Dall'esordio nel 1974, con La Poliziotta, Renato Pozzetto è sempre stato tra i volti più amati del cinema italiano. Attore di cui si apprezza la peculiare comicità e che nel corso della sua carriera è stato protagonista di film divenuti (piccoli o grandi) cult, pronunciando frasi divenuti veri e propri tormentoni, come il celeberrimo "Taaac". Ecco la classifica dei migliori 5 film in cui Pozzetto è stato protagonista:
5) Il ragazzo di campagna (Castellano e Pipolo, 1984)
La premiata ditta Castellano&Pipolo (Franco Castellano e Giuseppe Moccia) confeziona un'apologia sulla purezza dell'antico mondo rurale, contrapposto alla città che, secondo le parole della madre di Artemio (interpretata da Clara Colosimo), «l'è tentacolare, l'è una brüta bestia!». La sceneggiatura è quasi inesistente ma la comicità di grana grossa funziona. E lo stralunato Renato Pozzetto, alle prese con i ritmi frenetici della metropoli, regala sequenze diventate di culto
4) Oh, Serafina! (Alberto Lattuada, 1976)
Lo sviluppo, soprattutto nella seconda parte del film, è naïf e a tratti didascalico ma la forza eversiva di certe sequenze (il sadomasochismo del sindaco interpretato da Gino Bramieri, la seduzione del menomato assessore Buglio alias Daniele Vargas da parte di Palmira) spiazza e colpisce nel segno, fornendo un'adeguata rappresentazione di un'umanità corrotta e desolante. Con un morboso erotismo di fondo che rende il tutto ancor più amaro.
3) La patata bollente (Steno, 1979)
La patata bollente tratta con garbo un argomento scomodo quale la libertà di orientamento sessuale: la denuncia contro ogni forma di discriminazione è affrontata ironicamente, ma senza cadere nel macchiettismo, grazie a una coppia di attori affiatati e in ottima forma. Le contraddizioni sociologiche e politiche sono a tratti sviscerate in modo approssimativo e semplicistico, ma alcune caratterizzazioni (la chiusura dell'ambiente comunista, l'ottusa e pettegola portinaia interpretata da Clara Colosimo che veglia sull'integrità morale del condominio di Mambelli) colpiscono nel segno.
2) Sono fotogenico (Dino Risi, 1980)
Ritratto al vetriolo del business che ruota intorno alla fabbrica dei sogni cinematografica: Dino Risi fotografa un mondo ipocrita e spietato, filtrandolo attraverso l'occhio ingenuo del suo protagonista e distruggendo sistematicamente i miti in celluloide, fagocitati da brutture e meschinità (emblematiche, in tal senso, le apparizioni di star del calibro di Ugo Tognazzi e Vittorio Gassman, calati in un contesto tutt'altro che celebrativo).
1) Da grande (Franco Amurri, 1987)
Una delle migliori interpretazioni di Renato Pozzetto, perfetta maschera stralunata che incarna l'ingenua vitalità infantile e metaforizza la difficoltà di crescere in un mondo dominato dai bisogni degli adulti. Il messaggio sulla necessità di credere nei sogni per poter maturare e di mantenere vivo il bambino dentro di noi si rivela tutt'altro che banale, la comicità è contenuta e piacevole, ma c'è qualche stucchevolezza di troppo nei siparietti tra Marco cresciuto e la sorellina Silvietta (Gaia Piras).
5) Il ragazzo di campagna (Castellano e Pipolo, 1984)
La premiata ditta Castellano&Pipolo (Franco Castellano e Giuseppe Moccia) confeziona un'apologia sulla purezza dell'antico mondo rurale, contrapposto alla città che, secondo le parole della madre di Artemio (interpretata da Clara Colosimo), «l'è tentacolare, l'è una brüta bestia!». La sceneggiatura è quasi inesistente ma la comicità di grana grossa funziona. E lo stralunato Renato Pozzetto, alle prese con i ritmi frenetici della metropoli, regala sequenze diventate di culto
4) Oh, Serafina! (Alberto Lattuada, 1976)
Lo sviluppo, soprattutto nella seconda parte del film, è naïf e a tratti didascalico ma la forza eversiva di certe sequenze (il sadomasochismo del sindaco interpretato da Gino Bramieri, la seduzione del menomato assessore Buglio alias Daniele Vargas da parte di Palmira) spiazza e colpisce nel segno, fornendo un'adeguata rappresentazione di un'umanità corrotta e desolante. Con un morboso erotismo di fondo che rende il tutto ancor più amaro.
3) La patata bollente (Steno, 1979)
La patata bollente tratta con garbo un argomento scomodo quale la libertà di orientamento sessuale: la denuncia contro ogni forma di discriminazione è affrontata ironicamente, ma senza cadere nel macchiettismo, grazie a una coppia di attori affiatati e in ottima forma. Le contraddizioni sociologiche e politiche sono a tratti sviscerate in modo approssimativo e semplicistico, ma alcune caratterizzazioni (la chiusura dell'ambiente comunista, l'ottusa e pettegola portinaia interpretata da Clara Colosimo che veglia sull'integrità morale del condominio di Mambelli) colpiscono nel segno.
2) Sono fotogenico (Dino Risi, 1980)
Ritratto al vetriolo del business che ruota intorno alla fabbrica dei sogni cinematografica: Dino Risi fotografa un mondo ipocrita e spietato, filtrandolo attraverso l'occhio ingenuo del suo protagonista e distruggendo sistematicamente i miti in celluloide, fagocitati da brutture e meschinità (emblematiche, in tal senso, le apparizioni di star del calibro di Ugo Tognazzi e Vittorio Gassman, calati in un contesto tutt'altro che celebrativo).
1) Da grande (Franco Amurri, 1987)
Una delle migliori interpretazioni di Renato Pozzetto, perfetta maschera stralunata che incarna l'ingenua vitalità infantile e metaforizza la difficoltà di crescere in un mondo dominato dai bisogni degli adulti. Il messaggio sulla necessità di credere nei sogni per poter maturare e di mantenere vivo il bambino dentro di noi si rivela tutt'altro che banale, la comicità è contenuta e piacevole, ma c'è qualche stucchevolezza di troppo nei siparietti tra Marco cresciuto e la sorellina Silvietta (Gaia Piras).