News
Rita Hayworth – La diva fragile che voleva essere amata
La storia del cinema è piena di icone che hanno infiammato la pellicola e stregato i cuori degli spettatori. Nessuno, però, ha impresso così vividamente il concetto di bomba sexy come Rita Hayworth.

Nata a Brooklyn come Margarita Carmen Cansino, figlia di un ballerino spagnolo e di un’attrice statunitense, la futura diva di Hollywood si è trovata per tutta la vita a dover fronteggiare una particolare categoria di persone: gli uomini. Che si trattasse di produttori, manager, registi o prìncipi, Rita Hayworth si è svincolata a lungo dalle mani dei potenti maschi che la vedevano, se ne innamoravano e la volevano. In ognuno trovò un pizzico di rimpianto per non essersi fatta proteggere meglio.


La sua ondeggiante carriera, d’altronde, non è altro che un brillante cammino di talento scandito da incontri maschili. Notata giovanissima da un talent-scout della Fox, Margarita inizia a lavorare da subito in piccoli ruoli che convincono il produttore Harry Cohn, colpito dalla sua bellezza latina, a farle ottenere un contratto vantaggioso con la Columbia Pictures. Secondo i codici bigotti dell'epoca incentrati su principi a dir poco reazionari, messi purtroppo in discussione solo in tempi recentissimi, l’immagine dell’attrice presenta però due "problemi". Il primo è dettato dai suoi capelli: spessi, scuri, ricci e con l’attaccatura troppo bassa. Ci vogliono due anni di primitivi trattamenti di elettrolisi per conferire alla sua chioma il fascino immortale successivamente passato alla storia. Il secondo "difetto" è da trovarsi nel nome: agli Studios, ovviamente iper conservatori, non piace enfatizzare la sua natura ispanica e, dopo dieci film, si decide di cambiarlo. È nata una stella, ma a caro prezzo.

Con i suoi nuovi capelli rossi e fluenti, Rita si trova così pronta a sedurre il mondo intero e, a partire dai primi anni ’40, viene scritturata per ogni ruolo sexy che Hollywood abbia da offrire. Lavora al fianco dei maggiori divi dell’epoca, da James Cagney nella commedia Bionda fragola (1941) a Tyrone Power nel dramma Sangue e arena (1941), fino ai duetti musicali con Fred Astaire in Non sei mai stata così bella (1942) e con Gene Kelly in Fascino (1944).


Si tratta forse del decennio più importante della sua vita, anche sul fronte privato: dopo un primo matrimonio di convenienza, Hayworth si innamora del regista più geniale della sua generazione, Orson Welles, che sposa nel 1943 e con cui ha una figlia, Rebecca, nel 1944. L’immagine dell’attrice è però troppo folgorante per non dividerla con l’intero Paese. Così, mentre la Seconda guerra mondiale infuria, Rita Hayworth diviene un vero e proprio simbolo per i soldati americani al fronte e non. Le sue fotografie vengono attaccate ovunque: negli armadietti, nelle carlinghe degli aerei, dentro i carri armati. Il suo nome viene perfino dato alla bomba atomica sperimentale lanciata sull’atollo di Bikini. Da quel momento, per tutti l’attrice diventa l’atomica.

La sua fama non fa che crescere e, nel 1946, Charles Vidor le assegna il ruolo che la consegnerà alla storia come inimitabile icona sexy: Gilda, la sensuale protagonista dell’omonimo film noir che fa girare la testa a Johnny Farrell/Glenn Ford (con cui, attraverso quattro collaborazioni, instaura una lunga relazione clandestina). Nonostante una struttura narrativa incerta, la pellicola consegna all’immaginario collettivo scene da antologia che trasudano sensualità: su tutte, il primo piano della presentazione di Gilda con tanto di movimento di capelli a cascata ed il celebre balletto provocante sulle note di Put the Blame on Mame.


Un anno dopo, Orson Welles decide di sfruttare il momento di grazia della moglie e la mette al centro di un altro film noir, La signora di Shangai, opera labirintica e radicale che, ancora una volta, conferisce a Rita il ruolo di un’oscura femme fatale: la splendida e misteriosa Elsa Bannister, che ingaggia il marinaio Mike O’Hara (Welles) per condurre un lussuoso yacht a San Francisco, coinvolgendolo in un losco complotto che vede protagonisti il marito di lei e il suo socio in affari. Il film fa scalpore a causa del cambio look che il regista opera nei confronti della diva: l’iconica chioma fulva sparisce e i suoi capelli si presentano ora corti e biondo platino, uno scandalo che Harry Cohn, presidente della Columbia follemente geloso di Rita, non avrebbe mai perdonato al cineasta, dando la colpa dell’insuccesso commerciale del film proprio al cambiamento d’immagine operato senza la sua approvazione.



Hayworth conserva comunque lo status di diva. Il suo nuovo soprannome, apparso sulle pagine di Life, è The Love Goddess (la dea dell’amore). L’amore con Orson Welles, però, finisce e, nel 1948, l’attrice si reca a Cannes dove conosce il principe ismailita Aly Khan, con cui inizia una relazione segreta che porta successivamente al fidanzamento ufficiale, nonostante le pratiche del suo divorzio siano ancora in corso. Le nozze tra lei, cristiana e ancora sposata, e l’erede di uno dei capi spirituali dell’Islam, vengono deplorate dall’opinione pubblica e addirittura da papa Pio XII, che la scomunica.

Rita, nonostante le minacce di Cohn, abbandona il cinema e si ritira in sontuosi palazzi indiani e pakistani, dando alla luce un’altra figlia nel 1949. Anche questo matrimonio, però, si rivela un fallimento a causa delle continue infedeltà del principe e, dopo aver divorziato, la donna fa ritorno a Hollywood. Ha inizio un periodo di declino e difficoltà economiche. Tranne Trinidad (1952), primo film dopo tre anni di assenza e ancora in coppia con Glenn Ford, Rita non partecipa più a successi commerciali. L’attrice deve infatti affrontare il risentimento di Cohn e della Columbia e, sul lato personale, numerose dispute legali con Orson Welles e Aly Khan per i mantenimenti delle sue figlie, che non ottiene. Un ulteriore matrimonio con il cantante Dick Haymes ha vita ancora più breve e turbolenta dei precedenti, lasciandole solo un mucchio di debiti.


Gli ultimi anni di carriera sono all’insegna di ruoli di donne mature e alcolizzate, sulla falsariga di quella che è diventata la sua vita.
È solo questione di tempo prima che la sua carriera si avvii ad un triste canto del cigno. Un ultimo matrimonio travagliato col produttore James Hill e una crescente dipendenza dagli alcolici la fanno precipitare in un turbine psicofisico deleterio, su cui si avventa, verso la fine degli anni ’60, il terribile spettro della malattia di Alzheimer, diagnosticata ufficialmente nel 1980. Hayworth si ritira dalla vita pubblica e si rinchiude nel suo appartamento di New York, assistita dalla figlia Yasmin.

Muore il 14 maggio del 1987 all’età di 69 anni. Nel 1998 l’American Film Institute la inserisce al diciannovesimo posto tra le più grandi star della storia del cinema. Per tutti verrà identificata per sempre con la seducente Gilda, una stella tentatrice intrappolata nel ruolo stereotipato della pin-up. Le sue parole più famose, però, rimandano a un’altra considerazione: quella di una fragile attrice schiava della sua stessa immagine che, in mezzo a tanti maschi, non è riuscita a trovare l’uomo che la facesse sentire al sicuro per tutta la vita.


«Gli uomini vanno a letto con Gilda e si svegliano con me».

Nicolò Palmieri

Categorie

Persone

Maximal Interjector
Browser non supportato.