Scacco matto. Non ci può essere un attacco (o, sarebbe meglio, dire un’apertura) più banale per iniziare a parlare de La regina degli scacchi, serie Netflix uscita ormai qualche tempo fa che, nel frattempo, è diventata la serie più vista della piattaforma: ne hanno parlato tutti, quasi sempre con toni molto positivi, commentando – oltre al lato artistico – i vestiti della protagonista, le pettinature da cui ha preso spunto, la carta da parati delle case e via dicendo.
È stato ormai detto praticamente tutto e, forse, anche troppo, ma ancora col rischio di essere banali, torniamo su questa serie che ha segnato a livello popolare l’ultimo periodo, andando ad analizzarla, provando a evidenziarne pregi e difetti, perché anche di questi ultimi non ne mancano di certo.
Giochiamo!
Il re
Va bene, siamo buoni, partiamo dal pezzo più importante della scacchiera, quello da difendere strenuamente fino alla morte (!) di tutti gli altri. Simbolicamente, lo prendiamo come la cosa migliore della serie. Qual è il grande merito de La regina degli scacchi?
Ce n’è uno molto grande, gigantesco quasi, regale potremmo dire. L’han detto in tanti, La regina degli scacchi sembra una storia vera, tanto che molti giornali hanno utilizzato questo richiamo per fare clickbait sul concetto.
Attenzione, non è scontato e non è da sottovalutare, perché questo vuol dire che la serie riesce a essere pienamente credibile, confezionata nella maniera giusta, realistica nella descrizione. Eppure, è tutto frutto del talento umano e su questo, ebbene sì, ci togliamo la coron… ops, il cappello!
Le torri
Proseguiamo con dei pezzi forti, importantissimi, che la serie sfrutta a dovere: le basi della storia. Già perché, diciamolo, il soggetto funziona e la struttura narrativa iniziale regge bene, tanto che forse sono proprio le prime due puntate quelle più riuscite. Un inizio in cui empatizziamo con questa protagonista rimasta orfana, che inizia a giocare a scacchi in un seminterrato con un guardiano dell’istituto e la cui vicenda coinvolge e appassiona.
Insomma, le torri reggono bene il copione, ma più all’inizio che col passare delle puntate…
I pedoni
I pezzi di minor valore sulla scacchiera sono anche i più numerosi, si sa, e li usiamo simbolicamente per parlare dei tanti passaggi sbagliati in cui questa serie incorre, in particolare dal punto di vista del ritmo (d’altronde il pedone va avanti una casella alla volta). Da un certo punto in avanti tutto diventa ridondante, molto prolisso e si perde buona parte di quel coinvolgimento iniziale. Ma erano necessarie 7 puntate? La risposta è no, ma commercialmente funziona (circa) così.
Gli alfieri
Tra le pieghe di una serie sportiva, che funziona proprio nei momenti delle sfide e dei tornei, si parla parallelamente di un percorso di formazione che sa molto di già visto e con metafore di crescita che lasciano il tempo che trovano.
Tutti questi passaggi obliqui (come si muove l’alfiere?) alla narrazione principale (la crescita nei tornei) risultano spesso forzati, un po’ retorici e molto meno interessanti. Ma perché? Perché La regina degli scacchi è una serie su una persona straordinaria, con un talento enorme, vera o non vera che sia poco importa… Quando tutto si riporta ai livelli dell’ordinarietà, l’interesse cala completamente, c’è poco da fare.
I cavalli
Quanto è bello usare i cavalli nel gioco degli scacchi. Il pezzo più estroso e imprevedibile, che si muove a L, ed è quello che forse più colpisce quando si impara a giocare. Ecco, l’estro dicevamo… sicuramente c’è nel personaggio, ma dal punto di vista registico si rischia qualcosa? Attenzione, la confezione è curata, dalla fotografia alla scenografia, dai costumi a tutto il companatico… ma quando si cercano soluzioni stilistiche più azzardate si incappa, ad esempio, nell’agghiacciante visione sul soffitto degli scacchi, che si muovono facendoci visualizzare ciò che “vede” la protagonista nella sua mente. Succedesse una volta, ma invece…
Però c’è dell’onestà: la protagonista, ci viene detto più volte, sacrifica sempre i cavalli… ecco, lo fa anche il regista.
La regina
Chiudiamo come abbiamo iniziato, con il meglio della serie e con il pezzone più importante, appena sotto sua maestà il Re: la Regina! Vale 10 punti, si muove ovunque, chi la perde, praticamente ha perso la partita. Insomma, ci siamo capiti.
La Regina non può che essere Anya Taylor-Joy, eccellente come sempre, perfettamente in parte e vero valore aggiunto della serie.
Sicuramente un nuovo trampolino per una delle interpreti più interessanti di questi ultimi anni: non diteci che l’avete scoperta qui o smettiamo di giocare e chiediamo subito la “patta”…
Andrea Chimento