sullo schermo la gioventù del regista nel periodo in cui Maradona arrivava a Napoli. In merito alla questione sul fatto che il calciatore fosse o meno a conoscenza del film ha detto: «Non ne sono sicuro, ma il suo entourage sì, perché hanno cercato di farmi causa pensando che stessi usando senza permesso l'immagine di Maradona, cosa che il film non fa. Purtroppo, è venuto a mancare durante la post-produzione e non ho potuto mostrargli nulla».
Per quanto riguarda le osservazioni di critica e pubblico sulla differenza di stile del film dai precedenti il regista non sembra esserne particolarmente convinto: «Non penso di avere uno stile, perché si adatta ogni volta alla storia che sto raccontando. La riconoscibilità dei miei film non dipende dallo stile, è che io ho il mio ritmo. Lento, ma non lentissimo. Mi rimproverano per questo, ma sono loro che vanno di fretta». In merito al paragone con Fellini ha commentato: «Mi lusinga, ma è errato. Certo, La grande bellezza deve molto a La dolce vita, ma non mi accosterei mai a Fellini, e non lo dico per falsa modestia, lo penso veramente. Lui, Bergman, Kurosawa, sono dei giganti che hanno inventato un certo modo di fare cinema, non ci si può paragonare a loro.»
Per ritornare al discorso delle critiche, soprattutto della stampa francese, ha dichiarato: «Thierry Frémaux mi ha preso sei volte in concorso a Cannes, nonostante la critica francese non mi apprezzi particolarmente. Che cosa rimproverino nello specifico non lo so, perché molto vigliaccamente leggo solo le recensioni positive, appena mi accorgo che è negativa smetto. Ricordo una rivista, Les Inrockuptibles, che mi definì il peggior regista del mondo. Quello lo prendo come un complimento, perché essere il peggiore in assoluto non è cosa facile.»
Ha poi parlato del suo approccio al cinema e dei suoi inizi. Alla domanda se avesse fatto o meno degli studi particolari ha risposto: «No, nulla. Liceo Classico, poi ho studiato Economia e Commercio, senza laurearmi. Ma ero appassionato di scrittura sin da ragazzino.» Ha poi ricordato la campagna per gli Oscar: «Ci furono centinaia di cocktail, lì funziona così, devi far vedere il film al maggior numero possibile di persone, quindi si organizzano eventi, proiezioni, e tanti cocktail. Meno male che poi abbiamo vinto, altrimenti sarebbero rimasti solo i cocktail. Non è la parte che preferisco, ma capita anche di fare dei begli incontri.»
Da sempre ironico, il regista napoletano non si è risparmiato e quando Christian Jungen, moderatore dell'incontro e direttore artistico del festival, ha paragonato il rapporto professionale tra Sorrentino e Toni Servillo a quello tra Leonardo DiCaprio e Martin Scorsese, il cineasta ha risposto: «Vabbè, mo', insomma...». L’incontro ha toccato svariati argomenti tra cui, ovviamente, il suo ultimo film, È stata la mano di Dio, che porta sullo schermo la gioventù del regista nel periodo in cui Maradona arrivava a Napoli. In merito alla questione sul fatto che il calciatore fosse o meno a conoscenza del film ha detto: «Non ne sono sicuro, ma il suo entourage sì, perché hanno cercato di farmi causa pensando che stessi usando senza permesso l'immagine di Maradona, cosa che il film non fa. Purtroppo, è venuto a mancare durante la post-produzione e non ho potuto mostrargli nulla».
Per quanto riguarda le osservazioni di critica e pubblico sulla differenza di stile del film dai precedenti il regista non sembra esserne particolarmente convinto: «Non penso di avere uno stile, perché si adatta ogni volta alla storia che sto raccontando. La riconoscibilità dei miei film non dipende dallo stile, è che io ho il mio ritmo. Lento, ma non lentissimo. Mi rimproverano per questo, ma sono loro che vanno di fretta». In merito al paragone con Fellini ha commentato: «Mi lusinga, ma è errato. Certo, La grande bellezza deve molto a La dolce vita, ma non mi accosterei mai a Fellini, e non lo dico per falsa modestia, lo penso veramente. Lui, Bergman, Kurosawa, sono dei giganti che hanno inventato un certo modo di fare cinema, non ci si può paragonare a loro.»
Per ritornare al discorso delle critiche, soprattutto della stampa francese, ha dichiarato: «Thierry Frémaux mi ha preso sei volte in concorso a Cannes, nonostante la critica francese non mi apprezzi particolarmente. Che cosa rimproverino nello specifico non lo so, perché molto vigliaccamente leggo solo le recensioni positive, appena mi accorgo che è negativa smetto. Ricordo una rivista, Les Inrockuptibles, che mi definì il peggior regista del mondo. Quello lo prendo come un complimento, perché essere il peggiore in assoluto non è cosa facile.»
Ha poi parlato del suo approccio al cinema e dei suoi inizi. Alla domanda se avesse fatto o meno degli studi particolari ha risposto: «No, nulla. Liceo Classico, poi ho studiato Economia e Commercio, senza laurearmi. Ma ero appassionato di scrittura sin da ragazzino.» Ha poi ricordato la campagna per gli Oscar: «Ci furono centinaia di cocktail, lì funziona così, devi far vedere il film al maggior numero possibile di persone, quindi si organizzano eventi, proiezioni, e tanti cocktail. Meno male che poi abbiamo vinto, altrimenti sarebbero rimasti solo i cocktail. Non è la parte che preferisco, ma capita anche di fare dei begli incontri.»